L’Europa mette l’elmetto. E si fa i conti in tasca: tra risorse nazionali “liberate” dai vincoli di bilancio e l’emissione di eurobond per la difesa, Ursula von der Leyen stima di poter destinare 800 miliardi di euro al riarmo del continente. La sicurezza, del resto, è la nuova priorità esistenziale che ha stravolto le agende brussellesi. Il perché lo ha spiegato la stessa presidente della Commissione, illustrando da palazzo Berlaymont le misure – riunite sotto le insegne del pacchetto “ReArm Europe” – con cui l’esecutivo Ue vuole «aumentare in maniera massiccia le spese per la difesa»: «Viviamo in tempi estremamente critici e pericolosi. Non è necessario descrivere la gravità delle minacce che affrontiamo o le devastanti conseguenze che dovremmo sopportare se questi rischi si tramutassero in realtà». Nei tavoli tecnici, il lavoro preparatorio era in corso da giorni, tra i summit d’emergenza di Parigi e Londra, ma l’annuncio finisce per cadere solo una manciata di ore dopo lo stop ordinato da Donald Trump agli aiuti statunitensi all’Ucraina. Se l’America si ritira, l’Europa rilancia. Von der Leyen ha spiegato, infatti, che un’immediata iniziativa Ue serve «sia per rispondere all’urgenza a breve termine di agire e sostenere l’Ucraina, sia per affrontare l’esigenza a lungo termine di farci maggiormente carico della nostra sicurezza europea». Tra il disimpegno americano e l’inedita saldatura tra Mosca e Washington, «la rapidità dei cambiamenti» all’ordine internazionale del secondo dopoguerra «è sconcertante e sempre più allarmante».
GLI OBIETTIVI
Von der Leyen ha dettagliato i 5 punti del piano “ReArm Europe” in una lettera inviata ai leader dei 27 Paesi Ue alla vigilia del Consiglio europeo straordinario di domani. C’è, anzitutto, come anticipato, la possibilità per gli Stati di spendere (molto) di più per la difesa: ciò avverrà attraverso l’attivazione “mirata” delle clausole nazionali di salvaguardia all’interno del nuovo Patto di stabilità poiché «gli Stati sono pronti a investire di più nella propria sicurezza se dispongono dello spazio di bilancio» per farlo, senza andare a sbattere contro le procedure per deficit eccessivo. I Paesi interessati, cioè quelli con margini di spesa più ristretti, dovranno presentare istanza a Bruxelles e poi ottenere l’ok entro un mese dagli altri governi riuniti nel Consiglio. In concreto, saranno consentite deviazioni dell’1,5% del Pil dai piani di risanamento dei conti: se tutti incrementassero in questo modo i loro investimenti in difesa, in 4 anni si riuscirebbero a mobilitare in media almeno 650 miliardi di euro, calcola la Commissione. È nei forzieri nazionali che si trova, insomma, il “grosso” del bottino pensato da von der Leyen per la difesa.
LA STRATEGIA
Più modesta l’entità del nuovo fondo comune, che tuttavia spazza via una serie di tabù. A cominciare da quel “mai più debito comune” scandito a più riprese dopo la pandemia dai frugali del Nord Europa. Già, perché i 150 miliardi di euro che completano la dotazione finanziaria di “ReArm Europe” saranno raccolti da Bruxelles emettendo obbligazioni garantite dal bilancio Ue e poi distribuiti, sotto forma di prestiti a tasso agevolato (escluse, invece, le sovvenzioni), ai governi che ne faranno domanda, anche in maniera congiunta. Questi soldi andrebbero, infatti, impiegati per rafforzare le capacità di difesa paneuropea, che si potranno pure condividere con le forze armate ucraine. Nella “lista della spesa” von der Leyen cita scudi aerei e antimissilistici, artiglieria, munizioni, missili, droni e sistemi anti-droni, programmi di mobilità militare, sistemi di sicurezza cibernetica e Ia. Proprio perché l’esigenza è fare presto, gli equipaggiamenti non dovranno essere necessariamente “made in Europe”, ma potranno essere di fabbricazione americana. A valere sull’attuale bilancio Ue arriva, invece, l’opzione perché gli Stati utilizzino, «se lo vorranno, i programmi della politica di coesione per aumentare le spese in difesa»; un’eventualità subito condannata dalle neopresidente del Comitato delle Regioni, Kata Tüttő: «Distogliere questi fondi sarebbe un errore catastrofico». Completano il quadro della strategia von der Leyen le risorse private: accelerando, da una parte, l’integrazione dei mercati dei capitali per svegliare fondi “dormienti” nei conti corrente (obiettivo in stallo da oltre un decennio), e dall’altra attraverso un maggiore protagonismo della Bei, la Banca europea per gli investimenti, che ha già cominciato a finanziare progetti “dual use” con applicazioni civili e militari. Il proposito di von der Leyen è incassare, domani, l’ok dei leader, in modo da mettere a punto i testi legislativi nelle due settimane che ci separano dal prossimo vertice, già in calendario il 20 marzo. Anche la base legale prescelta dà il senso dell’urgenza: è la stessa impiegata per approvare Sure, la cassa integrazione pandemica, e poi per il taglio dei consumi di gas durante la crisi energetica. Per “ReArm Europe” non servirà l’unanimità (Bruxelles è determinata a bypassare così il prevedibile veto dell’Ungheria e della Slovacchia) né un passaggio parlamentare (a parte per le modifiche sulla coesione): basterà il sì a maggioranza qualificata dei governi.
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