Perché comprare un trapano quando lo si può prendere in prestito in una biblioteca

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Abbiamo tutti in casa un oggetto acquistato quella volta che ne avevamo un assoluto bisogno, e poi mai più usato, rimasto lì a occupare spazio e prendere polvere, a ricordarci di tanto in tanto di quella spesa mai ripagata. Capita spesso con gli strumenti per i lavori in casa, dal trapano in su, ma anche con gli elettrodomestici da cucina, con le attrezzature per le attività di outdoor, e con un sacco di altre cose. Il sistema migliore sia dal punto di vista economico sia da quello ambientale sarebbe condividerli con altri: ed è a questo che servono le “oggettoteche”, o biblioteche degli oggetti.

Grazie al crescente interesse per la sharing economy, o “economia della condivisione”, negli ultimi anni spazi di questo tipo ne sono spuntati anche in Italia, a partire da Leila, la prima biblioteca degli oggetti italiana, aperta a Bologna nel 2016. L’idea è che dare e prendere in prestito qualcosa, anziché comprarlo, permetta di risparmiare denaro e al tempo stesso eviti accumuli, sprechi e consumi: ma l’obiettivo di queste iniziative, oltre alla condivisione delle cose, è anche quello di condividere conoscenze.

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Le biblioteche delle cose funzionano tutte in modo simile. In generale si fa una tessera annuale che permette di prendere in prestito gli oggetti disponibili in ciascuno spazio, gratuitamente e per un certo periodo di tempo; una volta che quell’oggetto non serve più lo si riporta indietro, come si farebbe in biblioteca. Iscriversi a Leila per esempio costa 20 euro la prima volta e poi 15 all’anno, e per attivare il servizio bisogna mettere in condivisione almeno un proprio oggetto. La tessera annuale per iscriversi a Zero, a Palermo, costa invece 10 euro, e si possono prendere due oggetti alla volta per una settimana al massimo.

A volte le cose che si trovano in questi spazi sono quelle messe a disposizione da chi si iscrive al servizio e rimangono di sua proprietà finché lo desidera; altre invece sono donate. Più utili e tenuti bene sono gli oggetti, più è utile e soddisfacente il servizio, spiega Antonio Beraldi, fondatore di Leila e amministratore delegato dell’omonima startup che ha l’obiettivo di replicare l’iniziativa altrove. L’ambizione del progetto è quella di cambiare e ampliare il significato del possesso di una cosa: «Rinchiudere in armadi e cantine oggetti di uso sporadico che potrebbero essere riscoperti e utilizzati, come un bob o un carrello per un trasloco, sarebbe sia uno spreco sia un’occasione persa», dice.

Gli oggetti più richiesti sono proprio quelli per il fai da te, come avvitatori, trapani o kit per piccole tinteggiature, dice Beppe Castellucci di Zero, che è gestita da un collettivo. I videoproiettori al momento sono «più fuori che dentro», continua Beraldi, e poi ci sono cose più cercate in certi periodi, come quelle per il giardinaggio o le tende da campeggio in estate. Elena Garbelli, referente della biblioteca degli oggetti In Circolo di Brescia, aggiunge che c’è anche molta richiesta per passeggini, ovetti o bilance per pesare i neonati: rispetto ad altre cose in condivisione quelle per i bambini possono essere tenute più a lungo, e sono sempre gettonate perché in generale c’è più consapevolezza che si usano per periodi brevi.

Le prime iniziative per condividere cose in tempi moderni risalgono al periodo della Grande depressione, un secolo fa, soprattutto giocattoli e attrezzi per il fai da te. Negli ultimi dieci anni, mentre diventava più facile procurarsi di tutto in tempi brevissimi grazie a internet, sono aumentate anche le riflessioni sui costi economici, ambientali e sociali che tutto ciò comporta. Dalla Library of Things aperta nel 2014 a Londra, i servizi di questo tipo nel Regno Unito sono diventati tantissimi. In Germania esistono biblioteche di vestiti dove dare e prendere in prestito abiti, giochi da tavolo e cose per dipingere, così come il primo locale di “foodsharing” del paese, che mette gratuitamente in condivisione alimenti recuperati da aziende e privati, con le dovute accortezze sanitarie.

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Anche in Italia le oggettoteche sono arrivate tutte negli ultimi anni: Zero nel 2020, In Circolo nel 2023 e altre ancora più di recente in città come Treviso e Ravenna. A Bologna gli utenti sono passati da alcune centinaia a circa 1.800, e questo vuol dire che gli oggetti disponibili sono almeno 1.800, racconta Beraldi; da 35 o 40 prestiti al mese si è passati a una media di 160-170, con picchi di 190-200 in estate. Oggi Zero ha tre sedi e l’interesse è cresciuto anche a Brescia, dove comunque gli utenti sono circa un decimo di quelli di Bologna, dice Garbelli: la cooperativa ManoLibera, che gestisce l’oggettoteca con una rete di volontari, collabora di frequente con altri gruppi e associazioni per intercettare le esigenze della comunità.

All’inizio gli utenti di Leila erano soprattutto persone tra i 40 e i 50 anni, dice Beraldi, ma con la pandemia si è capito che la condivisione era una grande risorsa, con il risultato che adesso le persone iscritte vanno dai 25 ai 55 anni circa. Anche il servizio di In Circolo è utilizzato perlopiù da persone tra i 30 e i 50 anni, così come da famiglie più giovani, a volte indirizzate dai servizi di accoglienza.

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Uno scaffale di Leila a Bologna (Amos Ferro Polacco)

Come ha riassunto in un articolo sul Guardian Laura Whateley, le biblioteche delle cose «stanno diventando un modo sempre più comune per risparmiare soldi, spazio e rifiuti». In estrema sintesi, condividendo gli oggetti si spendono meno soldi per comprarne di nuovi e si inquina di meno sia per produrli che per smaltirli. Sia Beraldi che Castellucci, inoltre, hanno sottolineato che questi servizi si basano sulla fiducia reciproca tra chi mette a disposizione un proprio oggetto e chi lo utilizza, con il risultato che si instaura un meccanismo di responsabilizzazione, che rafforza i legami tra le persone.

Oltre a condividere gli oggetti molti spazi organizzano anche laboratori per imparare a usarli, a fare manutenzione o a ripararli. Proprio sulla base di questo approccio, le persone sentite dal Post dicono che mettere a disposizione il proprio tempo o una propria abilità può anche essere una specie di risarcimento per quando inavvertitamente si rompe qualcosa durante l’utilizzo.

La biblioteca degli oggetti nello spazio In Circolo a Brescia (Cooperativa ManoLibera)

Nelle parole della co-fondatrice della Library of Things, Rebecca Trevalyan, l’obiettivo delle biblioteche degli oggetti è fare in modo che prendere in prestito qualcosa diventi «più accessibile, comodo e socialmente appagante che comprare qualcosa da Amazon». Ma «chiedere alle persone di provare un’alternativa ad Amazon è già una bella sfida», ha detto Castellucci, e nel periodo della pandemia da coronavirus lo è stato ancora di più: in parte per via delle limitazioni sugli spostamenti e in parte per la diffidenza nell’usare cose di altre persone.

Tra i limiti della condivisione degli oggetti c’è il fatto che bisogna andarli a prendere, trasportarli fino a casa, anche se sono ingombranti, o magari aspettarli, se non sono disponibili. «Molte più persone inoltre pensano di poter donare quello di cui si vogliono liberare», dice Garbelli, e quando capiscono che «il punto invece è mettere in condivisione anche qualcosa che si usa, che è bello, che è funzionante e ha un valore» sono scettiche oppure fanno un passo indietro. Sono perplessità che le biblioteche degli oggetti cercano di superare puntando proprio sul cambiamento culturale che propongono di innescare.

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Nonostante qualche scetticismo queste iniziative sembrano funzionare. Secondo un’analisi della Barclaycard Payments citata sempre dal Guardian le persone stanno optando sempre più spesso per gli oggetti di seconda mano o quelli in condivisione, ed è una tendenza che «riguarda una certa varietà di settori, dalla cura per l’infanzia a quella degli animali, dalla moda al fitness». Solo nel 2024 la Library of Things ha aperto tre nuove sedi in città, per un totale di 19.

Per Leila intanto è stata fondamentale la collaborazione con il Comune di Bologna, che da qualche tempo ha deciso di regalare la tessera dell’oggettoteca a tutti gli utenti delle biblioteche pubbliche, coprendo di fatto il costo del tesseramento e ampliando così il suo potenziale pubblico. Tra l’altro adesso Leila ha un proprio punto in alcune biblioteche della città e si è data l’obiettivo di averne uno in tutte le biblioteche di quartiere entro il 2026.

C’è poi il progetto più ampio che ha l’obiettivo di fornire strumenti e competenze a chiunque voglia aprire una nuova biblioteca degli oggetti in altre città italiane: Beraldi dice che se ne sono già interessati collettivi, scuole e università, ma anche aziende, che le stanno valutando come servizio per il welfare dei propri dipendenti.

– Leggi anche: L’alternativa tra riuso e riciclo, spiegata





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