L’analisi/ La difesa comune europea governata dal nuovo Centro

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La difesa è materia di politica estera o di politica interna? In tempi di crisi la domanda non ha senso. In tempi di crisi, proprio a partire dalla questione della difesa, politica estera e politica interna diventano la stessa cosa.

Dal 1945 al 2025 abbiamo fatto i furbi. Siamo stati consumatori di sicurezza rifiutandoci di pagarne la bolletta. Ha fatto la furba la Germania, massimamente la Germania della Merkel. Dando per scontata la sicurezza garantita dagli Stati Uniti, la Germania comprava sottocosto il gas da Putin ed esportava in Cina. Ha fatto crescere la ricchezza di Putin e le pretese della Cina ed alla fine è rimasta vittima della propria scaltrezza, e noi con lei. Ha fatto la furba la Francia, millantando un’autonomia strategica smisuratamente gonfiata rispetto alla portata reale della sua Force de frappe (il suo nucleare militare). L’Armée è da tempo in rotta persino in Africa. Abbiamo fatto i furbi noi italiani con comunisti, larga parte dei cattolici, quasi tutta la gerarchia ecclesiastica e destra sociale, tutti antiamericani e pacifisti ben protetti da uno scudo pagato da chi veniva coperto di insulti.

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Oggi il bluff è stato scoperto. Anche chi pensa il peggio possibile di Trump, di Vance e Musk deve riconoscere che abbiamo messo loro nelle mani carte straordinarie ed in bocca argomenti fortissimi.
La crisi ha fatto saltare il bluff di una politica interna separata dalla politica estera. Ora invece, come nei momenti di grande crisi, si pensi all’Italia del 1948, politica estera e politica interna sono tornate ad essere la stessa cosa. Difesa ed ordine pubblico sono di nuovo un pezzo l’una dell’altro, e viceversa. Gli effetti di questo ritorno sono macroscopici.
Le ultime elezioni in Germania ne sono state un esempio. Certamente non il primo né l’ultimo. Innanzitutto la partecipazione al voto ha conosciuto un picco verso l’alto: quasi l’85%. Qualcosa di simile era già avvenuto pochi mesi fa in Gran Bretagna ed in Francia. Qualcosa del genere si prospetta per la Polonia in Primavera. L’opinione pubblica non è affatto sorda alla crisi in corso, semplicemente reagisce con i suoi tempi, ovvero con lentezza. Finalmente, però, ha reagito. È un bene.

In secondo luogo, nei modi più diversi si va formando un centro politico il quale, se non è ancora detto che sia capace di affrontare la crisi, ora ha almeno l’onestà di riconoscerla. Non ci lasciamo confondere dal modo paese per paese diverso con cui questo centro si va formando. I laburisti britannici cacciano i propri estremisti e vanno su posizioni più moderate. Macron, con Bayrou, cerca di cooptare tanto la destra (gaullista e non solo) quanto i socialisti ragionevoli. Merz vince portando i cristiano-democratici su posizioni decisamente più a destra rispetto a quelle tenute per lustri sotto la guida della Merkel. Questo nuovo centro, per essere efficace, non ha solo bisogno di esperti e di idee (Draghi ed il suo piano, ad esempio), ma di leader politici e di consenso elettorale. Questo non è tempo né di tecnici né di civici. Come ha notato chiaramente su queste colonne Luca Ricolfi, la domanda cruciale è: per allargare il nuovo centro è più utile isolare le estreme o conviene cooptarle? Il fatto che nessuno abbia una risposta certa a questa domanda non toglie che questa sia la domanda.

In terzo luogo, la risovrapposizione di politica estera e politica interna, in Italia più ancora che nel resto d’Europa, spacca le precedenti alleanze. L’attuale centro-destra e l’attuale centro-sinistra nostrani hanno dentro componenti ostili ed alternative al nuovo centro-politico. La differenza è che mentre il centro-destra ha una leadership che ha provato ad accorciare le distanze dal nuovo centro politico, il centro-sinistra ha affidato se stesso alla Schlein che da questo centro fugge lontano. Se la crisi in corso incrina il centro-destra, essa spacca il centro-sinistra.
Intanto l’illusione più nefasta sarebbe quella di confondere il nuovo centro politico con il vecchio centrismo. Non per caso il nuovo centro politico si forma e si afferma laddove (come in Gran Bretagna, Francia e Germania) vigono alternanza e premierato, ovvero meccanismi che impediscono il formarsi di mere rendite di posizione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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