La nuova centralità di Keir Starmer

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Negli ultimi giorni il Regno Unito ha riacquisito una visibilità internazionale che gli mancava da tempo, di sicuro da prima di Brexit. È il risultato del lavoro del primo ministro Keir Starmer, che si sta presentando come un mediatore tra l’Europa e gli Stati Uniti per i negoziati sulla fine della guerra in Ucraina.

Le sue ambizioni sono diventate evidenti nella riunione organizzata la scorsa domenica a Londra con altri 18 leader, prevalentemente europei (ma c’erano anche il primo ministro canadese Justin Trudeau e il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan). In quell’occasione Starmer aveva espresso l’intenzione di creare una «coalizione di volenterosi» che si occuperà di elaborare un piano di pace tra Russia e Ucraina, da sottoporre poi agli Stati Uniti. Non ha detto chi ne farà parte, ma ha reso chiaro che il gruppo sarà guidato dal Regno Unito e dalla Francia.

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Starmer ha potuto assumere questo compito con una credibilità inedita, dovuta a varie ragioni. Tra le altre cose il primo ministro britannico ha un buon rapporto con Trump, almeno per il momento, e ha dimostrato di saperci fare con lui.

La sua visita alla Casa Bianca del 27 febbraio è stata considerata positiva, anche se Starmer non è riuscito a raggiungere l’obiettivo più importante: dissuadere Trump dall’affrettare una risoluzione della guerra sfavorevole all’Ucraina, e fare in modo che gli Stati Uniti continuino a fornire al paese garanzie di sicurezza che impediscano alla Russia di invaderlo nuovamente. L’incontro di Starmer con Trump è andato meglio di quello del presidente francese Emmanuel Macron, avvenuto pochi giorni prima, e i toni sono stati più distesi.

È andata bene anche perché Starmer ha fatto il possibile per ingraziarsi Trump. Gli ha portato un invito di re Carlo III per una seconda visita di stato (la prima avvenne nel 2019 ai tempi di Elisabetta II), che serviva principalmente a lusingarlo. Inoltre Starmer è arrivato a Washington due giorni dopo aver annunciato che il Regno Unito avrebbe aumentato in modo significativo le spese militari: una cosa che da tempo gli Stati Uniti chiedono ai paesi europei che fanno parte della NATO (tra cui il Regno Unito e anche l’Italia).

In qualche occasione Starmer ha anche contraddetto Trump e il suo vice J.D. Vance. Per esempio, durante l’incontro Vance aveva criticato il Regno Unito dicendo che secondo lui non rispettava il free speech: una teoria feticcio dell’estrema destra e delle intromissioni nella politica britannica di Elon Musk, secondo cui sui media di vari paesi occidentali (e nei social che non possiede) ci sarebbe una specie di censura che limita la libertà di parola (free speech in inglese, appunto). Starmer ha risposto, in modo misurato ma deciso, che era fiero della storia britannica sulla libertà di parola e che sarebbe continuata molto a lungo.

Complessivamente l’incontro ha giovato a Starmer: Trump lo ha definito «un negoziatore tenace» e ha lasciato intendere che avranno trattative separate e più amichevoli rispetto a quelle che avverranno con l’Unione Europea, soprattutto sui dazi.

L’abbraccio tra Keir Starmer e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il 2 marzo a Londra (Toby Melville/Pool via AP)

Oltre all’esito tutto sommato positivo dell’incontro con Trump, la nuova centralità di Starmer è dovuta almeno ad altre due ragioni. Da un lato può beneficiare di buoni rapporti con l’Unione Europea, dovuti all’approccio meno ideologico e antagonistico dei Laburisti (il suo partito) rispetto ai Conservatori, che furono i fautori di Brexit. Questo aspetto lo rende un mediatore più credibile e facilita le relazioni con le istituzioni europee.

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Dall’altro ha il vantaggio della cosiddetta “relazione speciale” (“special relationship” in inglese) tra Regno Unito e Stati Uniti: cioè un rapporto privilegiato, basato anche su ragioni storiche, che nel tempo è stato più o meno sbandierato a seconda della sintonia politica tra i due governi. Starmer ha detto in più occasioni di voler investire su questa relazione, che agli Stati Uniti conviene soprattutto per ragioni d’intelligence.

Fin dall’inizio dell’invasione russa, nel febbraio del 2022, il Regno Unito ha sempre sostenuto l’Ucraina, sia a livello militare (per esempio prospettando l’invio di aerei caccia F-16 quando gli altri paesi temporeggiavano e impegnandosi ad addestrare i piloti) che con varie dichiarazioni pubbliche. Starmer è diventato primo ministro lo scorso luglio, dopo che i Laburisti avevano vinto le elezioni, e ha mantenuto questa posizione. Ultimamente ha preso decisioni concrete in questo senso: tra sabato e domenica ha annunciato nuovi fondi a favore dell’Ucraina: un prestito di 2,26 miliardi di sterline e altri aiuti finanziari per 1,6 miliardi di sterline (rispettivamente 2,73 e 1,9 miliardi di euro).

Il suo attivismo è reso più evidente dai tentennamenti dell’Unione Europea: dopo una fase iniziale di grande mobilitazione, gli aiuti europei all’Ucraina sono stati rallentati e ostacolati dai veti dei governi più vicini alla Russia, ossia l’Ungheria di Viktor Orbán e la Slovacchia di Robert Fico.

Il protagonismo internazionale di Starmer ha fatto bene alla sua popolarità, che era in crisi. Il suo tasso d’approvazione ha recuperato 11 punti ed è tornato primo nelle risposte alla domanda “chi credi possa essere il miglior primo ministro” tra gli attuali leader dei principali partiti, secondo un sondaggio pubblicato lunedì dal think tank More in Common. Per l’incontro di domenica a Londra, il primo ministro ha ricevuto anche il sostegno dell’opposizione e dei Conservatori, una cosa piuttosto rara. «Keir Starmer ha avuto la sua migliore settimana da quando è diventato primo ministro», ha scritto lo Spectator, la più influente rivista di area Conservatrice.

– Leggi anche: Ma tu te la ricordi Brexit?

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