Intelligenza artificiale, Confcooperative: a rischio 6 milioni di lavoratori entro il 2035

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Intelligenza artificiale: 6 milioni di lavoratori italiani saranno a rischio sostituzione entro il 2035, mentre altri 9 milioni dovranno integrarla nelle loro mansioni. Il quadro emerge dal report realizzato da Censis e Confcooperative, che evidenzia d’altro canto come l’intelligenza artificiale (IA) potrebbe contribuire a una crescita del Pil fino a 38 miliardi di euro (+1,8%) sempre nei prossimi dieci anni.

Chi rischia di più

Le professioni più esposte alla sostituzione con l’IA sono quelle basate su attività altamente automatizzabili, nell’ordine:

  • Matematici;
  • Contabili;
  • Tecnici della gestione finanziaria;
  • Tecnici statistici;
  • Economi e tesorieri;
  • Valutatori di rischio e liquidatori;
  • Tecnici del lavoro bancario;
  • Specialisti della gestione e del controllo delle imprese pubbliche e private.

Al contrario, altre professioni potranno integrare l’IA senza essere sostituite, mantenendo un ruolo centrale grazie a competenze umane difficilmente replicabili, come quelle di:

  • Direttori e dirigenti di finanza e amministrazione;
  • Responsabili delle risorse umane;
  • Notai;
  • Avvocati ed esperti legali in enti pubblici;
  • Magistrati;
  • Specialisti in sistemi economici;
  • Psicologi e psicoterapeuti;
  • Archeologi e specialisti in discipline religiose.
Livello d’istruzione e gender gap

Altro elemento che emerge dallo studio: le professioni ad alta esposizione di sostituzione con l’IA coinvolgono il 54% dei lavoratori che hanno un’istruzione superiore e il 33% di quelli con un diploma di laurea. Nella fascia di lavoratori meno esposti all’automazione, il 64% invece non ha conseguito un diploma di scuola superiore e solo il 3% è laureato. Mentre tra coloro che potranno integrare l’IA nei propri compiti, il 59% possiede una laurea e il 29% ha un diploma superiore.

Il livello di esposizione all’intelligenza artificiale, che aumenta con il grado di istruzione, provoca anche un acuirsi del gender gap, dal momento che le donne risultano più esposte rispetto agli uomini. Rappresentano infatti il 54% dei lavoratori ad alta esposizione di sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità.

Italia ed Europa

Il gap non è solo di genere, ma emerge anche nel confronto tra i sistemi imprenditoriali dei Paesi europei. Nel 2024, solo l’8,2% delle imprese italiane ha utilizzato l’IA, contro il 19,7% della Germania, 11,3% della Spagna, il 9,91% della Francia e a fronte di una media Ue del 13,5%. Un divario evidente in particolare nei settori del commercio e della manifattura, dove l’Italia registra tassi di adozione dell’IA ancora inferiori alla media europea. E con le grandi imprese nazionali che mostrano una maggiore propensione all’investimento rispetto alle Pmi.

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Un altro elemento critico riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo. L’Italia destina solo l’1,33% del Pil a questo settore, mentre la media europea si attesta al 2,33%. L’obiettivo Ue per il 2030 è raggiungere il 3% del Pil, già superato dalla Germania (3,15%), mentre la Francia si ferma al 2,18%. Anche in questo caso, il ritardo italiano è dovuto alla predominanza di micro imprese, meno inclini a investire in innovazione rispetto alle grandi aziende.

Nel biennio 2025-2026, il 19,5% delle imprese italiane prevede comunque di investire in beni e servizi legati all’IA, con differenze significative tra i settori che vanno dal 55% nell’informatica all’1,4% nella ristorazione. E con le grandi imprese che risultano più inclini a investire in intelligenza artificiale rispetto alle piccole e medie imprese, evidenziando un ulteriore divario competitivo.

Da Gardini a Milza

“È un conto economico in chiaro scuro quello che l’intelligenza artificiale si appresta a presentare al nostro Paese”, commenta Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative. Come abbiamo visto, “da qui al 2035 l’intelligenza artificiale porterà una crescita del Pil fino a 38 miliardi, pari a un +1,8%; ma 6 milioni di lavoratori sono a rischio sostituzione, mentre 9 milioni potrebbero vedere l’IA integrarsi con le loro mansioni. Questi dati dimostrano come il paradigma vada subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo, con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa”, conclude Gardini.

“Le cooperative, soprattutto in Emilia-Romagna, possono giocare un ruolo chiave per promuovere una transizione tecnologica inclusiva, che non lasci indietro nessuno, promuovendo l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi, organizzativi e di erogazione dei servizi, come già in molti casi stanno facendo”, afferma Francesco Milza, presidente regionale di Confcooperative. “È indispensabile investire in formazione sia nelle imprese che nella pubblica amministrazione, per far sì che l’IA non sottragga posti di lavoro, ma migliori le condizioni lavorative e valorizzi il capitale umano. Dobbiamo farci trovare pronti davanti a questo cambiamento per certi versi rivoluzionario”.

Per Milza quindi “è essenziale un impegno comune tra istituzioni, imprese e lavoratori. E vanno proprio in questa direzione le azioni portate avanti da Confcooperative Emilia-Romagna, come l’adesione alla Fondazione Ifab del Tecnopolo di Bologna (rinominato Dama), per mettere a disposizione delle imprese dei nostri territori le grandi innovazioni tecnologiche e digitali portate avanti in quell’hub, sia sull’intelligenza artificiale che sui big data”.


Giovanni Volpi, giornalista professionista, è il direttore del Mio Giornale.net. Ha iniziato al Sole-24 Ore nel 1993. Dieci anni dopo è passato in Mondadori, a Tv Sorrisi e Canzoni, dove ha ricoperto anche il ruolo di vicedirettore. Ha diretto Guida Tv, TelePiù e 2Tv; sempre in Mondadori è stato vicedirettore di Grazia. Ha collaborato con il Gruppo Espresso come consulente editoriale e giornalistico dei quotidiani locali Finegil.

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