Il dialogo non decolla, Governo e Anm restano lontani

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Alla fine, l’atteso incontro a Palazzo Chigi fra il Governo e l’Associazione nazionale magistrati si è concluso con un sostanziale nulla di fatto. Dopo due ore di confronto pomeridiano – al netto di convenevoli, schermaglie e chiarimenti – sulla dibattuta riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario (che separa in modo ferreo le carriere di pm e giudice, crea due diversi Csm e istituisce un’Alta corte disciplinare), ciascuna parte è rimasta con le proprie convinzioni. Le voci su alcune aperture governative, circolate nei giorni scorsi, non hanno trovato conferma. E lo scontro in atto da mesi, che ha portato allo sciopero dell’80% dei magistrati il 27 febbraio, non si è ricomposto. La premier Giorgia Meloni, i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, il Guardasigilli Carlo Nordio e il sottosegretario Alfredo Mantovano hanno ribadito che la riforma «non è contro i magistrati, ma per i cittadini» e sono intenzionati ad andare avanti; i vertici dell’Anm, la cui delegazione era guidata dal presidente Cesare Parodi e dal segretario Rocco Maruotti, restano critici sulle modifiche, ritenendo che pregiudichino l’autonomia e l’indipendenza delle toghe, e continueranno con la propria mobilitazione.

Il muro del Governo: «Incontro franco»

Posizioni che trovano eco nelle considerazioni finali delle due parti. L’esecutivo affida le proprie a una nota, in cui giudica l’incontro «franco e proficuo», ringraziando l’Anm per «le osservazioni e i contributi», annunciando «la disponibilità ad aprire un tavolo di confronto» non sul testo costituzionale in sé ma «sulle leggi ordinarie di attuazione» e sul documento in 8 punti presentato dalle toghe, con richieste per far funzionare meglio l’amministrazione della giustizia e le carceri. Ciò detto, però, la nota si chiude con la perentoria riaffermazione della «volontà di proseguire con determinazione e velocità nel percorso di attuazione della riforma» (che per ora ha incassato il primo dei 4 sì, due per Camera, necessari), auspicando «la sua approvazione in tempi rapidi» (verosimilmente, non prima dell’autunno).

La delusione dell’Anm: almeno c’è stata chiarezza

Dal canto loro, dopo essere entrati a Palazzo Chigi con una coccarda tricolore appunta sulle giacche, i magistrati ne sono usciti senza grandi entusiasmi. «Abbiamo chiesto maggior rispetto per i magistrati, spesso accusati di produrre dei provvedimenti non giurisdizionali ma ideologici», come nel caso delle sentenze sui migranti, riferisce Parodi dopo l’incontro, spiegando che la presidente del Consiglio «ha risposto che la politica a sua volta sente di essere attaccata». In ogni caso, aggiunge il presidente dell’Anm, «non mi aspettavo di più e non lo considero un fallimento, è stato un lungo scambio di opinioni. E non ha portato a sostanziali modifiche delle nostre posizioni e tanto meno di quelle del Governo. Lo considero un momento di chiarezza». Parodi, esponente di Magistratura Indipendente (la corrente conservatrice delle toghe), si dice ben consapevole che «questo processo è destinato ad andare avanti legittimamente», è una procedura costituzionale «nella quale ci inseriremo come cittadini nel dibattito democratico». La mobilitazione dunque continuerà, anche in vista di un possibile referendum confermativo, necessario nel caso in cui il Parlamento non dovesse approvare il testo con la maggioranza dei due terzi. Nessun punto di incontro neppure rispetto alle possibili modifiche ventilate da fonti di governo nel giorno dello sciopero. «Non abbiamo parlato di sorteggio temperato – dice Parodi -. Ero certo che nulla sarebbe arrivato, per una ragione di tempi. La riforma non può tornare indietro. Se il governo vuole approvarla in questa legislatura, non può neanche fare una piccola correzione perché altrimenti dovrebbe ripartire da capo alle Camere». L’unico «dato positivo», aggiunge, è che sulla presunta intenzione di togliere ai pubblici ministeri il coordinamento della polizia giudiziaria «c’è stata una netta smentita della notizia, sia Meloni che Nordio non hanno intenzione di dare corso a quest’illazione giornalistica». Insomma, a suo parere, «meglio così, chiarezza per tutti. Noi andiamo avanti con serenità» e «se la riforma sarà approvata, saremo i primi ad applicarla».

La sponda degli avvocati penalisti: l’esecutivo vada avanti

In mattinata, a Palazzo Chigi è stata ricevuta una delegazione dell’Unione camere penali, guidata dal presidente Francesco Petrelli. Anche lui usa il termine «proficuo» per definire l’incontro con la premier, che gli ha assicurato che ce ne saranno altri. A Meloni, Petrelli ha confermato il «pieno sostegno» alla riforma da parte degli avvocati penalisti, convinti che sarà utile per frenare «le degenerazioni correntizie» nella magistratura. Al Governo, Petrelli ha rappresentato anche altre questioni, come la richiesta di rivedere alcuni «punti critici del pacchetto sicurezza», fermo in Senato, e di intervenire sul «problema tragico dei suicidi in carcere e del sovraffollamento». Dal canto suo, la presidente del Consiglio ha ribadito ai penalisti che «la separazione delle carriere costituisce ormai un processo ineludibile» e che «la riforma prevede la separazione fra chi accusa e chi giudica e punta a garantire una vera parità processuale fra accusa e difesa». Nessun cedimento, dunque. Il che fa presagire che il clima di tensione, al di là dei giri di parole, fra toghe e governo proseguirà.





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