Paesi arabi uniti nel respingere la pulizia etnica di Gaza proposta da Donald Trump, però divisi e senza soluzioni fondante sulla realtà su chi dovrebbe guidare la Striscia di Gaza se e quando finirà definitivamente l’offensiva israeliana. I palestinesi ripetono che intendono governarsi da soli, senza presenze straniere, ma questo principio è stato tenuto ai margini ieri al vertice straordinario della Lega araba convocato al Cairo per l’approvazione, avvenuta in serata, del piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Le indiscrezioni riferite dalla stampa araba spiegano che alle pressioni di Israele che chiede l’esclusione totale di Hamas – e anche dell’Anp di Abu Mazen – dall’ipotetico esecutivo che gestirà Gaza, si sono unite quelle degli Emirati che, in cambio dei suoi possibili fondi per la ricostruzione chiede di tenere fuori dai giochi il movimento islamico palestinese. Di segno opposto, aggiungono le fonti arabe, le pressioni del Qatar e di altri paesi della Lega araba che sollecitano un approccio vicino alla realtà sul terreno poiché Hamas dimostra di avere ancora il controllo della Striscia.
Da Gaza Hamas non ha mancato di far sentire la sua voce. La scomparsa di Hamas e il suo disarmo sono una «linea rossa», ha avvertito Sami Abu Zuhri, un dirigente del movimento islamico rivolgendosi ai partecipanti al summit e anche a Israele che ha condizionato la continuazione della tregua alla «demilitarizzazione totale» di Gaza. «Ogni discussione sulle armi della resistenza è priva di logica. È una questione non negoziabile», ha aggiunto Abu Zuhri. Altri rappresentanti di Hamas hanno usato toni più morbidi. Hazem Qassem ha spiegato che «Non è necessario che Hamas faccia parte degli accordi amministrativi a Gaza e che in ogni caso qualsiasi accordo deve basarsi sul consenso nazionale».
Il piano egiziano, formulato anche con il fine di tenere in vita la soluzione a Due Stati (Israele e Palestina), prevede l’istituzione di un «Comitato di amministrazione» per Gaza, composto da tecnocrati, sotto l’egida del governo dell’Anp, per gestire il territorio durante una fase di transizione di sei mesi. Egitto e Giordania dovranno formare nuove forze di sicurezza palestinesi, senza Hamas. Si fa riferimento anche la possibilità di una non meglio precisata presenza internazionale.
Quanto alla ricostruzione, sono due le fasi delineate nel piano egiziano. La prima di sei mesi con un costo di tre miliardi di dollari, si concentrerebbe sulla rimozione delle macerie, la fornitura di case mobili e l’istituzione di sette siti per ospitare gli sfollati. Verrebbero inoltre riparate 60.000 case danneggiate. La seconda fase durerà quattro anni e mezzo: fino al 2027 con un budget di 20 miliardi di dollari si concentrerebbe sulla costruzione delle infrastrutture essenziali e di 200.000 case. Quindi con 30 miliardi di dollari, nei successivi tre anni, punterebbe a completare le infrastrutture e a costruire altre 200.000 case, oltre a zone industriali, un porto e un aeroporto. Applausi e approvazione da parte dei partecipanti al vertice tra cui il presidente dell’Ue, Antonio Costa, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres e anche il presidente palestinese Abu Mazen. Quest’ultimo, ringalluzzito dalla prospettiva di un ritorno dell’Anp a Gaza, ha anche detto di poter convocare le elezioni presidenziali e legislative entro un anno. I palestinesi non gli credono più dopo tanti rinvii.
Scettici gli analisti. Il piano egiziano, dicono, risulterà inefficace senza una visione politica realistica e sostenibile. «Si parla di finanziamenti per 53 miliardi di dollari, ma nessuno dei partecipanti al vertice ha garantito un solo dollaro per la ricostruzione di Gaza», ha detto al manifesto Ghassan Khatib, docente di scienze politiche all’università di Bir Zeit «e più di questo c’è che questo piano non prende nella giusta considerazione il ruolo e il peso sul terreno di Israele e Hamas, i veri attori sulla scena, quindi, ha possibilità minime di essere accettato e attuato». Per Khatib, tirando le somme, «la sola nota positiva della riunione al Cairo è il rifiuto compatto del piano di Trump che vuole deportare la popolazione da Gaza».
Mentre in Egitto si discuteva della ricostruzione di Gaza, il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar alzava l’asticella. Per passare alla seconda fase dell’accordo sulla tregua, ha detto, Israele vuole che Hamas rilasci subito i 59 ostaggi (24 sono ancora vivi) ancora nelle sue mani. Quindi, il portavoce del governo, Omer Dostri, ha avvertito che Hamas ha solo alcuni giorni per accettare l’estensione della prima fase del cessate il fuoco proposta dagli Usa. «In caso contrario – ha ammonito Dostri – il governo si riunirà (domenica) e deciderà il passo successivo», ossia la guerra.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link