Sono ormai cento i giorni di manifestazioni ininterrotte in Georgia: dallo scorso autunno numerose categorie di manifestanti non hanno mai smesso di protestare contro le leggi adottate dal governo e contro la decisione di allontanarsi dall’UE. Un’analisi
È dalla primavera 2024, con la Legge sugli agenti stranieri, che la società georgiana è sotto forte stress politico, certo non alleviato da una campagna elettorale che ha puntato su emozioni forti. Si ricordi l’uso delle immagini scioccanti dell’Ucraina bombardata, come memento belli e tema forte della campagna elettorale del Sogno georgiano, partito dichiaratosi vincitore delle elezioni.
Le proteste in Georgia, cominciate contro l’esito delle elezioni parlamentari dell’ottobre 2024 e che hanno ricevuto un nuovo impulso dalla dichiarazione del primo ministro del Sogno georgiano Irakli Kobakhidze sulla sospensione delle negoziazioni con l’Unione Europea, sono l’ultimo atto di una lunga mobilitazione contro il sempre più isolato partito di governo.
La mobilitazione dal novembre 2024 è stata probabilmente la più partecipata della storia del paese, e si è estesa oltre i confini nazionali con la partecipazione delle comunità georgiane all’estero.
Sono ormai un centinaio di giorni di mobilitazione non-stop, un evento senza precedenti, anche per il ricorso a nuove modalità di manifestazione. Gli epicentri a Tbilisi: viale Rustaveli e significativamente davanti al parlamento, dove spesso si è combattuta la sorte del futuro del paese, Piazza degli Eroi, ma anche l’Università di Tbilisi e l’Emittente pubblica nazionale, tutti teatro di scontri.
I manifestanti hanno utilizzato in modo mai fatto prima i fuochi d’artificio. Ci sono stati tentativi di assalto al parlamento, che si è trasformato in una inespugnabile fortezza e il cui livello di sicurezza è stato più volte cambiato, da giallo a rosso.
Questa fase è stata seguita da un inasprimento delle normative in atto: banditi i fuochi d’artificio, nonché metodi di protezione personale e divieto di coprirsi il volto. Le manifestazioni sono comunque andate avanti, estendendosi a tutto il paese. Cosa rara, non c’è praticamente città o cittadina della Georgia che non abbia partecipato alla mobilitazione generale, sebbene non con la forza che si è espressa nella capitale.
Secondo epicentro Batumi, dove oltre ai palazzi governativi è stata oggetto di presidi popolari la Corte Costituzionale (ivi spostata per un bizzarro progetto di devoluzione istituzionale), e Kutaisi, Zugdidi fino alle cittadine abitate dalle minoranze, così raramente protagoniste nelle vicende politiche nazionali.
I georgiani hanno formato una catena umana, come i baltici all’epoca della dissoluzione dell’URSS, e come in occasione della guerra contro la Russia e successiva occupazione del 2008. Hanno protestato danzando, con una lunga processione di danzatori di khorumi, la tradizionale danza della guerra, che ha reso la sera della manifestazione in cui si è tenuta, il 21 dicembre, una delle più scenografiche e apprezzate. È stato anche organizzato un primo sciopero generale, una modalità di manifestazione inedita nel paese, seguito poi da un secondo sciopero.
Le manifestazioni, largamente autogestite e organizzate da vari gruppi che usano i social media, in particolar modo gruppi facebook, hanno determinate caratteristiche o tematiche oppure riguardano categorie di persone.
Ed è difficile trovare una categoria che non si è mobilitata: escursionisti, ciclisti, ricercatori, malati oncologici, persone con disabilità, madri, nonni, germanofoni, francofoni, musicisti, teatranti, attori, veterani, agricoltori, scrittori… Insomma, i mille volti della Georgia in piazza contro l’allontanamento dal percorso europeo, contro l’involuzione democratica, e – man mano che la repressione si espandeva – contro la violenza, gli arresti arbitrari, per i prigionieri politici, le multe draconiane.
Un lunghissimo inverno
Di fronte a questa mobilitazione che non ha precedenti, il governo del Sogno ha altalenato varie strategie.
La fase iniziale è stata caratterizzata dal muro contro muro: idranti, fumogeni e irritanti in quantità tali che hanno causato diversi ricoveri. Quando il sindaco di Tbilisi Kaka Khaladze avrebbe voluto inaugurare in pompa magna il periodo natalizio con l’accensione dell’albero di natale, il sabato dell’elezione di Mikheil Kavelashvili, i medici hanno sconsigliato di portare i bambini alla cerimonia, perché l’albero si trovava in centro e l’area era contaminata da irritanti la cui natura il ministero degli Interni non ha rivelato.
Alla repressione su larga scala, con appunto le autobotti e le cariche, si aggiunge l’uso dei famigerati furgoncini bianchi , dove i manifestanti vengono caricati e picchiati selvaggiamente.
Le cariche sono state accompagnate da cacce all’uomo, con singoli manifestanti braccati, isolati dal gruppo e circondati da numerosi poliziotti o figure sprovviste di identificativi ma che lavoravano in stretta coordinazione con le forze dell’ordine, trascinati verso i furgoncini dove avvenivano i pestaggi.
Arresti violenti e pestaggi sono avvenuti anche in aree relativamente remote da quelle in cui si svolgeva la manifestazione, e sempre di più avvengono estemporaneamente, quando persone probabilmente registrate come politicamente attive vengono prelevate o aggredite anche al di fuori del contesto della manifestazione, mentre accompagnano i figli all’asilo, portano a spasso il cane, vanno al lavoro.
A queste misure si aggiungono le perquisizioni in casa, spesso svolte non in linea con i requisiti di legalità, il sequestro dei beni personali, che le persone in stato di fermo lamentano ripetutamente non essere mai stati resi.
Mentre gli attacchi individuali sono continuati durante tutto il periodo della mobilitazione, la repressione violenta delle manifestazioni si è alternata con fasi in cui non avvenivano cariche e la strategia sembrava più basata sul fiaccare il morale, rimuovendo e intimidendo attivisti e organizzatori, sminuendo la portata della mobilitazione, il suo peso politico e la sua popolarità.
I numeri, le violenze mirate
Intanto le varie ONG e media snocciolano i numeri: Transparency International parla di 400 arrestati nel solo periodo fra il 28 novembre e il 6 dicembre, di cui 300 porterebbero i segni di violenza e tortura. Civil.ge parla di 11 politici picchiati.
Fra i capolista dell’opposizione sono stati picchiati o arrestati/fermati, o entrambe le cose, Nika Melia, Nika Gvaramia (trascinato via in stato di arresto esanime dopo un pestaggio), Zurab Japaridze della coalizione per il cambiamento, vari esponenti del Movimento Nazionale Unito fra cui l’ex segretario e l’ex sindaco di Tbilisi.
A Batumi è stato assalito in albergo e picchiato Giorgi Gakharia, ex ministro degli Interni e ex primo ministro, che aveva peraltro denunciato l’uso dei così detti titushki, i picchiatori in borghese e a viso scoperto, una sorta di milizia che fa il “lavoro sporco”.
Del loro ruolo e di come vengono gestite le repressioni, delle responsabilità del ministero degli Interni e di singoli dipendenti hanno parlato anche degli insider , visto che qualcuno ha abbandonato il proprio incarico, e – non a caso – il paese.
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