«Lei viene qui a difendere le borsette, ma chi difende gli italiani dalle bollette?». La battuta con cui, nel giorno della mozione di sfiducia contro il ministro del Turismo, Elly Schlein ha attaccato Daniela Santanchè è finita su tutti i giornali, ottenendo lo scopo di rimarcare la distanza fra un esecutivo apparentemente concentrato su questioni che interessano a un’élite e un’opposizione che invece si occupa di cose concrete, come il costo dell’energia.
Ma è davvero così, come vogliono far apparire la segretaria del Pd e i suoi alleati? Innanzitutto, chiariamo una cosa. Se c’è una persona che ha poco o niente a che fare con le bollette del gas e della luce questa è Daniela Santanchè, che nella sua vita si è occupata di molte cose, di pubbliche relazioni e pubblicità, di editoria, attività di ristorazione e intrattenimento, ma mai di energia. Ovviamente, capisco che nella polemica politica non si vada troppo per il sottile e dunque si intesta al ministro anche ciò che non dipende direttamente dal suo dicastero. Tuttavia, acclarato che effettivamente il costo di gas e luce nel corso degli anni è aumentato a dismisura e oggi è tra i più cari d’Europa, ci sarebbe da chiedersi di chi sia la colpa. Per i prezzi che sono costretti a pagare si lamentano le aziende e anche i cittadini, ma nessuno pare chiedersi il motivo per cui noi, a differenza di Francia e altri Paesi, dobbiamo scontare uno svantaggio che oltre a limitare la competitività delle aziende pesa sui portafogli delle famiglie.
La risposta è molto facile e va cercata nelle scelte fatte in passato, a cominciare dalle limitazioni imposte alle società di produzione dell’energia negli ultimi 60 anni. Cominciamo da quelle che hanno riguardato le centrali idroelettriche, ovvero la fonte rinnovabile per eccellenza. L’acqua è il nostro petrolio, la fonte più pulita che ci sia. Ma dal disastro del Vajont in poi costruire una diga o anche sbancare un pezzo di bosco per fare una condotta che porti a valle il corso di un torrente, e alimentare così una turbina, non è possibile, perché al primo rombo di ruspa si mobilitano ambientalisti e partiti, perciò i cantieri vengono bloccati. Dunque, se dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso abbiamo rinunciato ad accendere la luce e riscaldarci con l’energia elettrica (come al contrario avviene in altri Paesi, a cominciare dalla Svizzera), fino alla metà degli anni Ottanta avevamo una promettente industria nucleare. Ma, ahinoi è arrivato il disastro di Chernobyl, ovvero l’incidente che ha riguardato la centrale ucraina ai tempi dell’Unione sovietica. Lo spavento per la fuga radioattiva ha indotto l’opinione pubblica a diffidare anche dell’energia prodotta con l’atomo, come vent’anni prima aveva iniziato a guardare con sospetto ogni bacino idrico. Risultato, dopo che un referendum ha decretato la chiusura delle centrali nucleari, in Italia abbiamo speso un mucchio di soldi per spegnere gli impianti di Caorso, Trino Vercellese, Montalto di Castro e Sessa Aurunca.
A questo punto, per riscaldarci e accendere la luce a noi non sono rimasti che il carbone, il gas, la biomassa, i pannelli solari e le pale eoliche. Ma i primi combustibili, accusati di contribuire alle emissioni di CO2sono avversati dalla Ue e anche dalla popolazione, mentre gli impianti fotovoltaici ed eolici, a meno che non si tratti di installazioni domestiche, trovano un’infinità di resistenze da parte dei comitati ambientalisti. In pratica, non si può realizzare e non si realizza quasi nulla, perché che si tratti di bruciare la legna o di far girare le pale in mezzo al mare c’è sempre qualcuno che si oppone. Una volta bisogna salvaguardare un’area protetta, un’altra tutelare la fauna ittica, sta di fatto che resta tutto al palo. Ormai perfino Terna, la società pubblica che si occupa di mantenere efficiente la rete elettrica, è avversata e i suoi progetti, che si tratti di una cabina di alta tensione o di un impianto di energie rinnovabili, non vedono la luce.
Risultato: noi siamo costretti a importare energia dall’estero, a prezzi di mercato che di regola seguono l’andamento di guerre, catastrofi e l’altalena dei cambi, con la conseguenza di costare di più. Cioè, se oggi noi paghiamo una bolletta salata a differenza di altri cittadini europei, la colpa non è di Daniela Santanchè o del governo di cui fa parte, ma di chi negli anni non si è preoccupato delle ricadute di alcune scelte politiche. Volete sapere a chi addebitare la responsabilità? Beh, anche questa è una risposta facile. In prima fila contro le dighe e le centrali nucleari c’è sempre stata la sinistra, ovvero i predecessori di Elly Schlein. Il Pci-Pds-Ds-Pd ha sposato ogni campagna ambientalista, facendosi promotore insieme ai radicali e ai verdi dei referendum contro il nucleare, delle proteste contro le centrali di ogni tipo, comprese quelle elettriche e fotovoltaiche.
Perciò, se c’è qualcuno che non si è preoccupato del rincaro delle bollette, non è la Santanchè, bensì i compagni. I quali parlano delle borsette del ministro del Turismo, ma dovrebbero rispondere dei guai provocati al borsellino degli italiani da alcune sciagurate scelte del passato, anche recente.
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