Nell’inserto “L’altra intelligenza tra opportunità e minacce”, presente all’interno della Relazione annuale dei servizi segreti, viene fatto uno stato dell’arte del momento storico. Il mantra rimane quello di sempre: se si governano i pericoli, allora potremmo sfruttare al meglio i benefici della tecnologia. E c’è urgenza di colmare il gap tra Paesi industrializzati e Global South
04/03/2025
Attorno all’intelligenza artificiale ruotano pro e contro. Ormai è chiaro che solo gestendo questi ultimi si potrà godere dei benefici che la tecnologia è in grado di apportare. Vale per tutto. “L’IA potenzia minacce che sono già all’attenzione dei Servizi Informativi, come quella cibernetica o la disinformazione, ma offre anche nuove opportunità per lo svolgimento delle proprie attività istituzionali”, si legge ne “L’altra intelligenza tra opportunità e minacce“, l’inserto dedicato all’intelligenza artificiale inserito all’interno della Relazione annuale dei servizi segreti. Un focus su cui era impossibile sorvolare, ampiamente trattato durante il G7 a guida italiana, in cui sono emerse due parole chiave: valori e inclusione. I primi sono quelli che riportano l’uomo al centro di ogni discorso, così come i suoi diritti fondamentali che devono essere maggiormente rafforzati dal progresso, e non indeboliti. L’inclusione si lega profondamente a questo concetto, visto che indica la mitigazione dei rischi derivanti dagli strumenti tecnologici.
La tutela dell’individuo parte inevitabilmente dalla salvaguardia dei suoi dati personali. Ma anche la disinformazione è una delle conseguenze negative prodotte dell’IA che può nuocere all’uomo. Anzi, come viene sottolineato nel report, la stessa IA è “intossicabile”. I dati e le informazioni su cui lavora non sono neutri, perché se si basano su preconcetti discriminatori l’apprendimento produrrà degli strumenti che riflettono quelle convinzioni. “I diritti fondamentali della persona umana debbono dunque essere la fonte ispiratrice per l’apprendimento dell’IA generativa, affinché sia un fattore di sviluppo. L’affidabilità dei sistemi IA è fondamentale. L’accuratezza e l’autenticità dei dati e dei contenuti sono elementi essenziali per il rispetto dei diritti in una società sempre più integrata con sistemi artificiali”.
Tuttavia, l’aspetto che più spaventa l’essere umano riguarda il posto di lavoro. Con l’avvento degli strumenti tech di ultima generazione, la sostituzione non è distopia ma una realtà concreta. “Ogni rivoluzione tecnologica che si tramuta in rivoluzione industriale genera conseguenze sul mercato del lavoro”, spiega l’intelligence riflettendo sul fatto che, “rispetto a un secolo fa, l’elenco dei lavori scomparsi è lungo tanto quanto quello delle nuove mansioni e specializzazioni”. L’impatto si farà maggiormente sentire su tre funzioni aziendali in particolari: i servizi interni, lo sviluppo di prodotti o servizi offerti alla clientela e le vendite. Soprattutto nel settore delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie, l’IA dovrebbe portare maggiori benefici, in quanto permetterà di abbattere i costi e aumentare i ricavi.
Eppure è il giornalismo a fare del bene all’IA. Con i file audio e video pubblicati, facilita ad esempio l’addestramento dei modelli di apprendimento automatico. Ma soprattutto, nessun sistema di IA sarebbe in grado di trovare una storia, di raccontarla e di verificarla nei fatti. Sebbene il crollo dei media sia una costante negli Stati Uniti (-70,9% nell’occupazione negli ultimi 18 anni) e in Europa (l’Italia segna un -10%), la colpa non è dell’IA – che ha invece grandi responsabilità sulla diffusione di fake news. Così come non sarà la tecnologia a risolvere il problema. Pertanto, dipende dal giornalista. “La sostituzione del professionista con l’IA non appare né immediata né scontata”. E vale un po’ per tutti i campi.
Dal punto di vista economico, “si stima che un ampio ricorso ai sistemi IA possa generare a livello globale, nel prossimo decennio, un incremento della produttività annuale tra l’1,2% e l’1,4%, con una significativa prevalenza delle economie avanzate (circa 1,5%) rispetto ai mercati emergenti (1% circa)”, scrive ancora l’intelligence. “Maggiore è l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e maggiore risulta l’innalzamento della produttività (per esempio, in Israele, Giappone o Regno Unito)”. La Gran Bretagna è anche il primo paese europeo nella classifica del Global AI Index – che considera gli investimenti, l’innovazione e l’implementazione dei sistemi di intelligenza artificiale nei paesi di tutto il mondo – mentre per l’Unione europea figura la Francia al quinto posto. Prima di tutti ci sono gli Stati Uniti, seguiti dalla Cina seppur con un divario importante.
Lo scenario che abbiamo attualmente davanti non è ancora quello dei migliori. O comunque quello sperato. Il mondo corre a due velocità: da una parte Nord America, Europa e Asia Orientale, dall’altra l’Africa Subsahariana e più in generale i paesi che formano il Global South. Inutile sottolineare come i primi vadano a un’andatura superiore rispetto agli altri, ma è fondamentale che il gap venga colmato il prima possibile. “Senza solide e adeguate infrastrutture tecnologiche e dei dati, la disparità nella ‘AI Readiness’ si tramuta in disuguaglianza”, si legge nel rapporto degli 007. “Tra i maggiori ostacoli merita segnalare il costo elevato dell’addestramento degli algoritmi IA, e più in generale il costo per creare, gestire e manutenere un’infrastruttura di intelligenza artificiale”. Per la mitigazione dei pericoli, “se da un lato va favorita l’affermazione di sistemi IA inter-operabili e di set di dati aperti per il loro addestramento, dall’altro va incoraggiata la cooperazione tra economie avanzate e Global South, soprattutto per l’aiuto all’accesso delle onerose capacità computazionali richieste dall’intelligenza artificiale”.
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