Ciao, sono Ciro e questo è “Saluti da Napoli – storia d’una città che non è una cartolina”. Se vuoi sostenere il gravoso impegno di tenere questa newsletter, beh, siamo a Carnevale: vestiti da vicepremier ministro dei Trasporti italiano e vedi se riesci a fare meglio dell’epifenomeno attuale. Al massimo mi fai fare due risate.
Ora ascoltatemi bene! Questo è un uomo, e ha un nome, e il suo nome è Robert Paulsen, ok?! Robert Paulsen. È un uomo ed ora è morto per tutti noi. Capite?
da “Fight Club”, di Chuck Palahniuk
C’è stato un momento in cui nelle pagine di cronaca si mettevano le foto di chiunque. Maschi, femmine, adulti, bambini. Le “capuzzelle” – si chiamano così perché sono foto riquadro classiche della carta d’identità o del foglio di polizia – si prendevano in questura o in caserma o a casa della disgraziata famiglia (Vittorio Zucconi lo racconta bene in “Parola di giornalista”. Mi manca molto leggere Zucconi).
Poi sono arrivati i social e praticamente è un buffet dei cazzi altrui. Ma ne abbiamo già parlato qualche tempo fa.
Per deontologia i giornalisti dovrebbero stare molto attenti ai suicidi: il nome, le foto. Eppure non accade quasi mai. Insegno da un decennio e ti posso dire che da questo fronte va sempre peggio.
Non sempre per cinismo, ma perché ci convinciamo che alcune morti siano, più di altre, necessarie da mostrare in ogni particolare per denunciare situazioni, vessazioni, bullismi, umiliazioni, povertà.
Dunque non sarà cinismo ma è sicuramente ego: pensiamo di avere sempre una risposta ad una storia che non è nostra.
In realtà, a meno che le persone non si premurino di farlo sapere con una lettera, un biglietto o altro, nessuno è in grado di stabilire con certezza perché una persona si è tolta la vita. Nemmeno se hai in mano la cartella clinica.
Dunque? La storia di Ciro non la racconto? E come si fa.
Quarant’anni, pasticciere, senza lavoro fisso. La famiglia dice che aveva affrontato un periodo depressivo e ne stava uscendo.
Mercoledì, Ciro, dopo aver offerto un caffè all’ufficiale giudiziario che gli aveva notificato la sentenza di sfratto esecutivo, si è tolto la vita in camera da letto.
Ci sono due modi per affrontare la notizia. Dire che era depresso e andare avanti o dare la nota di cronaca e poi affrontare, nei giorni a venire, il contesto in cui è maturato il fatto.
Perché è successo in quella Caivano provincia di Napoli che ha dato nome ad un decreto “salva città” ma che non salva proprio niente.
Ciro è ghiuto ‘a sotto.
Così si dice. È andato sotto.
E può succedere a chiunque. Immaginatelo come il giochino infame dei fratelli miliardari Duke di “Una poltrona per due”: se una serie di cose girano male vai sotto.
Nella Caivano dei decreti, dei militari, delle caserme e delle palestre piene d’esercito e finanza i Ciro sono scamazzati. Succede lì e in tanti altri posti d’Italia.
«Sfrattato, si uccide», questo è accaduto, questa è la cronaca minima del nostro piccolo mondo, fagocitata in questi giorni dai Trump e dai Papa Francesco.
La sintesi è politica, come sempre: il morbo delle città, il malessere delle persone non si scaccia via coi decreti. Guardate Quarticciolo a Roma. Nessuno si salva da solo.
Roccaraso e Maranza uguali sono
Non ci siamo ancora ripresi dalla cretinata passata alla storia dei peggiori media come «l’invasione dei napoletani a Roccaraso» che subito ne esce un’altra. Stavolta al contrario. I «maranza» (sinonimo di cuozzo) milanesi che sarebbero dovuti calare a Napoli approfittando della partita contro l’Inter. Un’idiozia totale, nata su Tiktok, senza uno straccio di collegamento con la realtà e che pure però ha determinato dichiarazioni e allerte di questori e prefetti.
Sarebbe bastato mandare una sola volante da uno di questi qui – che stanno con nome e cognome sui social, mica sono agenti segreti – per dire: «ah ma davvero volete calare a Napoli per fare qualcosa?» e capire che era na strunzata. Troppo complicato, vero? Meglio zone rosse e controlli a tappeto.
Dove dovevano concentrarsi i «maranza», poi, stando a Tiktok? A Scampia.
Scampia è un quartiere tutto sommato tranquillo, dove però la gente c’ha già tanti cazzi per la testa. E magari, come dire, provocarli non sarebbe stata una buona mossa.
Avrei voluto vedere tanti milanesi (maranza o no) invece al Carnevale Sociale del Gridas a Scampia. Quello, invece, non fa “il giro del web” e invece è bellissimo.
Il libro e il viaggio
Qualche giorno fa ho conosciuto Björn Larsson, uno dei più amati autori svedesi in Italia. Ha scritto “Filosofia minima del pendolare” che è un libro delizioso, te lo consiglio. Lui è un signore simpaticissimo: ama Napoli e ci ha scritto pure un racconto, mai pubblicato, messo nero su bianco molti anni prima di “Benvenuti al Sud” eppure molto simile.
“Se potessi, ti regalerei Napoli” è spesso catalogato come «letteratura di viaggio» e devo dire che mi onora: è bellissimo finire negli scaffali di chi gira il mondo e tenta di spiegarlo: è una delle più belle missioni che si possano avere nella vita.
«Stateve buono, guagliù!»
Ho salutato così gli amici della librairie italienne del cuore a Parigi (passaci se sei in viaggio!) e hanno riso. Ho pensato che funziona sempre bene congedarsi così. E anche questo lo devo a Pino Daniele.
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