Caso Ciro Abbazia, la sua Caivano è l’altra Italia: bisognosa ma invisibile al dibattito pubblico

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Mercoledì 26 febbraio. A Napoli e dintorni piove. A Caivano un’ufficiale giudiziario bussa alla porta di Ciro Abbazia. Gli deve notificare quello che lui già sa e teme: lo sfratto esecutivo. Ciro la accoglie. Con gentilezza. Le offre un caffè. Poi si allontana. Dice di aver bisogno del bagno. Passa il tempo – troppo tempo – e Ciro non torna. L’ufficiale va verso il bagno, ma Ciro non c’è. La stanza da letto, invece, è chiusa a chiave. Ciro non risponde. L’ufficiale chiama i carabinieri. Arrivano, forzano la porta. Ciro è lì. Morto. Impiccato. Suicida.

Questa è l’altra Caivano. Non quella del Parco Verde, di Don Patriciello, del decreto cui questo Governo ha deciso di dare il nome del Comune per farne un simbolo nazionale. La Caivano di Ciro Abbazia, in realtà, è l’altra Italia. Quella che vive nelle conversazioni quotidiane ai mercati, sui posti di lavoro, nell’esistenza della gente comune, ma non nel dibattito politico e mediatico.

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Ciro Abbazia aveva 40 anni. Era un pasticciere. Precario. E non ce la faceva più a pagare l’affitto. Per questo il padrone di casa aveva ottenuto lo sfratto. Per morosità.

Ciro faceva parte di quelle decine di migliaia di persone che ogni anno sono soggette a sfratti. Secondo i dati rilasciati a ottobre 2024 dal Ministero degli Interni nel 2023 sono stati ben 21.345 quelli eseguiti con la forza pubblica, a fronte di 73.809 richieste emesse. Il 77,8% avviene per morosità dell’inquilino, il 16,4% per fine locazione (fenomeno in crescita e che cela il passaggio di parte del patrimonio immobiliare al più lucrativo settore degli affitti brevi per turisti). Nella capitale, secondo l’Unione Sindacale di Base (Usb), “vengono eseguiti in media 5,6 sfratti al giorno, domeniche e festivi inclusi”.

Lavoro precario e salari da fame da una parte e affitti che schizzano dall’altra sono fonte di una profonda insicurezza nella vita di centinaia di migliaia di persone ogni anno. E non sono solo gli affittuari a soffrirne. Se passiamo a chi una casa prova a comprarla, la situazione non cambia poi tanto. Nell’anno da poco trascorso, ben 78.477 unità immobiliari sono andate all’asta. Il 54% era riconducibile alla categoria “residenziale”. Significa che nel solo 2024 circa 40mila unità abitative sono andate all’asta. 40mila nuclei familiari, cioè, si sono visti pignorare la casa dalle banche o da altri creditori, in alcuni casi rimanendo comunque debitori. Più di 60mila nuclei familiari ogni anno sono quindi vittime di sfratto o di pignoramento, perdendo il bene primario: un tetto sulla testa.

Eppure quanti talk show avete ascoltato sul problema di queste 60mila famiglie? Quante proposte di legge sono state depositate in Parlamento per affrontare questa forma di insicurezza che colpisce centinaia di migliaia di persone?

E non è che non si parli di “casa” in Italia. Ma in tutt’altro modo. O, meglio, con un altro punto di vista. Non certo quello di affittuari e “debitori”. Basti guardare “Fuori dal coro”, l’appuntamento settimanale di Mario Giordano su Rete 4, che da anni batte sul tema. Una trasmissione concentrata esclusivamente sul tema “ladri di case”: delinquenti che si introducono in maniera criminale in appartamenti, prendendone possesso e sottraendoli così ai legittimi assegnatari/proprietari. Un fenomeno odioso e da combattere, ma assolutamente minoritario (sia detto per inciso: fenomeno che nulla ha a che vedere con le occupazioni a scopo abitativo, ma la confusione tra i due è un cavallo di battaglia del potere mediatico dell’ultradestra).

Il potere mediatico – di cui “Fuori dal coro” è un esempio – spaccia l’idea che la causa di insicurezza abitativa siano i “ladri di case”. Falso. È infatti assai più probabile che la casa ti venga “rubata” da una banca o, sempre più, da un fondo di investimento che desidera trasformare in B&B l’appartamento in cui vivi da anni, che non da uno di questi criminali.

Dell’insicurezza abitativa della gente comune – difficoltà a trovare un appartamento, sfratti, pignoramenti – non se ne occupa nemmeno il potere politico. Anzi. Per offrire alla “nazione” l’idea di un esecutivo “law & order”, e per soddisfare gli interessi dei palazzinari, il Governo spinge per l’approvazione del ddl 1660 che, tra gli altri, prevede di inserire nel codice penale l’articolo 634-bis: punirebbe gli occupanti di un immobile – anche chi è sotto sfratto – destinato al domicilio altrui, con pene dai 2 ai 7 anni di carcere (oggi l’art. 633 prevede da 1 a 3 anni di carcere e una multa da 103€ a 1.032€), nonché procedure d’urgenza per gli sgomberi (art. 321-bis).

Ciro Abbazia rappresentava l’altra Italia. Quella che ha bisogno di un lavoro stabile e dignitoso; di un “Piano Casa” che non sia il semplice condono di abusi edilizi; di un tetto al prezzo degli affitti; di tassare – e tanto – la proprietà sfitta e vuota; di distribuire gli enormi profitti bancari accumulati con la mera speculazione sui tassi di interesse. Quest’altra Italia, quella di Ciro Abbazia, è silenziata più che silente. I poteri politico, economico e mediatico non hanno interesse a una riflessione pubblica.

Per rimettere il Paese in piedi bisogna rovesciare i rapporti di forza e mettere in cima gli interessi popolari, non certo quelli dei Caltagirone, delle Unicredit e delle BlackRock che determinano l’agenda e l’agire del potere mediatico e politico. Se non siamo capaci nemmeno di parlare dei “nostri” e dei loro veri problemi, come pensiamo di poter trasformare la realtà nel loro interesse?



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