Vi svelo dove ho ambientato le storie in Puglia. L’intervista

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«La commissaria Lolita Lobosco torna con un giallo tra soldi, intrighi finanziari e corruzione in una Bari dove nulla è come sembra. Poi sarà il turno di Chicca Lopez, carabiniere dura e pura alle prese con sangue e magie nel Salento. E la mia Puglia misteriosa che ha tanto da raccontare. E che ogni volta ci svela qualcosa di nuovo, di inaspettato».

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Gabriella Genisi è la scrittrice pugliese che ha esplorato le sfumature del giallo e del noir conquistando il grande pubblico: 15 anni di libri, successo di vendite e il personaggio televisivo di Lolita ormai diventato un brand – fra battute e tour guidati – capace di competere con il siciliano Montalbano, solo per citare il “capostipite”. Vive a Mola di Bari nella sua casa che non cambierebbe per nulla al mondo e la aspetta già un lungo tour di presentazioni per “Una questione di soldi” in uscità dopodomani per Sonzogno. Undicesimo capitolo per la poliziotta più amata d’Italia.

Il nuovo romanzo parte con il cadavere di una manager di banca ossessionata dai soldi e volata giù dal tetto nel centro di Bari. Somiglia spaventosamente a Lolita: perché questa scelta?

«Sono affascinata dal tema del doppio che ci riguarda molto più di quanto possiamo immaginare. Inizialmente Lolita pensa che volessero uccidere lei, poi comprende che non è così ma il filo rosso che la lega alla vittima resta costante e si svelerà alla fine. Il doppio fa emergere una parte mancante di noi stessi e certi incontri ti cambiano».

È una Lolita diversa?

«Forse più intimista, più riflessiva. Affronta una tempesta esistenziale così forte e definitiva che con questa storia pensavo di chiudere il ciclo di Lolita».

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I lettori non glielo perdonerebbero…

«Mi piacerebbe cimentarmi con altro, ma sono troppe le domande che restano aperte e ci tornerò su. Ci sarà un altro libro su Lolita, poi potrei cambiare».

Mai come questa volta i soldi sono protagonisti sin dal titolo: è stata condizionata inconsapevolmente dalle ultime cronache?

«Direi consapevolmente. L’agenda dei libri me l’ha sempre dettata la cronaca e gli ultimi scandali di Bari, dagli intrecci mafia-politica ai fallimenti bancari, sono entrati nella storia anche se non racconto mai fatti realmente accaduti. Talvolta, davanti a certa corruzione non ci stupiamo neanche tanto. A Bari i soldi sono molto importanti, più del resto della Puglia».

In che senso?

«La criminalità è legata al tessuto economico: Bari è una città levantina che vive di traffici e il passo per l’illegalità e la corruzione è molto breve. L’omicidio ha spesso questo sfondo e Lolita si muove su una linea di confine. Nel Salento il delitto è più violento e addirittura tribale, legato a fatti spiccioli o personali. Qualcosa di più ancestrale».

Dopo le presentazioni la aspetta un po’ di riposo?

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«Neanche per sogno. Sono alle prese con il quarto libro su Chicca Lopez, la carabiniera di Lecce. L’ambientazione parte da Specchia, suggestivo borgo del Capo di Leuca. Poi ho scoperto che la specchia è un antico cumulo di pietre – dal latino specula, luogo posto in alto – e il libro ha preso nuove direzioni. L’ultimo sopralluogo è stato un’illuminante conferma».

Cos’ha trovato?

«Nelle campagne di Martano, centro griko nel cuore della provincia di Lecce, c’è la Specchia del Diavolo forse risalente al Neolitico: sorge su una collinetta, è alta sei metri, è sovrastata da un grande fico e nelle giornate più limpide da lì si può vedere l’Adriatico. Un luogo quasi abbandonato che ho raggiunto tra erbacce e rovi. La Specchia del Diavolo diventerà il titolo del libro. Un titolo forte che sprigiona inquietudine e mistero. Per Chicca, carabiniere di ferro, sarà uno snodo con le sue leggende».

Quali leggende?

«Si dice che sotto quelle pietre il demonio nasconda un piccolo tesoro: una chioccia d’oro con dodici pulcini. Ma è chiamata anche Specchia dei Mori perché gli arabi vi costruirono un’alta torre di pietre nel tentativo di toccare Dio: furono puniti e le pietre cadute li seppellirono per sempre. Sono stata anche a Felline, un altro borgo a sud di Gallipoli, sul versante jonico: lì c’è la Specchia dell’Alto da cui si osserva la piana sul mare. La ritroveremo nel libro. C’è sempre qualcosa di magico nel Salento, l’ho capito studiando Gallipoli».

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«Un censimento del Cinquecento registra a Gallipoli 500 macare, le donne specialiste in arti magiche: è una percentuale enorme rispetto alla popolazione. Un fenomeno di cui il territorio è ancora intriso. È il Salento magico che diventa noir quando si tinge di rosso».

Con il commissario Giancarlo Caruso del precedente “Giochi di ruolo”, invece, aveva esplorato il Foggiano. Cos’ha scoperto?

«Il retaggio di una criminalità efferata ancora molto presente. L’emergenza resta, ma i fermenti, a partire da quelli universitari, stanno gradualmente cambiando quel territorio».

Bella, ma violenta la sua Puglia: cosa prevale, Genisi?

«È una doppia anima ancora irrisolta: la dicotomia tra la bellezza del paesaggio e l’ingerenza del crimine è il tratto evidente a chi guarda oltre la superficie. Il confine tra il bene e il male è molto sottile».

Ottimista o pessimista?

«Sono ottimista per natura e ho fiducia nelle nuove generazioni. Vado nelle scuole e mi sorprende la curiosità dei ragazzi anche se non è ben strutturata».

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Però, non sono grandi lettori. Condivide?

«In un incontro con 100 studenti ho chiesto quanti avessero letto “Piccole donne” che per la mia generazione è stato cruciale. Solo una ragazza ha alzato la mano. Forse i docenti dovrebbero proporre un approccio diverso con i libri: non si può chiedere di cominciare, a 14 anni, con Manzoni o con Calvino. Io leggevo tantissimo, ma erano altri tempi».

Ha sognato subito di fare la scrittrice?

«Neanche per idea. Volevo fare la casalinga e così è stato: il divano, la famiglia, leggere tutto il giorno senza lavorare. Scrittrice lo sono diventata all’improvviso».

Quando?

«Ho perso mio padre, un grande lettore, e sono passata alla scrittura in modo immediato e febbrile. Forse era l’unico modo per riempire quel vuoto. Come riversare nelle storie tutti i libri letti negli anni. Nel giallo ho trovato il mio terreno preferito, ma senza fare operazioni a tavolino».

Un genere a lungo considerato di serie B. Perché?

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«Un pregiudizio letterario molto italiano. E, invece, il giallo, con le sue varianti noir e thriller, offre grande libertà».

I protagonisti cercano la soluzione del giallo o cercano se stessi?

«Cercano anche se stessi, magari senza saperlo. Ed è sorprendente quando si trova qualcosa di inaspettato. Lo fa anche lo scrittore: io comincio in un modo, ma approdo ad altro. Come fa Lolita».

Cosa intende?

«Lolita è disponibile alla vita e dialoga con gli altri perfino in un rapporto empatico con i colpevoli. La carabiniera leccese resta più rigida, ma questo è legato alle sue ferite personali. Lo spirito di indipendenza le contraddistingue entrambe».

Talvolta al punto da sembrare respingenti: capita anche ad altri protagonisti di gialli, dal commissario Rocco Schiavone al magistrato Imma Tataranni. Più sono scontrosi, perfino burberi, e più piacciono: com’è possibile?

«È un topos letterario che funziona. Più che antipatia è una corazza che si indossa: bisogna proteggersi dagli altri, giornalisti compresi, e cresce un meccanismo di difesa per non restare stritolati. È il motivo per cui ne apprezziamo debolezze e difetti».

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Inconfessabili come quelli di tutti noi?

«Proprio così e non sempre i sentimenti leniscono mancanze, vuoti psicologici e inquietudini. L’amore può rimarginare certe ferite, ma serve tempo. Perfino Chicca ci sta provando».

La vedremo in una serie tv?

«C’è un nuovo progetto in ballo. Le fiction, per fortuna, vivono di vita propria e non sempre coincidono con i libri. Vediamo cosa succede».

E per il ritorno di Lolita ci vorrà molto?

«Dipende dagli impegni di Luisa Ranieri: si è presa una pausa per il grande cinema e ora per la serie dedicata alla preside di Caivano. Una nuova stagione nel 2026? Ce lo auguriamo. Noi siamo qui ad aspettarla».

Ma poliziotta e carabiniera potrebbero mai lavorare insieme?

«Credo di sì.

Si studierebbero, ci metterebbero un po’ per aprirsi reciprocamente e poi sarebbero pronte a collaborare. Non si può essere gelosi dell’intelligenza altrui».





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