Neda: le barriere del mercato del lavoro

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ROMA – L’Italia ha un mercato del lavoro complesso e competitivo. Tuttavia, l’accesso a questo mercato per i migranti, in particolare per gli afghani, è ostacolato da numerose difficoltà.

Leggi restrittive, barriere linguistiche, discriminazione e sfide socio-economiche rendono il percorso lavorativo di questo gruppo particolarmente arduo.

Il difficile riconoscimento delle qualifiche

Molti migranti afghani, nonostante un buon livello di istruzione e competenze professionali, si vedono costretti ad accettare lavori poco qualificati e mal retribuiti a causa di difficoltà burocratiche e del mancato riconoscimento dei loro titoli di studio.

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Una delle sfide più grandi per i migranti in Italia è la complessità delle procedure legali per ottenere il permesso di lavoro e di soggiorno.

Permessi di soggiorno e vincoli burocratici

Non avere un contratto di lavoro significa non poter ottenere la residenza, e senza la residenza si rischia di affrontare infiniti problemi burocratici.

Inoltre, il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali straniere in Italia è un processo lungo e complicato, costringendo molti migranti ad accettare lavori al di sotto del loro livello di competenza.

Esma è una donna afghana laureata in ostetricia che lavorava in Afghnistan. Da quando è arrivata a Roma, ha cercato di far riconoscere il suo titolo di studio per poter lavorare nel suo settore, ma il percorso è stato pieno di barriere.

Il processo di equipollenza dei titoli di studio è già di per sé complesso, ma per le professioni specialistiche, come la sua, lo è ancora di più.

Nonostante le difficoltà, Esma, alla fine è riuscita a farsi riconoscere ufficialmente i suoi documenti. Eppure, ottenere un lavoro adeguato nel settore pubblico si è rivelato di nuovo un’altra sfida.

Le è stato detto più volte che avrebbe dovuto lavorare per sei mesi in un ospedale senza stipendio, senza alcuna garanzia di un contratto successivo.

Determinata a proseguire la sua carriera, Esma ha cercato di iscriversi all’esame di medicina delle università italiane, che le avrebbe permesso di avvicinarsi ulteriormente al suo obiettivo.

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Ma nuovi problemi sono sorti: il costo elevato del materiale di studio, che nessun ente di supporto ha coperto per lei. Dopo mesi di preparazione, ha scoperto che tra i requisiti per partecipare all’esame c’era la cittadinanza italiana, un requisito che lei, in quanto migrante, non possiede ancora.

Vero che ci sono per i rifugiati, opportunità di borse di studio, non molte e soprattutto non è facile saperlo se non sei seguita da una ONG.

Esma, ostetrica in Afghanistan, in Italia è addetta alle pulizie in una scuola. Ha un contratto stabile, il suo stipendio non sarebbe diverso da quello che guadagnerebbe in ospedale, ma non può negare di sentirsi frustata nel dover fare un lavoro, così distante dalla sua formazione e da quello che avrebbe voluto fare nella vita.

Quando Esma parla con alcune delle ex allieve che aveva formato in Afghanistan e che si sono trasferite in altre nazioni, si rende conto che per loro è stato più facile trovare il lavoro che cercano. Non è stato facile, ma sempre meno difficile che in Italia.

Senza contare è che questo tipo di problema nasce con il loro arrivo nel 2021, dopo la caduta nel paese nelle mani dei talebani.

A differenza di altre diaspore, sono loro le prime, e non possono contare su una rete di supporto o su persone con conoscenze specifiche che le guidi nel processo di riconoscimento delle qualifiche.

Questa incertezza ha contribuito a farle perdere fiducia nel suo futuro economico a Roma.

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Reza lavorava in Afghanistan come autista di camion e mezzi pesanti. Quando è arrivato in Italia, non c’è stato verso di trovare impiego corrispondente alla sua esperienza, poiché senza conoscere la lingua italiana non si può ottenere la patente necessaria. Inoltre, non aveva le risorse economiche per pagare i corsi di lingua.

Ostacoli linguistici e formazione inaccessibile

Quando gli è stato chiesto perché non si fosse rivolto a centri come il CPIA, che offrono corsi gratuiti di italiano, ha detto di essersi iscritto e di aver presentato la richiesta, ma di essere finito in lista d’attesa.

Non avendo ricevuto alcuna chiamata, si è recato di persona al centro, dove gli è stato detto che le richieste erano troppe e i posti disponibili limitati.

L’apprendimento della lingua italiana è uno dei requisiti fondamentali per entrare nel mercato del lavoro. Come è possibile che ci siano abbastanza posti per imparare?

Molti datori di lavoro evitano di assumere persone con competenze linguistiche limitate, e in alcuni casi, la mancata conoscenza della lingua può portare a situazioni di sfruttamento.

Sfruttamento e lavoro nero

Farzana aveva trovato lavoro grazie ad un’agenzia, in un supermercato con una paga mensile di 500 euro. Dopo un mese, né lei né gli altri lavoratori hanno ricevuto il compenso promesso.

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Quando hanno chiesto spiegazioni, è stato detto loro che si trattava di un tirocinio non retribuito.

Farzana ha deciso di lasciare il lavoro, ma ha continuato a tenersi in contatto con gli altri tirocinanti, tutti migranti come lei. Dopo sei mesi, ha scoperto che nessuno di loro aveva ancora ricevuto un pagamento o un contratto regolare.

Molti migranti affrontano discriminazioni sia nell’ambiente di lavoro che nella ricerca di un impiego. Alcuni afghani residenti in Italia hanno riferito di aver inviato decine di candidature senza ottenere risposta, probabilmente a causa del loro nome o della loro nazionalità.

“Dopo mesi di tentativi per trovare un lavoro in linea con la mia formazione, sono stato costretto ad accettare un impiego come operaio in un ristorante”, ha detto Mohammad R., un rifugiato afghano che vive in Italia.

Come se non bastassero tutte le difficoltà che vive ogni migrante, essere una donna afghana, può rappresentare un’aggravante.

Donne afghane: doppiamente penalizzate

Le barriere culturali, la scarsa familiarità con il nuovo contesto sociale e la discriminazione di genere rappresentano ostacoli significativi che limitano la loro partecipazione al mercato del lavoro in Italia.

Zahra K., una donna afghana che vive a Milano, racconta: “Entrare nel mercato del lavoro per me è stato difficile non solo a causa della lingua, ma anche per via degli stereotipi sulle donne afghane”.

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Islamofobia e i pregiudizi contribuiscono. Inoltre, le madri lavoratrici affrontano problemi nel trovare un’occupazione con orari compatibili con la cura dei figli.

Sebbene questa sia una sfida comune a tutte le madri di qualsiasi nazioni, per le migranti è ancora più complicato a causa della mancanza di una rete familiare o amicale che possa offrire supporto nei momenti di necessità.

Il peso di una condizione giuridica precaria

Molti afghani in Italia entrano nel Paese tramite richieste di asilo o visti umanitari. Questa condizione giuridica precaria limita fortemente le opportunità di lavoro, poiché molti datori di lavoro evitano di assumere persone con uno status di soggiorno incerto.

Inoltre, le continue modifiche alle leggi sull’immigrazione, che influiscono direttamente sulla stabilità dei migranti, possono creare ulteriori ostacoli.

La disoccupazione tra i migranti non incide solo sul loro benessere individuale, ma ha conseguenze più ampie sull’integrazione sociale e sulla coesione culturale.

Conseguenze sociali e rischi di esclusione

La mancanza di accesso a un impiego adeguato, può portare a un aumento della povertà, alla dipendenza dagli aiuti statali e, in alcuni casi, spingere le persone verso attività irregolari o illegali.

Jafar R., un uomo afghano residente a Roma, ci ha raccontato che nei primi anni dopo il suo arrivo in Italia viveva in una piccola città del sud.

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Dopo due anni senza riuscire a trovare un lavoro, è stato costretto a trasferirsi in un’altra città, che lo ha costretto ad affrontare altre difficoltà burocratiche come il cambio di residenza e la gestione dei documenti.

Ma a Roma si è imbattuto in altri afghani che avevano maggiore esperienza che lo hanno guidato, facilitando così il suo processo di integrazione.

Alcune organizzazioni non profit offrono iniziative in questo ambito, ma spesso non raggiungono risultati ottimali. Ciò accade perché il livello di formazione è limitato e, una volta terminati i corsi, i partecipanti non sempre sanno come utilizzare le competenze acquisite, dove cercare lavoro o come candidarsi.

Senza contare, che molti migranti non sono consapevoli dei vantaggi di avere un contratto di lavoro regolare e accettano impieghi in nero, spesso senza tutele.

Dall’altro lato, alcuni datori di lavoro approfittano della situazione per evadere le tasse ed evitare di stipulare contratti, una pratica che dovrebbe essere monitorata e contrastata.

Possibili soluzioni per un futuro migliore

Il governo italiano potrebbe facilitare l’accesso dei migranti al mercato del lavoro attraverso una revisione delle leggi sul lavoro e la semplificazione del processo di riconoscimento dei titoli di studio stranieri.

Inoltre, concentrandosi sul sistema accademico e promuovendo iniziative che favoriscano l’interazione tra cittadini e comunità migranti, si potrebbe contribuire a ridurre i pregiudizi nei confronti degli immigrati.

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L’implementazione di politiche anti-discriminatorie negli ambienti di lavoro e la sensibilizzazione della società ospitante sui valori e sulla cultura dei migranti potrebbero favorire una maggiore accettazione sociale.

Offrire agevolazioni finanziarie e consulenze specifiche ai migranti che desiderano avviare una propria attività imprenditoriale, potrebbe aumentare i livelli di occupazione nelle comunità migranti.

Chi ha avuto il coraggio di lasciare il proprio paese, affrontando enormi difficoltà per un futuro migliore per sé e per i propri cari, possiede anche la determinazione e la capacità di costruire una nuova vita da zero, non lasciamo che la perdano perché affogano nella disperazione di non essere riconosciuti per quello che sono e per quello che sanno fare.

Zahra Muradi, è una studentessa di “Global Humanities” all’Università La Sapienza di Roma. Ha un background accademico in Letteratura Tedesca conseguito all’Università di Kabul, con un forte interesse per le scienze umane, le lingue e la cultura internazionale.

Ha maturato diverse esperienze professionali in Afghanistan come insegnante di lingue per bambini e ragazzi e come sarta e ricamatrice nella mia azienda di famiglia.

Oltre agli studi in Italia, ha iniziato il miei tirocini part-time con NOVE Caring Humans e attualmente con Intersos in Safe Space for Women.

Neda: la voce delle donne afghane in Italia

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