la ricerca di Dio oltre i confini del religioso

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In un libro rigorosamente storico, basato sui documenti, scritto con appassionante scioltezza e dal titolo perfetto (Dio non è così, Bompiani), Lucetta Scaraffia racconta «otto mistiche laiche del Novecento».

Sono donne molto diverse tra loro ma tutte unite da una ricerca di Dio che è «caratterizzata da una estrema libertà e da un grande coraggio». In una mistica che l’autrice definisce «avventurosa» e nella quale l’esperienza religiosa si accompagna a «una via di liberazione femminile che fa parte della grande storia dell’emancipazione delle donne», l’unica rivoluzione di successo del secolo scorso, secondo il celebre giudizio di Eric Hobsbawm.

La mistica è intesa dalla storica torinese in senso molto ampio, al punto che «si può anche essere mistici senza Dio». Non a caso sono evocate le definizioni della filosofa María Zambrano («una possibilità della natura umana») e del gesuita Michel de Certeau («ogni uomo è un mistico inespresso»). Illuminante è soprattutto quanto scriveva il medievista Claudio Leonardi introducendo le sue Scrittrici mistiche italiane e sottolineando che «il nulla è già nell’esperienza di tutti», e affermando che questo «nulla partecipato a tutti domanda per tutti la pienezza che è del risorto, per usare termini cristiani».

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Rivendicazione femminista

Forte è la rivendicazione femminista delle grandi mistiche cristiane, rintracciata da Scaraffia alle origini, e poi nella maturazione, del movimento che avrebbe cambiato la contemporaneità occidentale.

Nel 1878 la suffragetta Josephine Elizabeth Butler dedica una biografia a Caterina da Siena. Molti decenni dopo in Italia la critica d’arte Carla Lonzi – «pioniera del femminismo italiano» che si sente «fuori posto nel mondo» – infila «misticismo dappertutto, nel marxismo, nell’arte», e scrive: «Bastano poche righe della vita di Teresa d’Ávila e mi trovo nel mio centro, tra la mia gente, a casa. Ed entro in uno stato di riflessione, di meditazione».

Nelle otto donne raccontate ricorrente è la passione amorosa vissuta in senso pieno nel rapporto con gli uomini, sfidando rischi interiori e convenzioni sociali. Fanno eccezione la più famosa tra loro, Simone Weil («forse per la presenza forte della sua famiglia di origine, che sembra assolvere ogni necessità affettiva»), e Chiara Lubich, fondatrice del più importante e diffuso movimento cattolico, quello dei Focolari.

Sono due figure studiatissime, eppure Lucetta Scaraffia anche su di loro mantiene uno sguardo originale – storico in senso pieno – che riesce a illuminarle di luci (e ombre) nuove.

Rapporti «irregolari»

Per le protagoniste del libro sono rapporti che si è soliti definire «irregolari» e che coinvolgono scrittori come Paul Valéry, amante di Catherine Pozzi, e Ernst Jünger, amato da Banine; ma anche due giganti del pensiero cristiano contemporaneo, il protestante Karl Barth, legato a Charlotte von Kirschbaum, e il cattolico Hans Urs von Balthasar, inscindibile da Adrienne von Speyr.

L’amore umano, ma sublimato, ispira anche il rapporto singolare tra Romana Guarnieri – che Lucetta Scaraffia ha conosciuto benissimo e della quale consegna nel libro un ritratto indimenticabile – e don Giuseppe De Luca, e prima ancora quello tra Élisabeth Behr-Sigel e un monaco benedettino divenuto ortodosso, Lev Gillet.

L’esperienza mistica di queste donne è, come rileva l’autrice, «di natura spontanea, oserei dire selvaggia, che saranno loro stesse a leggere e a interpretare, se pure all’interno di una tradizione religiosa».

Attraverso percorsi non confessionali e quasi sempre di confine, nel contesto delle società occidentali secolarizzate, le protagoniste del libro hanno dato un contributo importante: niente meno che «al risveglio spirituale e profetico del cristianesimo in un secolo in cui il male ha assunto proporzioni spaventose – tanto da far parlare di morte di Dio – e nel corso del quale l’istituzione ecclesiastica ha perso autorevolezza e influenza sulla maggior parte della popolazione».

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Pozzi e von Kirschbaum

Non esce bene dalle pagine del libro l’egocentrico Valéry, dopo sette anni difficili lasciato da Catherine Pozzi. Il letterato non capisce il legame che li aveva uniti e la pura assolutezza della «furibonda autodidatta», autrice di Poèmes brucianti. «Ci sono solo due cose che mi interessano: il cattolicesimo e i vestiti» annota con una punta d’ironia nel diario un mese prima di morire.

«È questa follia della purezza che ha dominato la mia vita, che mi dà l’attenzione affascinata per il vestito non ancora fatto»: ed è «il vestito al quale non è stato applicato alcun atto, il vestito senza abitudini, senza passato, senza peccato».

Segretaria e collaboratrice preziosa di Barth, il maggiore teologo protestante contemporaneo, Charlotte von Kirschbaum, Lollo, «non si innamora solo di Karl, ma della teologia, del discorso su Dio, e procede impavida nello studio, nell’elaborazione di nuove interpretazioni, e questo amore non la tradirà, non la deluderà, come fa certamente il suo amato professore». La sua è una «storia assolutamente irregolare di adulterio e coabitazione con la famiglia dell’amante», fino a essere sepolta nella tomba di famiglia «con sua moglie e i suoi figli, per volere di questi ultimi». Non solo: Barth ne riconosce – pur non comprendendo del tutto «lo slancio spirituale» di Charlotte – la collaborazione «smisurata» all’origine e allo sviluppo della monumentale Dogmatica, lei stessa autrice di uno scritto, La donna vera, che è agli albori della teologia femminista.

Adrienne von Speyr

Lollo è anche l’unica a conoscere e frequentare un’altra delle otto donne del libro, Adrienne von Speyr. Medico svizzero positivista sposata a uno storico e, rimasta vedova, risposatasi con il suo successore all’università di Basilea, la protestante Adrienne – che riceve in casa Delio Cantimori, Johan Huizinga, Luigi Einaudi – si lega a un altro pensatore di capitale importanza per il cristianesimo contemporaneo, il gesuita Balthasar, fino a entrare nella chiesa cattolica. Il rapporto viene ritenuto pericoloso dai superiori, ma il religioso piuttosto che rinunciarvi preferisce uscire dalla Compagnia di Gesù, pur rimanendo prete.

I due grandi teologi svizzeri si conoscono e si frequentano, accompagnati da Lollo e Adrienne. «Spesso il quartetto viaggiava insieme, e queste relazioni straordinarie contribuirono alla riflessione comune sulla polarità di genere nell’antropologia teologica». Scaraffia ha molto studiato la singolare figura di Speyr, mistica e visionaria della quale umilmente Balthasar «trascrive tutto ciò che lei comprende nel corso delle visioni, consapevole della portata spirituale, ma anche teologica, del suo sapere». Con un’intelligenza nella quale l’attenzione protestante per la Scrittura letta direttamente si unisce al senso cattolico della chiesa, che «le dà la forza di combattere».

Banine e Behr-Sigel

Affascinante è la figura di Banine, con il suo «incedere da mannequin» e una capacità letteraria fuori dal comune. Azera, di una ricca famiglia che perde tutto con la rivoluzione sovietica, la giovane donna si trasferisce a Parigi. In confronto con lei anche l’amato Jünger rimpicciolisce. Poco a poco si scopre cristiana, non si spaventa delle meschinità, degli errori e delle banalità della chiesa – «se essa fosse soltanto santa, come oserei entrarci?» – ed è «fiera di essere la prima musulmana di tutti i tempi convertita che ha scritto un diario della conversione». E il titolo autoironico fa scalpore: Ho scelto l’oppio; s’intende quello dei popoli, secondo la propaganda comunista.

Dell’oriente, quello ortodosso, resta affascinata la protestante di origine ebraica Élisabeth Behr-Sigel, Liselotte, che si ritrova in uno dei crocevia più importanti dell’ecumenismo novecentesco. Incontra l’emigrazione russa e soprattutto Gillet, a cui dedica la biografia Un moine de l’Église d’Orient e con il quale ha un’atipica ma vera relazione d’amore. Si ritrovano fino all’ultimo in piccoli ristoranti e caffè per parlare di tutto. «I camerieri devono essersi divertiti nel vedere questa vecchia coppia di chiacchieroni» commenta Liselotte al monaco che con umiltà ne riconosce la superiorità spirituale («voi siete più vicina a Dio di me»).

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Romana Guarnieri

Romana Guarnieri, infine, che Lucetta Scaraffia ha incontrato per interessi comuni di studio, divenendone amica. Certo, il legame della giovane studiosa nata in Olanda con il colto prete romano De Luca è importante. Ma lo studio delle mistiche medievali è un assoluto per Romana, che arriva a identificarsi con loro. Come annoterà Luisa Muraro: «Era una donna libera, e lo era grazie a Dio».

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