cosa c’è dietro al ritorno – Libero Quotidiano

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Elisa Calessi

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Lo avevamo lasciato all’epoca della sfortunata avventura di Liberi e Uguali, quando, lasciato il Pd, allora guidato dall’odiato Matteo Renzi, venne tradito dalla sua Puglia. Era il 2018. Si candidò alle elezioni politiche, collegio Puglia 6, il suo da una vita, e, dopo una campagna elettorale in cui diede il sangue, finì quarto. Dietro Barbara Lezzi, M5S.

Da allora Massimo D’Alema, primo premier ex comunista, ex ministro degli Esteri, ex segretario del Pds, amato e odiato a sinistra, giustamente amareggiato, si prese una pausa dalla politica. Non si ritirò, certo, a fare il nonno. Ma intraprese la carriera di consulente e lobbista, facendo da tramite ad aziende che volevano esportare all’estero.

 

 

 

Una carriera che gli ha dato anche qualche problema giudiziario (vedi l’indagine in corso per una intermediazione fatta in Colombia). Da qualche tempo, però, D’Alema è tornato alla sua vecchia passione, che resterà sempre e solo una: la politica. Per ora come opinionista. Ospite frequente in molti talk-show della gauche che piace (Piazza Pulita, Otto e mezzo o DiMartedì), corteggiato relatore in decine di presentazioni di libri, si concede persino alle mai amate «iene dattilografe», come in una sua celebre battuta definì i giornalisti.

 

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Una spiegazione potrebbe essere quella che lui stesso, in questi giorni, ha dato in più occasioni: in un curioso ricorso della storia, i conflitti che stanno insanguinando il mondo, da una parte in Medio Oriente, dall’altra in Ucraina, con il fattore Donald Trump a scompaginare le carte, danno ragione alle battaglie di quando iniziava la sua militanza. Come ha detto l’altro giorno, «da giovani urlavamo che “l’imperialismo Usa era una barbarie”. Oggi Trump sembra dar ragione alla nostra giovinezza».

Ma è solo questo? O c’è altro dietro questo inatteso presenzialismo, questa ritrovata voglia di intervenire nel dibattito politico? Sono in molti a chiederselo. Soprattutto a sinistra, soprattutto nel Pd. In realtà, spiega chi lo conosce meglio, D’Alema non se n’è mai andato. Dopo la batosta elettorale di Liberi e Uguali, pur scegliendo di dedicarsi professionalmente ad altro, ha mantenuto i rapporti con il gruppo che se ne andò dal Pd, Articolo Uno.

 

 

 

La scalata di Elly Schlein ai vertici del Pd ha rafforzato questo filo mai interrotto, seppure tenuto lontano. Quando Schlein decise di candidarsi alle primarie del Pd, molto del mondo (soprattutto romano) che ruotava attorno a D’Alema e ai suoi uomini più vicini decise di scommettere sudi lei.

Alle prime, carbonare iniziative si vedevano i volti di quella che, una volta, era stata la corrente dalemiana. Conquistata la segreteria, gli ex di Articolo 1 sono stati tra i più fedeli sostenitori di Schlein. Il tramite tra D’Alema e la segretaria, dunque, sono loro, in particolare Arturo Scotto, ora deputato del Pd, di origine campana.

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COMPETENZA

Certo, la centralità dei temi di politica estera, sui quali la sua competenza è indubbia, conta. «Il primo passo verso la pace» in Medio Oriente, ha detto l’altro giorno, alla presentazione del nuovo numero della rivista da lui fondata e diretta, Italianieuropei, dedicata a “Una pace giusta”, «sarebbe quello di far svolgere le elezioni in Palestina e in Israele perché è evidente – come ha detto con molto coraggio il cardinale Pizzaballa – che il futuro di quel mondo non può essere nelle mani di una leadership sotto accusa per crimini internazionali da una parte e dall’altra parte di una leadership priva di forza e di legittimità».

E ha aggiunto di pensare che «ci siano tutte le condizioni perché emerga dalla società palestinese una leadership non compromessa con la corruzione e l’autoritarismo e non compromessa con il fondamentalismo e con il terrorismo. Malgrado tutto, c’è una società civile palestinese ricca di personalità e in grado di esprimere una leadership che può tornare a parlare al mondo», ha proseguito. Così come in Israele «c’è una spinta a liberarsi dell’attuale governo di Israele, condizionato in modo determinante da una destra razzista violenta» con i «ministri che incitano alla tortura nelle carceri», ha aggiunto l’ex premier.

Ha poi definito «immagine di orrore» il video rilanciato da Trump sulla «trasformazione» di Gaza in riviera di lusso. Almeno, però, ha aggiunto, «è utile a sgombrare definitivamente il campo dalla retorica dell’Occidente che difende i valori e diritti umani contro le “autocrazie”». Ma non ha risparmiato nemmeno gli attuali vertici europei, in particolare l’attuale rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri: «Fino a 15 giorni fa», ha detto D’Alema, «la signora Kallas diceva che bisognava vincere la guerra contro la Russia. È una signora simpatica, ma non è adeguata per un compito così impegnativo». Ultimo commento registrato, quello sull’appello di Ocalan a sciogliere il Pkk. «È un fatto positivo», ha detto D’Alema, «un messaggio coraggioso». D’Alema, insomma, è tornato.

 

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