Il momento della verità si avvicina. Quello in cui si capirà, forse definitivamente, se Hamas e Israele continueranno sulla via della tregua o se invece, a parlare, saranno di nuovo le armi. Le stesse che tacciono dal 19 gennaio. Secondo gli accordi siglati a Doha, oggi doveva essere il giorno del passaggio tra la fase uno e la fase due del cessate il fuoco. Ma come avvenuto spesso in questi mesi, tra le due parti, ancora una volta, è muro contro muro. E i tempi dei negoziati rischiano di diventare di nuovo lunghi.
Le trattative iniziate giovedì con l’arrivo della delegazione israeliana al Cairo non hanno dato alcun esito. Gli inviati di Benjamin Netanyahu, che ieri sera ha convocato d’urgenza un incontro con alcuni ministri e i più alti funzionari della Difesa, sono tornati nello Stato ebraico con l’intenzione di ripartire immediatamente per la capitale egiziana. Ma le posizioni israeliane sembrano ancora molto distanti da quelle di Hamas. E l’impressione è che il braccio di ferro possa durare per giorni, quantomeno fino all’arrivo dell’inviato di Donald Trump, Steve Witkoff, atteso in Egitto forse già domenica (ma più presumibilmente la prossima settimana).
LA STRATEGIA
L’obiettivo del presidente israeliano Netanyahu, a questo punto della tregua, è chiaramente quello di prolungare la “fase uno”. Nessun ritiro dalla Striscia di Gaza, tantomeno dal Corridoio Filadelfia, quella striscia di terra che divide la regione palestinese dall’Egitto e che per l’Idf è cruciale per interrompere qualsiasi rapporto di Hamas con l’esterno. Ma continuare per sei settimane con un graduale rilascio degli ostaggi rimasti a Gaza (59, di cui solo 24 probabilmente ancora vivi) in cambio di un numero definito di detenuti palestinesi liberati dalle carceri israeliane. Secondo alcune fonti, l’accordo ipotizzato da Israele dovrebbe prevedere la consegna da parte di Hamas di tre ostaggi ogni settimana. Ma il gruppo palestinese per ora ha respinto al mittente la proposta, anche per prendere tempo e capire come ottenere il più possibile da questo nuovo tavolo negoziale.
Hamas è certamente più debole rispetto all’inizio della guerra. Ma sa anche che il suo peso negoziale è destinato fisiologicamente a ridursi insieme al numero degli ostaggi in suo possesso, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. E quei rapiti, vivi o morti che siano, rappresentano la sua unica vera arma.
Finora, i funzionari palestinesi hanno sempre proposto a Israele una soluzione: la consegna di tutti gli ostaggi in un unico giorno in cambio dei detenuti e del passaggio immediato alla fase due. Ma se Netanyahu non cede, l’unica alternativa in mano ai miliziani è quella di alzare il prezzo dei rapiti (c’è chi dice 150 detenuti per ogni cittadino israeliano) e di sperare che il mondo aumenti il pressing sullo Stato ebraico. «Chiediamo alla comunità internazionale di fare pressione sull’occupazione sionista (cioè Israele n.d.r.) affinché si impegni pienamente nel suo ruolo nell’accordo ed entri immediatamente nella seconda fase dell’accordo senza alcun indugio o tergiversazione», ha scritto Hamas in una nota. Ma all’interno del governo israeliano, potrebbero anche essere prese decisioni molto diverse.
L’AMERICA
Da Washington, intanto, Donald Trump – prima dello scontro di ieri con Zelensky in mondovisione – ha già fatto capire di non essere disposto a continuare troppo sulla strada delle trattative. Incontrando il premier britannico Keir Starmer, il presidente Usa aveva detto che su Gaza erano in corso «colloqui positivi». Ma il tycoon ha anche chiarito che avrebbe appoggiato qualsiasi decisione del governo Netanyahu. E tra i ministri israeliani, non sono certo poche le voci dei “falchi”, di chi cioè vorrebbe una ripresa delle ostilità per sconfiggere Hamas una volta per tutte. Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ad esempio, è uno di quelli più convinti che quella sia l’unica strada percorribile. E con pochi ostaggi rimasti in vita, non è da escludere che Netanyahu possa ritenere più utile riprendere la guerra, accettando anche il rischio di una nuova ondata di proteste.
Lorenzo Vita
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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