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«Prima lo stato non c’era, poi ha deciso di esserci solo per controllare e reprimere». I cittadini di Caivano fino a oggi non hanno avuto voce: sono finiti nel vortice dell’emergenza scatenata dal governo e innescata dall’orrore di un fatto di cronaca, uno stupro di gruppo. Ma quella ricetta è davvero una soluzione? E quel modello può essere davvero calato dall’alto su altre periferie d’Italia, da Palermo a Rozzano, senza curarsi del tessuto sociale?
DI TUTTO QUESTO si è discusso ieri al Quarticciolo, periferia di Roma anch’essa minacciata dalla tolleranza zero in salsa Meloni che nelle scorse settimane è riuscita, almeno in parte a ribaltare l’immaginario. Le sedie disposte a cerchio e il microfono che passa di mano in mano, i racconti e le esperienze di questi quartieri popolari si sono incrociati alla Casa del quartiere, di fronte alla palestra popolare. È successo alla vigilia del grande corteo che questo pomeriggio attraverserà questa zona della capitale.
IL TEMA È NAZIONALE, la contraddizione non potrebbe essere più evidente. Da anni la destra approfitta dei vuoti dei partiti nel rapporto con le classi popolari per presentarsi come la vera paladina della «gente». Ne consegue, è noto, che la sinistra sia relegata nell’immaginario a non meglio identificati «salotti», ovviamente «radical chic» e che si muova soltanto all’interno dei confini delle Ztl. Per sostenere la forza propagandistica di questa narrazione, ecco il corto circuito, c’è bisogno di negare che le periferie siano attraversate da movimenti, reti solidali, esperimenti di mutalismo che rivendicano la loro politicità e si oppongono alle destre: hanno bisogno di cancellare il Quarticciolo ribelle e i suoi quartieri fratelli.
IL QUARTICCIOLO, come tutte le periferie, non è il paradiso. Ha le sue asprezze. Negli ultimi anni è finito nel vortice, qui dicono «l’epidemia», del nuovo mercato del crack, droga economica e redditizia. E siccome la destra di governo non può fare a meno di descrivere e costruire città prive di spazi pubblici popolati da individui atomizzati dall’idelogia proprietaria e che difendono le proprie anguste abitazioni coi sacchetti di sabbia alla finestra, in nome della lotta allo spaccio si vorrebbero asfaltare le esperienze messe in campo dai cittadini per affrontare i loro bisogni e rivendicare i loro diritti.
LA DESTRA AL POTERE non può che disprezzare la ricchezza dell’occupazione abitativa al centro del Quarticciolo dal quale si irradiano progetti sociali e si lanciano scialuppe di salvataggio ai quasi 6 mila cittadini che abitano le case popolari: appartamenti spesso abbandonati all’incuria, privati dei servizi, accerchiati dalle mire del mercato selvaggio. Quelli del Quarticciolo non hanno ricette facili, al contrario: chiedono l’aiuto di tutti e tutte perché sanno che la sfida si è fatta troppo grande per le minacce della politica e per la situazione che si è creata attorno a loro. «Vediamo le persone annichilirsi nell’arco di due settimane – raccontano – All’inizio vengono una volta al giorno, ma già alla fine della prima settimana devono venire mattina, pomeriggio e sera. Dopo dieci giorni, in molti casi, non sono più in grado di spostarsi. Devono essere vicino a dove sta la sostanza, devono trovare i 5 euro, questo è il prezzo, che gli consentono di farsi un tiro».
QUESTA STORIA è la misura di molte cose. Di come il centrosinistra nazionale, e nello specifico la giunta romana di Roberto Gualtieri, intendono rapportarsi alle periferie dopo che per troppi anni si è disegnata una città a uso e consumo di turisti e grandi eventi, priva di un disegno organico che vada al di là delle mura antiche della città storica (e il Piano regolatore del 2008, approvato dalla giunta Veltroni, non ha aiutato). E di come si possa smascherare la retorica fintamente popolare di questo governo: se pensate di trovare il dominio inconrastato di coatti fascistoidi e ronde anti-immigrati in questa parte della capitale vi sbagliate di grosso. Questa è la capitale, questa è una periferia, questi sono i suoi abitanti. Non sono affatto come li descrivono la presidente del consiglio e gli stereotipi dei reportage mordi e fuggi dei grandi giornali o delle televisioni che invocano la tolleranza zero.
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