“Mai alleati a questi Usa” – Libero Quotidiano

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Tommaso Montesano

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Se c’era un caposaldo nella politica italiana, a destra come a sinistra, quello era la fedeltà italiana all’alleanza con gli Stati Uniti. Una vicinanza espressa in modo magistrale da questa frase di Silvio Berlusconi: «Io sono dalla parte dell’America prima ancora di sapere l’America da che parte sta». Adesso a sinistra, dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, non è più così. Contrordine, compagni: se gli Stati Uniti sono governati da un presidente che non ci piace, noi non siamo più amici dell’America. È questo, in soldoni, il messaggio che emerge dalla direzione nazionale del Pd, dove ieri Elly Schlein ha celebrato i due anni dalla sua vittoria alle elezioni primarie del 2023.

«L’Unione europea non potrà più contare sulla partnership con gli Stati Uniti, almeno finché ci sarà Trump». E poi, per chiarire meglio il concetto: «Quando torneremo al governo, per noi Trump non sarà niente di simile ad un alleato». Del resto «se c’è una leader italiana che si è schierata contro le parole di Trump sono io», ricorda con orgoglio. Parole che fanno il paio con quelle pronunciate da Carlo Calenda, leader di Azione, l’altro ieri dopo la diffusione del video del tycoon sulla Gaza del futuro: «Gli Usa non sono più un partner per le democrazie occidentali».

 

 

 

LA SPACCATURA
Schlein prende la parola per «mettere i puntini sulle “i”», come dice in un passaggio della sua relazione. Ed è curioso che proprio lei, che accusa Giorgia Meloni di non aver scelto tra «la maglia dell’Italia e quindi dell’Europa o il cappellino di Trump», nel suo intervento non faccia nulla per nascondere le contraddizioni tra le quali si trova a navigare. Ad esempio: la segretaria annuncia che in primavera il Pd sarà impegnato a sostenere la Cgil nella battaglia per il quorum al referendum sull’abrogazione del “jobs act” 2015. «Una discussione l’abbiamo fatta, daremo il nostro contributo». Peccato che la legge sia stata varata da colui che all’epoca era il leader del suo partito, ovvero Matteo Renzi. «Oggi siamo in un’altra stagione», si giustifica. Vallo a spiegare alla minoranza dell’area riformista, che proprio non ce la fa a marciare insieme a Maurizio Landini contro un provvedimento del Pd. Infatti Elly si mostra comprensiva: «Non chiediamo abiure, ma un partito deve saper scegliere su un appuntamento così importante: supporteremo il referendum sul lavoro e sulla cittadinanza». Laddove la segretaria parla di «abiure», è evidente che ci sia una spaccatura tra i dem: «Rispetto per chi non ha firmato il referendum, ma un partito deve essere chiaro e lineare, sui diritti dei lavoratori non saremo mai alla finestra».

QUANTE CAMPAGNE
Così Schlein lancia l’ennesima «mobilitazione» democratica. E il tono si fa enfatico: «È venuto il momento di discutere le nostre proposte con le migliori energie di questo Paese. Per questo presto lanceremo la mobilitazione del partito che ci terrà impegnati nei prossimi mesi in tutto il Paese per costruire il “Progetto per l’Italia”». Fossa la prima, di «mobilitazione». Solo negli ultimi due anni, Schlein le ha invocate per l’autonomia differenziata, la guerra in Ucraina, il salario minimo, la difesa della legge 194 sull’aborto, il caporalato, la cultura, la riforma del premierato e la sanità pubblica.

Poi c’è il fronte internazionale. Premessa: «Non tolleriamo le caricature. Noi non siamo con Trump e il suo finto pacifismo e non siamo con l’Europa per continuare la guerra. Siamo per un’Europa diversa, con l’Europa per costruire una pace giusta». Quindi né con Trump né con l’Ue attuale. Dal suo cappello, Elly estrae il cilindro della «difesa comune dell’Unione europea. Noi siamo favorevoli a una vera difesa comune che vuol dire investimenti comuni». Guai, però, se la priorità diventasse questa: «Vogliamo essere chiari: se l’Europa procedesse solo sul fronte della difesa, lasciando indietro le altre priorità ambientali e sociali, sarebbe un grave errore. La spesa in difesa non deve andare a scapito della spesa sociale». Difesa sì, insomma, ma con cautela. Lo stesso vale per l’autonomia e il federalismo. Vanno bene per l’Europa, non per l’Italia. Per l’Unione «serve una svolta radicale verso il federalismo, altrimenti rischia di essere messa all’angolo dai cambiamenti geopolitici».

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