Lo scontro Trump-Zelensky e il ruolo di JD Vance: ecco perché con lui cambia tutto

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La baruffa andata in mondovisione ieri tra Volodymyr Zelensky, Donald Trump e JD Vance segna numerose rivoluzioni copernicane nella politica estera degli Stati Uniti. Fra le tante, l’avvento di un vicepresidente in un ruolo decisamente differente da ciò a cui siamo abituati. Vance che incalza il presidente ucraino con aggressività inusitata, è una scena a cui probabilmente dovremo abituarci: non sarà, infatti, di certo l’ultima.

Vance, non un mero comprimario

Nello Studio Ovale, infatti, è stato forgiato un nuovo ruolo del vicepresidente in modi che si discostano dalle aspettative tradizionali. Storicamente, la vicepresidenza è stata un incarico per lo più cerimoniale, con un’influenza che dipendeva dall’ampiezza della delega di responsabilità da parte del presidente. Spesso si è trattato di un ruolo di compromesso al fine di calmierare un ticket elettorale, come nel caso di Lyndon Jonson con JFK, uno dei più paradigmatici, o di Joe Biden con Barack Obama. Tuttavia, sotto l’amministrazione Trump, Vance sta assumendo un ruolo sempre più assertivo e combattivo, sia negli affari interni che in quelli esteri. Prossemica, gestualità e tono dell’incontro di ieri ne sono una prova tangibile.

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Vance non si accontenta di essere un mero comprimario. A differenza dei vicepresidenti del passato, che spesso fungevano da consiglieri o sostenitori silenziosi del presidente, si è posizionato come un attore chiave nella definizione delle politiche. Il suo atteggiamento aggressivo nella recente discussione con Zelenskyy dimostra che non ha paura di mettersi in primo piano nelle questioni di politica estera. Questo suggerisce una vicepresidenza che non si limita a eseguire l’agenda del presidente, ma partecipa attivamente alla sua elaborazione con il suo placet.

Sul piano della politica estera, tradizionalmente, i vicepresidenti hanno spesso agito come stabilizzatori diplomatici, lavorando dietro le quinte per appianare tensioni. Vance, invece, ha adottato un tono sempre più conflittuale e nazionalista, in linea con la retorica “America First” di Trump. La sua forte critica a Zelensky durante l’incontro alla Casa Bianca dimostra la volontà di sfidare direttamente i leader stranieri, rompendo con la tradizione di vicepresidenti più concilianti, si pensi al caso di Mike Pence. Questo non significa che nella storia americana non vi siano state eccezioni: Dick Cheney è stato probabilmente il vicepresidente più potente della storia recente. Durante l’amministrazione Bush, ha avuto un ruolo decisivo, specialmente nella guerra in Iraq e nella lotta al terrorismo.

Come Vance, Cheney aveva una forte influenza sulle decisioni presidenziali, ma operava più dietro le quinte, mentre Vance è molto più visibile e pubblico. Sotto Richard Nixon, Spiro Agnew era noto per il suo stile aggressivo e per gli attacchi ai media e ai liberali. Era una figura polarizzante e usata da Nixon per rafforzare la base conservatrice, in modo simile a come Vance oggi rafforza la base di Trump. A voler scavare ancor più nel passato, perfino Theodore Roosevelt fu un vicepresidente molto attivo e indipendente, con idee nazionaliste e interventiste. Anche se fu inizialmente emarginato da McKinley, alla sua morte divenne un presidente influente.

Vance 2028: è questa la strategia?

Invece di limitarsi a sostenere le decisioni di Trump, Vance sembra stia avendo un ruolo attivo nella loro formulazione. È stato tra i più scettici riguardo agli aiuti militari all’Ucraina, sostenendo un approccio più pragmatico nelle relazioni internazionali. Il suo coinvolgimento nelle trattative, come l’accordo sulle terre rare, poi fallito, dimostra che sta contribuendo direttamente alla politica economica e strategica degli Stati Uniti. Non va dimenticato, inoltre, che Vance non è solo un “funzionario”, ma anche un portavoce diretto della base conservatrice di Trump.

I suoi discorsi e le sue apparizioni mediatiche sono mirati a rafforzare il sostegno del movimento populista, evitando di cercare consenso tra i moderati o gli elettori indipendenti, come hanno fatto altri vicepresidenti in passato. Data la sua crescente influenza, è evidente che il ruolo di cheerleader è utile a posizionarsi come figura chiave nel futuro del Partito Repubblicano. Le sue azioni suggeriscono che non è semplicemente il numero due di Trump, ma che sta costruendo una piattaforma politica che potrebbe aprirgli la strada per una candidatura presidenziale nel 2028.

La “delega” trumpiana a Vance

Quanto al suo principale, conclamato prima donna, perché sta acconsentendo alla ridefinizione di questo ruolo? Le ragioni possono essere molteplici. Trump ha sempre usato alleati forti per portare avanti battaglie controverse al posto suo. Nel suo primo mandato, figure come Steve Bannon e Rudy Giuliani hanno ricoperto questo ruolo. Ora, Vance è l’attaccante principale, affronta direttamente le sfide più spinose, mentre Trump mantiene un’immagine più “anziana” sebbene poco regale. Stessa cosa dicasi per Elon Musk, nel ruolo di attaccante diretto con l’Europa. Certamente, c’è una delega a cheerleader Maga: l’atteggiamento di Vance nei confronti dell’Ucraina e la sua retorica nazionalista sono in linea con il messaggio “America First” di Trump. Permettendogli di esprimersi in modo così netto, Trump assicura che l’ala populista e isolazionista del Partito Repubblicano rimanga fortemente mobilitata.

Questa rivoluzione passa anche per gli equilibri all’interno dell’attuale Partito Repubblicano, diviso tra i sostenitori della tradizionale politica estera interventista e la nuova generazione di nazionalisti che vogliono ridurre il coinvolgimento degli USA nel mondo. Dando spazio a Vance, Trump si comporta da Pilato: mantiene il sostegno di entrambi senza dover prendere personalmente una posizione netta. Non va poi dimenticato che questo è il secondo e ultimo mandato possibile per Trump. A differenza del suo primo tempo, ora ha un erede politico chiaro in Vance nel 2028, restando comunque il caro leader del MAGA.

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Last, but not least, Trump ha sempre governato creando caos controllato, mantenendo all’interno della sua amministrazione figure potenti che competono tra loro. Vance non è visto come una minaccia, ma come parte di questo equilibrio, utile per mantenere alta l’attenzione mediatica e la flessibilità politica.



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