la guerra di Trump ai media “nemici”

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Il tycoon ha cambiato completamente le regole con cui si determinano i membri del “pool” presidenziale, cioè i giornalisti che di volta in volta hanno un accesso privilegiato agli eventi del presidente. Le grandi agenzie di stampa non avranno più un posto permanente, saranno ammessi a turno una serie di nuovi media: creatori di contenuti, podcaster, giornalisti indipendenti

Il rapporto fra l’amministrazione Trump e i media, vecchi e nuovi, si arricchisce ogni giorno di nuovi conflitti, sgradevolezze ed episodi inediti difficili da inquadrare. L’ultima è la decisione del governo di dare il dossier sul caso di Jeffrey Epstein ad alcuni influencer conservatori qualche ora prima che il dipartimento di Giustizia li rendesse pubblici, perché potessero vederli e diffondere il verbo sul caso del miliardario e molestatore seriale morto suicida nel 2019.

La faccenda si è poi complicata quando è stato chiaro che in quei documenti non c’era nulla di nuovo, e la procuratrice generale, Pam Bondi, a quanto dice imbeccata da una fonte, ha scritto un’infuocata lettera al direttore dell’Fbi spiegando che qualcuno nel bureau aveva nascosto dal plico i documenti davvero esplosivi, e gli ha dato due settimane di tempo per indagare sulla sparizione. Il che ha fatto infuriare altri attivisti conservatori, tenuti fuori dal novero dei privilegiati informati anzitempo, che ora chiedono la pubblicazione integrale delle informazioni.

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Ad ogni modo, è stata l’occasione per la Casa Bianca di sperimentare nuove modalità di comunicazione. Trump ha cambiato completamente le regole con cui si determinano i membri del “pool” presidenziale, cioè i giornalisti che di volta in volta hanno un accesso privilegiato agli eventi del presidente. Il pool è stato sempre gestito dall’associazione dei corrispondenti della Casa Bianca, che decideva in modo indipendente la composizione del gruppo e disponeva la rotazione dei membri in modo da dare a tutti i media un equo accesso al presidente.

All’inizio della settimana la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha annunciato che le cose sarebbero cambiate. «In questa amministrazione l’ufficio stampa della Casa Bianca stabilirà l’accesso molto privilegiato e limitato in spazi come l’Air Force One e lo Studio Ovale», ha detto, annunciando che le grandi agenzie di stampa non avranno più un posto permanente, mentre saranno ammessi a turno una serie di nuovi media: creatori di contenuti, podcaster, giornalisti indipendenti.

L’associazione dei corrispondenti della Casa Bianca ha detto che la decisione di controllare politicamente chi accede e chi no alla Casa Bianca distrugge l’indipendenza della libera stampa, mentre Associated Press, Bloomberg e Reuters hanno pubblicato un comunicato congiunto di protesta: «Crediamo che ogni passo del governo per limitare il numero di agenzie che hanno accesso al presidente minacci il principio della libertà di informazione. Mette a rischio anche la diffusione di informazioni affidabili a cittadini, comunità e mercati finanziari globali che dipendono moltissimo dal nostro lavoro».

In particolare, Trump ha un conto aperto con l’Ap, che lui e Elon Musk chiamano “Associated Propaganda”. Il capo di Doge e supplente presidenziale si è imbufalito quando l’agenzia ha riportato di una minaccia del governo all’Ucraina di tagliare i servizi di Starlink, circostanza che Musk ha negato.

Ma il presidente era già ampiamente contrariato dalla decisione dell’Ap, che con il suo leggendario manuale di stile è il punto di riferimento del giornalismo globale, di non chiamare il Golfo del Messico Golfo d’America, così come ordinato dal presidente con un ordine esecutivo. Trump allora ha limitato l’accesso dell’agenzia ai briefing, e in risposta l’azienda ha querelato tre funzionari della Casa Bianca. «Rimaniamo vigili nei confronti di entità come Ap che si rifiutano di mettere l’America al primo posto», ha scritto Edward Martin, procuratore del distretto di Columbia.

Fra le turbolenze mediatiche va segnalato infine il cambio di linea della pagina delle opinioni del Washington Post, che per ordine dell’editore, Jeff Bezos, dovrà essenzialmente difendere le «libertà individuai e il libero mercato».

Per le critiche a questi due pilastri ci sono tanti altri giornali, ha scritto Bezos, che si è proclamato «dell’America e per l’America». E così il riallineamento trumpiano del proprietario di Amazon è completato.

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