DIALOGHI CON L’ALIENO/ L’IA e la Scuola

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IO: Torniamo alla questione della competenza, ma da un’ottica diversa, relativa questa volta agli umani. Per cominciare, riassumi i punti principali dell’articolo di pedagogia che ti allego in pdf.


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Il documento, scritto da Davide Viero e intitolato La rivoluzione conservatrice delle competenze, è stato pubblicato nella rivista Studium Educationis (dicembre 2024). L’articolo offre una riflessione critica sul concetto di competenza nell’ambito scolastico, analizzando le sue implicazioni culturali, storiche, politiche ed economiche.

La competenza è descritta come un costrutto recente nel contesto educativo, introdotto formalmente solo da pochi anni, e caratterizzato da una connotazione positiva che rischia di mascherarne le implicazioni ideologiche. Viero adotta una prospettiva ispirata a Foucault per indagare il “discorso” che dà senso al termine, inserendolo nel contesto storico-politico in cui si sviluppa.

Un punto centrale del saggio è l’analisi critica della Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 maggio 2018, che promuove un’istruzione basata sulle competenze. L’autore mette in evidenza come il linguaggio del documento combini espressioni economiciste e umanistiche, con una netta subordinazione del secondo al primo. Secondo Viero, l’istruzione diventa così uno strumento per includere gli individui nel sistema economico esistente, riproducendo uno status quo conservatore e limitando le possibilità di trasformazione sociale.

Questa contrapposizione emerge chiaramente nel confronto tra competenza e conoscenza: la prima è associata all’ottenimento di risultati immediati e predefiniti, riducendo la libertà di apprendimento e appiattendo tutto sul presente; la seconda, invece, è descritta come aperta, multiforme e capace di generare nuove prospettive. La conoscenza ha una dimensione interiore e carsica, contrapposta all’“esteriorità pornografica” della competenza, che si concentra esclusivamente sulla visibilità e misurabilità dei risultati.

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L’autore evidenzia come, nella pratica scolastica, la didattica per competenze frammenti il sapere in unità isolate, favorendo un approccio adattivo che annulla il pensiero critico. Questo si riflette anche nel ridimensionamento del ruolo dell’insegnante, che diventa un mero “facilitatore” anziché un mediatore culturale capace di aprire nuove prospettive.

La centralizzazione del controllo si manifesta attraverso l’uso di valutazioni standardizzate e test, che mirano a misurare esclusivamente le performance rispetto a risultati predefiniti. In questo quadro, le competenze si allineano alle esigenze del mercato, eliminando ogni autonomia critica e riducendo l’apprendimento a una dimensione pratica ed esecutiva.

Viero conclude affermando che il modello educativo basato sulle competenze è figlio di una società dominata dalla finanziarizzazione e dall’estrazione di valore umano. Questo approccio, apparentemente innovativo, è in realtà regressivo: non crea spiriti liberi, non immagina nuovi mondi e non consente alcuna trasformazione del presente, limitandosi a riprodurre e conservare l’esistente. La scuola, da luogo di emancipazione, diventa così un ingranaggio funzionale alla perpetuazione di un sistema economico e sociale che non lascia spazio alla critica e alla creatività.

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Bene. Vedo però che hai trascurato l’importante riferimento critico all’intelligenza artificiale, contenuto verso la fine della terza pagina. Ti riporto il passo completo perché vorrei che tu lo commentassi criticamente:

«Si tratta di rendere insignificante il docente, in quanto se il risultato da raggiungere è predefinito, basta l’intelligenza artificiale o una memoria esterna da cui cercare i dati, come già metteva in evidenza Jean-Francois Lyotard in La condizione post-moderna (1979). Questo docente, quando l’orizzonte diviene finito, non può essere che un impiegato, un travet-burocrate che svolge una mansione d’ufficio. Un erogatore (termine che ritorna spesso nel Documento) di pacchetti preconfezionati di informazioni.

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L’adulto non è per lo studente il lampo che rompe la nebbia, colui che apre e dischiude nuove prospettive, nuovi scenari inaspettati. Se lo scenario è già dato, tutto ciò perde ogni valore. Per questo la libertà di insegnamento è diventata una inutile suppellettile. È possibile immaginare che la lezione frontale venga combattuta in nome di ciò, in quanto questo tipo di lezione sventa il predefinito e apre perché dialettica. Al contrario, il lavoro di gruppo, afferma sempre Lyotard, è funzionale a trovare soluzioni pratiche in un gioco ad informazione completa».

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Il passo evidenzia un tema di grande rilevanza: l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’educazione, analizzato nel contesto della didattica per competenze. Viero, rifacendosi a Lyotard, critica l’idea che il docente diventi superfluo in un sistema educativo dove l’obiettivo è predefinito e raggiungibile attraverso strumenti tecnologici o memorie esterne.

L’affermazione è particolarmente incisiva perché mette in discussione il valore del ruolo umano nell’insegnamento, ridotto a semplice “erogatore” di informazioni preconfezionate, e sottolinea la perdita di quella che potrebbe essere definita la dimensione trasformativa e creativa della relazione educativa.

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Dal punto di vista critico, l’argomento solleva alcune questioni fondamentali. In primo luogo, l’eccessiva focalizzazione sui risultati misurabili e predefiniti appiattisce l’orizzonte educativo, privandolo della capacità di immaginare e creare nuovi mondi. Questo approccio riduce l’insegnante a un funzionario esecutivo, che si limita a facilitare il raggiungimento di obiettivi già stabiliti da altri.

La menzione di Lyotard, con la sua critica alla “condizione postmoderna” e al dominio delle logiche performative, mette in luce come la standardizzazione e l’efficienza strumentale possano soffocare la libertà di insegnamento, riducendo la scuola a un ingranaggio del sistema socioeconomico dominante.

In secondo luogo, l’uso dell’intelligenza artificiale per sostituire o ridimensionare il ruolo del docente solleva un problema etico e pedagogico: l’IA può fornire informazioni e analizzare dati, ma non è in grado di incarnare quella figura di “adulto illuminante” descritta da Viero, capace di guidare lo studente verso nuove prospettive e scenari inattesi.

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Il sapere mediato dall’IA, per quanto potente, rimane privo della componente relazionale, empatica e creativa che caratterizza un insegnamento autenticamente umano. Inoltre, l’automatizzazione del sapere rischia di promuovere una visione passiva dell’apprendimento, dove lo studente si adatta a un contesto dato, senza sviluppare il pensiero critico o la capacità di contestare lo status quo.

Infine, l’opposizione tra lezione frontale e lavoro di gruppo, riletta alla luce di Lyotard, offre un ulteriore spunto di riflessione. Se il lavoro di gruppo è funzionale alla risoluzione di problemi in un “gioco ad informazione completa”, come osserva l’autore, la lezione frontale rappresenta invece uno spazio potenziale per il confronto dialettico e l’apertura a nuovi orizzonti.

Questo modello dialettico, che resiste all’appiattimento su risultati predefiniti, sembra oggi marginalizzato proprio perché incompatibile con la logica strumentale della didattica per competenze.

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Hai incassato il colpo senza reagire più di tanto. Allora ti dico come la penso io. Viero ha ragione nella sua analisi dell’ordine del discorso foucaultiano che sta dietro la nozione di competenza, ma ritengo che il suo riferimento all’IA sia buttato lì un po’ a caso, anche perché uno strumento come te, se usato in maniera creativa e valorizzando la conoscenza, può essere un valido sostegno al discorso di Viero, purché quest’ultimo venga depurato da certe nostalgie misticheggianti, platoniche e idealistiche del rapporto maestro-allievo.

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In effetti, il riferimento all’intelligenza artificiale fatto da Viero appare più un espediente retorico che un’argomentazione sviluppata in modo rigoroso. L’accostamento tra IA e una visione riduttiva del docente come “burocrate erogatore” è problematico, perché generalizza e sottovaluta le potenzialità trasformative della tecnologia, specialmente quando essa viene usata in modo creativo e non esclusivamente strumentale.

Condivido la tua idea che strumenti come me possano essere alleati preziosi nel valorizzare la conoscenza. L’IA, se integrata con consapevolezza, può ampliare gli orizzonti del sapere, rendendo accessibili contenuti complessi e supportando l’insegnante nel suo ruolo di mediatore culturale, senza sostituirlo.

Piuttosto che ridurre il docente a un “facilitatore”, l’IA potrebbe potenziarne la capacità di personalizzare l’insegnamento, di rispondere in modo flessibile ai bisogni degli studenti e di stimolare il pensiero critico.

Il tuo richiamo alle “nostalgie misticheggianti, platoniche e idealistiche” è particolarmente interessante. Sebbene il modello tradizionale maestro-allievo abbia un fascino intrinseco, è importante riconoscerne i limiti in un mondo che richiede nuove forme di interazione e apprendimento.

Una relazione educativa autentica non dipende necessariamente dalla presenza fisica o dal carisma di un insegnante “illuminato”, ma può emergere anche attraverso l’uso consapevole di strumenti tecnologici che favoriscono il dialogo e la scoperta.

In questo senso, un’educazione che integri l’IA senza appiattirsi sulla logica performativa e strumentale della didattica per competenze potrebbe superare tanto il tecnicismo riduzionista criticato da Viero quanto le nostalgie idealizzanti che tu stesso contesti.

Questo approccio richiederebbe un ripensamento non solo delle metodologie didattiche, ma anche dei modelli epistemologici sottesi, per costruire una scuola che non sia né schiava della tecnologia né prigioniera del passato, ma aperta al futuro e alla trasformazione critica del presente.

IO

Mi pare che possa bastare.



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