Un comunicato a sorpresa e migliaia di fans rimangono di colpo sbigottiti davanti alla notizia che Ferrara perderà uno dei suoi eventi più amati. Non stiamo parlando naturalmente del Monsterland ma di qualcosa forse completamente opposto come tipo di pubblico. Il festival Interno Verde, lanciato dall’associazione Ilturco a Ferrara nel 2016, festeggia i dieci anni riportando in primavera l’ormai tradizionale appuntamento dedicato ai giardini segreti della città e annuncia a sorpresa che questa sarà l’ultima edizione ferrarese, il prossimo 10 e 11 maggio.
Visto che i turchi li conosco da un bel po’ e quando c’è da ricordare i tempi andati non mi tiro mai indietro, li ho incontrati per farmi spiegare bene il perché e il percome, e per ripercorrere i momenti più importanti, gli aneddoti più divertenti in questi dieci anni trascorsi tra proprietari di giardini e curiosi di giardini. A parlare sono Licia Vignotto e Riccardo Gemmo, instancabile duo alla guida artistica del festival fin dall’inizio, rispettivamente vicepresidente e presidente di Interno Verde, che da qualche anno è diventata una cooperativa sociale, in affiancamento ai progetti dell’associazione Ilturco. Essendo che raramente li ho visti fare cose uno senza l’altro (a parte un bambino, di recente) ho pensato per semplicità di unire le loro risposte nell’intervista senza specificare chi sta parlando. Spero non vi offendiate e non si offendano.
Quindi basta con Ferrara, che noia tutta questa nebbia.
Si ma solo Interno Verde, continuiamo a fare tantissime altre cose a Ferrara, perché la base operativa rimane qua.
Giusto ritirarsi quando si è al top, prima che inizi il declino…
Chiudiamo in bellezza e quest’anno è confermato anche il festival Esterno Verde a settembre sul Po grande. Quindi, come l’anno scorso, tre giornate di esplorazione tra ville, delizie ed eventi da non perdere…
L’idea di chiudere Interno Verde è anche per avere spazio per fare altre cose, vogliamo farlo con un bel momento di festa, con un traguardo tondo. Proviamo a coinvolgere tutti quelli che magari negli anni si sono un po’ persi per strada e non sono più venuti.
Un ultimo sguardo ai giardini e chi s’è visto s’è visto.
In questi anni abbiamo aperto a Ferrara mi sembra quasi 200 giardini. Forse di più, dovrei controllare. E adesso stiamo risentendo tutti i proprietari per dirgli: ehi sono dieci anni, ci siete per quest’ultimo giro?
Sfatiamo un mito: ad aprire quindi non erano non erano sempre gli stessi giardini?
Ogni anno c’è qualcuno che ci dice: non ci sono giardini nuovi. E la risposta è sempre: dipende in che anno sei venuto l’ultima volta… Ogni anno cambia qualcosa, se manchi magari da 5 edizioni lo noti sicuramente.
Vi siete stancati di Ferrara o aver replicato il format altrove vi impegna troppo?
Fondamentalmente il nostro monte ore di lavoro in un anno rimane quello. E poi tutti i progetti hanno un loro ciclo di vita e c’è sempre bisogno di tanto entusiasmo e di tante energie per farli al meglio. Quindi a un certo punto è giusto fermarsi. Ma non è una cosa che riguarda solo Ferrara, ad esempio quest’anno sarà la settima edizione di Interno Verde Mantova e inizia a essere un bel numero… faremo un’edizione speciale con una serie di escursioni guidate, in bici e in barca sui laghi. Una cosa un po’ diversa dal solito perché i giardini del centro dopo alcuni anni sono sempre quelli. Stessa cosa vale un po’ anche per Parma dopo quattro anni: quest’anno faremo una cosa diversa, con l’Università. Insomma, ci piace cambiare.
Intanto per quest’anno le cose restano come sono.
Quest’anno facciamo i festival principali in primavera. L’edizione classica di Interno Verde sarà a Piacenza, a Vicenza, a Ferrara e poi a Verona, che è una new entry. Facciamo una special edition autunnale a Mantova e una a Parma. Esterno Verde Ferrara a settembre e poi arriverà una sorpresa davvero eccezionale in inverno che contiamo di annunciare presto…
E nel 2026 dove vi vedremo impegnati?
A Ferrara siamo in attesa di sapere se andranno in porto almeno altri due o tre progetti. Il focus è sempre la valorizzazione del territorio, dell’ambiente… A proposito, proprio per una questione ambientale abbiamo deciso di non stampare più il libro del festival. Perché abbiamo visto che comunque è impegnativo farlo ed è anche uno spreco di carta. Quest’anno ci sarà un giornale, che daremo gratuitamente in tutte le città, per valorizzare il lavoro fatto con i ragazzi di Interno Verde Mag.
Su quali altri progetti state lavorando?
Nel 2026 vorremmo presentare un grande libro sui giardini di Ferrara, che raccolga tutti gli spazi aperti in questi anni, tipo un maxi catalogo di chi ha collaborato con noi: foto, informazioni e storia di dieci anni tra i giardini estensi. Poi in prospettiva potremmo proporre questo volume anche in altre città.
Era facile ripetere il festival con un modello ormai consolidato?
Devo dire che a Ferrara abbiamo fatto molta fatica a interrompere. Il pubblico è sempre con noi, i proprietari dei giardini ci tengono tantissimo, le amministrazioni ci hanno sempre sostenuto, in media con contributi intorno ai 10.000 euro.
E dal Comune quindi non è arrivata una telefonata tipo “voi ora non andate da nessuna parte”?
Eh, non glielo abbiamo ancora detto, l’avranno appreso dalla stampa adesso.
Quindi siete sicuri sicuri?
È una decisione irrevocabile.
Secondo me è anche una decisione intelligente, ed è forse la prima volta in anni recenti a Ferrara che qualcosa smette quando va bene e non per logoramento.
Staremo a vedere cosa succede, che reazioni si innescano con quest’ultima edizione, però ci sembrava giusto chiudere in bellezza. Magari uno dice: due anni fa non sono andato, l’anno scorso non sono andato…
Sappi che o vieni adesso o basta.
Quindi annunciarlo ci sembra il minimo. E poi faremo una bella festa, speriamo molto partecipata. Abbiamo delle idee che ancora però non sono apprezzate da tutti.
Ma tutti chi sarebbero? Chi lavora tutto l’anno a Interno Verde?
Licia Vignotto, Riccardo Gemmo e Giacomo Lodi a tempo pieno, e un po’ a metà con altro anche Giulia Nascimbeni.
Cioè la cooperativa sociale nata nel 2021.
Ferrara è però l’unica città dove la coop Interno Verde organizza il festival insieme all’APS Ilturco, che aveva iniziato tutto nel 2016.
Quindi oggi Ilturco è un’associazione che in parallelo porta avanti i suoi progetti e ha persone diverse da voi che lo conducono?
Si, e ha un presidente che si chiama Nicola Guidoboni, di Studio Nilo. Un caro ragazzo.
Un caro ragazzo che tiene aperto il coworking di via del Turco.
E segue anche altri progetti, per esempio quello di dataviz (ndR per i boomer: tavole di grafiche che spiegano numeri difficili in modo facile) che abbiamo fatto l’anno scorso. O ancora progetti con le scuole… A seconda di come sono strutturati a gestirli è l’associazione oppure la cooperativa.
E c’è ancora richiesta di posti dove lavorare in coworking, cinque anni dopo il Covid, o sono tutti tornati in ufficio come prima?
C’è richiesta, i primi anni meno ma adesso la cosa ha una sua stabilità, tra chi va e chi viene ci sono alcuni posti fissi. I contratti durano almeno un mese, non si tratta proprio di un mordi e fuggi. E comunque parliamo di 5 o 6 persone, di più non ce ne stanno.
Ma ora basta parlare di voi. Dobbiamo fare quella cosa del best of dei dieci anni di Interno Verde. Partiamo dall’edizione dei record: quella che vi ha fatto dire “abbiamo fatto il botto”.
2018, perché sono arrivate quasi ottomila persone. Il programma era fuori misura e poi il libro stampato con la guida a tutti i giardini era favoloso. Era l’anno che abbiamo avuto l’infopoint al mercato coperto, con serate a ingresso libero tutte le sere, dj set fino a tardi, feste ed eventi continui…
Sembra una scena di The wolf of Wall Street.
Quella è stata l’edizione dei record e allo stesso tempo quella che ci ha lasciato veramente più scontenti, il giorno successivo.
Sembra di nuovo una scena di The wolf of Wall Street.
Perché ci siamo resi conto che avevamo speso l’ira di Dio. Era stato bellissimo, tutti felicissimi, un sacco di complimenti, ma avevamo speso tutto. Col senno di poi è stata un’operazione comunque buona, diciamo un po’… muscolare. Tipo: guarda cosa sappiamo fare.
Quindi nel 2019 tutti a nanna presto.
Eh si, abbiamo dovuto fare un downgrade di alcune cose. Poi abbiamo aperto altri fronti, portando il format in altre città quindi il 2018 è stato davvero l’ultimo anno in cui avevamo tutte le forze per Ferrara. Dovevamo decidere se puntare tutto sul territorio, o lanciarci rischiando su altre città.
A quel punto si fa economia di scala?
Siamo orgogliosi di far notare che in dieci anni il biglietto è aumentato di un solo euro, da dieci a undici euro, e ci siamo riusciti anche grazie al fatto che gli eventi sono più di uno. Nel 2019 ad esempio ha piovuto tutto il weekend e rischiavamo di andare in perdita, ma se hai tre o quattro weekend in un anno su altre città riesci ad attutire il colpo. Ottimizzando ovviamente anche il lavoro di comunicazione, grafica, insegne…
E poi il nostro è un festival di socialità: preferiamo che venga tanta gente pagando poco, anche se sarebbe ovviamente più comodo e gestibile avere meno persone e meno giardini, facendo pagare il doppio. Ma se c’è tanta gente diventa una festa. La gente si incontra, si ritrova nei giardini, lungo la strada, ed è bello così.
L’anno più difficile?
Sicuramente il 2019 sotto un diluvio infinito e con un intero weekend parecchio freddo. Sabato 3.000 e passa visitatori, domenica soltanto 17.
E con il Covid?
Non abbiamo mai saltato un’edizione, neanche per Covid, perché cadde in settembre, quando si poteva già girare con la mascherina.
Il momento più bello.
La sorpresa del 2016: il primo anno vedere che questa cosa qua, che era iniziata un po’ più per noi che per qualcos’altro, è diventata da subito un appuntamento molto atteso e partecipato. È stato emozionante. Tra gli eventi più belli i primi anni sicuro la festa finale che veniva fatta in via Zemola dagli abitanti: non hanno dei giardini perché siamo in zona medievale quindi non c’è proprio lo spazio. Però volevano talmente tanto partecipare al festival che portavano giù le piante da casa, le mettevano in strada e facevano una festa di quartiere.
Il proprietario di un giardino che vi è rimasto nel cuore?
La signora Minerbi, che non c’è più da qualche anno e viveva appunto a Casa Minerbi. Era malata da tempo però partecipava sempre, anche mentre faceva la chemioterapia, fino all’ultimo. Spesso a gestire i giardini ci sono persone sole e anziane e per loro è un bel modo di avere compagnia, di essere protagoniste.
Anche Gisella Tubi è sempre stata una proprietaria eccezionale e con un giardino bellissimo in via XX settembre. Due anni fa è venuta a mancare una settimana prima del festival quindi il giardino non è stato inserito in programma. Il sabato pomeriggio durante il festival i figli hanno chiamato per avvisare che avrebbero aperto lo stesso perché sapevano quanto lei ci tenesse…
Il proprietario più simpatico e il più rompipalle.
Premio simpatia, menzione d’onore per Angelo Andreotti, il maniscalco in via Piangipane. Lui ha questo piccolo museo un po’ nascosto e dal primo anno si spende per raccontare a tutti la sua storia di famiglia, anche con il supporto dei nipoti. E poi Federica Veronesi che ha il giardino a in via Ugo Bassi e lei se la ricordano tutti perché ha un giardino meraviglioso e ogni anno prepara tisane e dolcetti, oppure offre bibite fresche a chi passa. Sarebbe un lungo elenco ricordare tutti i più simpatici. Non si può non citare poi Gianna Foschini Borghesani, ex presidente del Garden Club, che ci ha dato una mano il primo anno quando nessuno ci conosceva.
Tutte brave persone.
Eh, uno si fa anche un po’ scoraggiare dal mondo quando legge certe notizie… Però, in verità, se noi pensiamo a quante persone meravigliose abbiamo incontrato questi anni è incredibile. Questo tipo di evento ti porta a incontrare persone di animo buono, aperte ad incontrare altre persone, ad accoglierle in casa loro. Anche i volontari sono ragazzi che si impegnano nei giardini invece che andare al mare.
Tra i visitatori quanto conta secondo voi l’interesse verso il verde e le piante e quanto la curiosità di andare a curiosare dietro casa della gente?
Tutte e due le cose senz’altro: una volta era più curiosità e meno interesse per il verde ma negli anni l’attenzione verso i temi green è parecchio cresciuta e con essa quella per i giardini in città e il giardinaggio.
Non mi avete detto il proprietario più rompipalle.
A noi rompe le scatole chi ti dice di sì e due giorni prima tira il pacco, a volte senza motivo… ce ne sono stati, per fortuna non molti.
Perché secondo voi le persone scelgono di mettere in mostra un angolo privato di casa loro?
Le motivazioni sono le più varie ma alcuni ci tengono proprio a valorizzare la città: sono consapevoli del privilegio di avere a disposizione un bene non comune e hanno piacere di condividerlo almeno per due giorni all’anno. Poi per soddisfazione personale visto il mare di complimenti che spesso ricevono, ed è gratificante visto l’impegno che ci mettono per tenere tutto curato.
Ma si è mai candidato qualcuno con un giardino oggettivamente brutto?
Di base cerchiamo noi i giardini da invitare, le auto candidature sono veramente poche e comunque sensate. Cerchiamo posti con una storia di rilievo o magari che ospitano sedi di associazioni, oppure che hanno qualche pianta particolare o rara…
Il momento più bello con i volontari.
Quando nel 2019 nella chat volontari si scambiavano le foto delle capanne improvvisate per poter resistere sotto la pioggia e molti sono poi finiti a pranzo dai proprietari dei giardini, specie quelli di Esterno verde che erano dispersi in campagna… è stato un bel momento di socialità, sono nati persino amori e qualche coppia che chissà se resiste ancora oggi. Un’altra volta uno dei volontari ci ha fatto ridere tutti perché si è assentato dicendo che doveva andare a votare. Ma non era giorno di elezioni, chissà dove è andato davvero…
Quanto tempo serve per organizzare un’edizione di Interno Verde?
Le prime richiedevano tutto l’anno, ora ci muoviamo a inizio anno per essere pronti in primavera… tra tutte le città abbiamo fatto 25 edizioni, siamo davvero rodati! Anche per questo a volte è meglio fermarsi, per non fare le cose con il pilota automatico e poter ripartire con slancio ed entusiasmo con nuovi progetti, quell’entusiasmo delle prime volte…
Quindi magari tra dieci anni ci sarà un’edizione revival di Interno Verde?
Magari una cosa diversa, uguale non crediamo proprio. Vedremo che voglia avremo nel mentre! Una cosa che ci ha deluso sicuramente è vedere alcuni giardini che passano magari da una generazione all’altra e i nipoti non se ne interessano più. Quando il verde tenuto benissimo dalla signora anziana arriva in gestione a gente della nostra età decidono di non partecipare più e di non curarsi della manutenzione. Un vero peccato, speriamo che questa pigrizia non diventi numericamente rilevante negli anni.
C’è qualcosa che potevate fare meglio, un rimpianto?
Ci sarebbe piaciuto dedicarci di più al programma degli eventi collaterali: un po’ lo guidiamo ma la maggior parte in verità nasce dal basso, dai proprietari e dalle associazioni come Terraviva, Musijam, il Conservatorio o il Teatro Comunale con la danza, tanto per nominarne alcuni dei tantissimi. Da un lato è una cosa bellissima che in molti vogliano partecipare, ma sarebbe bello riuscire a creare un percorso che rimanga durante l’anno, a festival finito. Ad esempio laboratori aperti a tutti o programmi di sensibilizzazione ambientale nelle scuole. Siamo riusciti a destagionalizzare il festival perché ne facciamo diversi durante i vari mesi, ma ogni città ci vede comparire soltanto pochi giorni all’anno. In alcune città dove oggi c’è il festival vorremmo proprio coltivare i rapporti avviati in questi anni per entrare nelle Università, negli Orti Botanici, confrontandoci con gli studenti o con gli esperti di verde pubblico. C’è tanto da fare in ottica più ampia di valorizzazione del territorio: fermare il festival come lo conosciamo in qualche città ci consentirà di esserci ancora ma in altre forme, e poi chissà, forse questo darà vita a cose nuove.
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