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La giornata nella corte reale di Versailles cominciava alquanto presto. All’alba, Luigi XIV, Re di Francia, il Re Sole, era il protagonista di una liturgia sofisticata e codificata in ogni suo aspetto. Il lever di roi, il Risveglio del Re. Un rituale cadenzato in fasi e momenti precisi, espressione della magnificenza e della perfezione formale e sostanziale della figura del re. L’ingresso in scena avveniva nella camera da letto reale, alla presenza di un numero selezionatissimo di cortigiani, che assistevano a una rappresentazione teatrale, plastica e visiva del potere. Ogni passaggio della vestizione seguiva un tempo cadenzato, una vera e propria coreografia condivisa con i valet de chambre e con i servitori di rango.
Gesti e tessuti pregiati, espressioni e ricami, attimi e gemme ed emblemi. Se si aveva la fortuna di assistere a questo momento altissimo voleva significare una sola cosa: si era prossimi al Centro. Del Potere, del Senso, di ogni cosa che veniva irradiata dalla luce del Sovrano. Il segreto e il mistero erano il condimento fondamentale per questa incredibile – ma quotidiana – esperienza.
Ora sarebbe azzardato paragonare Donald Trump, The Donald, al Re Sole dell’età moderna. Ma, in effetti, hanno qualcosa di simile. La necessità di irradiare, di colpire con i loro raggi ogni cosa, ogni oggetto del creato. Solo che Luigi XIV usava il segreto delle sue stanze, the Donald ci stordisce con i suoi messaggi, le sue provocazioni e, da ultimo, con i suoi video. Trump Gaza è un breve video di 30 secondi prodotto attraverso l’intelligenza artificiale e che concentra una sequenza di scene che ritraggono lo stesso Presidente, il tecnocrate Elon Musk e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sorridenti e festanti tra cocktail in spiaggia, ballerine mediorientali e dollari che cadono dal cielo. Il tutto ambientato in una Gaza City rimessa a nuovo, immersa nel benessere, riconfigurata come riviera in stile Dubai, con locali alla moda, panfili, strade alberate.
Al centro, il Trump Gaza, un immaginifico edificio sulla falsariga dei palazzi appartenuti al magnate evasore, palazzinaro, bancarottiere, speculatore, suprematista, spergiuro, cospiratore di democrazie di New York – la Trump Tower, l’iconico grattacielo della Fifth Avenue, il Trump Plaza e il Trump Taj Mahal di Atlantic City. Per la fattura del video, la qualità delle immagini e il soggetto alquanto singolare, il video poteva benissimo essere opera del visual artist Beeple, noto per le sue provocatorie produzioni digitali che spesso hanno ritratto Trump in pose horror, distopiche, muscolari o demenziali – Crossroad e Into the Void del 2020, Trump del 2024 e altre. Invece, era tutto vero: il video era stato diffuso dall’account ufficiale del Presidente, tra l’incredulità di tutti.
Molti hanno parlato di sdegno, rabbia, sconcerto, follia, disprezzo. Addirittura alcuni membri della sua base politica, appartenenti al movimento MAGA Make America Great Again hanno bollato il video su Truth, la piattaforma social fondata proprio da Trump, come «Macabre» e «Violent». Qualche analista più attento ha speso parole argute e sensate. Per la giornalista Laura Dodsworth, il video è un esercizio di psychological warfare, di guerra psicologica. Altri invece hanno evocato la teoria dell’ipnocrazia di Jianwei Xun, filosofo e teorico dei media.
Trump e Musk come pifferai magici, narratori di mondi ancora di là da venire, in grado di provocare sconcerto e stupore tra le masse che vivono ormai in rete, si abbeverano al flusso impazzito di informazioni H24. Una narrazione tossica e disturbante, che annulla ogni tentativo di riportare le immagini al nocciolo duro della verità, di capirci qualcosa.
Dopo le post-verità, le fake news e i deep fake, abbiamo lasciato il campo immateriale della conoscenza e dell’informazione per entrare nel campo della realtà fluida, plasmabile attraverso shock emozionali e immaginari. Come una profonda tana digitale del bianconiglio, che ci inghiotte e ci illustra il migliore dei mondi possibili. Che verrà o forse no. Non importa.
Beninteso, niente che non sia già stato immaginato quasi un secolo fa dai rappresentanti della Scuola di Francoforte (Horkheimer, Adorno, Marcuse, Benjamin, Fromm). Questi intellettuali considerarono inscindibile il legame tra prassi politica dei regimi totalitari degli anni ‘30 e ‘40 e i mezzi di comunicazione di massa – mix di cinema, radio, televisione e stampa manipolate -, strumenti necessari al controllo del consenso e all’inibizione di ogni forma di dissenso politico e culturale.
D’altronde, Trump e Musk sono due capitalisti, due uomini d’affari. Parlano la stessa lingua. Che comprende pochi vocaboli. Rischio, costi, benefici, vittoria o fallimento. Non hanno memoria storica, non parlano di quello che è stato. La guerra a Gaza, con i suoi 50mila morti, i suoi 100mila feriti e i due milioni di sfollati tra i palestinesi, non rientrano nella loro traiettoria percettiva. Loro guardano avanti. C’è una città ridotta a macerie, collassata vicino a una bellissima costa? Bene, ricostruiamola, rifondiamola con una nuova città. Ancora più bella e accogliente. Per chi non importa. Poi si vedrà.
Tutto questo risulta sicuramente scandaloso. Anzi, al di là dello scandaloso. Al di là dell’oscenità, nel senso di qualcosa che era al di fuori della scena, nascosto, segreto, e che viene messo in mostra, al centro della scena. È questo l’elemento più innovativo della comunicazione e del personaggio Trump. La fine di ogni liturgia repubblicana, proceduralismo democratico, bizantinismo politico. Come la vestizione del Re Sole. Puro rituale, pura prassi sublime e metaforica. Simbolo del potere che c’è ma non si vede. Oppure che si vede ma non c’è. Perché in fondo non esiste. È solo un banalissimo accordo tra uomini, in fondo. È proprio questo che vuole “dirci” Trump. Quell’accordo, se c’è, in fondo non esiste, non è reale, è solo una storia, una novella. La si può raccontare in tanti modi, anche ridicolizzare, se si vuole.
Pensiamo, per esempio, a quella spessa coltre di ipocrisia, di doppiezza, dei molti partiti e uomini politici liberal e di sinistra. Essi stessi, le loro vite, i loro comportamenti, le loro pratiche sono stati distanti dal loro popolo, dalla loro base, dalle idee che predicavano. Essi stessi hanno impersonato la crisi stessa del pensiero politico e sociale progressista.
Ecco, con Trump si sgombra il campo da ogni retorica, ogni dialettica, ogni distinguo, ogni diversa sensibilità. Quello di Trump può essere colto come un invito. Bisogna essere, mostrare e dire quello che si è, brutalmente.
A proposito. Nel video, Trump si mostra anche sotto forma di ciclopica statua dorata. Nemmeno Luigi XIV, il re Sole, ha mai raggiunto questi livelli di autoesaltazione. Ma c’è un personaggio storico che ha osato tanto nella sua vita. Saddam Hussein, nel 1993, face erigere una statua di 12 metri in bronzo placcata d’oro in piazza Firdos, a Baghdad. E, guarda caso, furono proprio i marines americani ad abbatterla appena entrati a nella capitale irachena, durante la Seconda Guerra del Golfo, 2003. Chissà se una scena simile potrà ripetersi in futuro.
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