Sciopero dei magistrati, la Camera Penale critica l’Anm: «Protesta avventata»

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La Camera Penale di Piacenza prende posizione contro lo sciopero dei magistrati avvenuto il 27 febbraio e che ha visto l’adesione totale dei magistrati piacentini iscritti all’Associazione Nazionale Magistrati (LEGGI QUI). L’iniziativa “A difesa della Costituzione” ha registrato ampia partecipazione in tutta Italia ed era la manifestazione concreta contro la riforma costituzionale della giustizia, che prevede, tra le altre cose, la separazione delle carriere dei magistrati e l’istituzione di un’Alta corte.

L’Unione delle Camere Penali Italiane ritiene, si legge in una nota, «quanto meno avventato che l’ordine giudiziario protesti contro una proposta di legge costituzionale ad iniziativa popolare e sicuramente sottoposta, in caso di approvazione da parte di entrambe le Camere, al referendum popolare confermativo». «Senza dimenticare che nel piano programmatico di questo Governo, legittimamente votato dal popolo italiano sovrano, e di alcuni partiti all’attuale opposizione, vi era la separazione delle carriere. D’altronde l’Anm ha proclamato lo sciopero non certo per manifestare una contrarietà ideologica già ampiamente espressa e sostenuta, ma per contrastare attivamente l’iter della legge, ricorrendo a una tipica ‘arma’ di lotta sindacale». Si legge in una nota della sezione piacentina.

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La Camera Penale di Piacenza ritiene che «l’Anm voglia surrettiziamente spostare l’attenzione dalla necessaria implementazione dei principi costituzionali che ruotano attorno al giusto processo e alla cui base qualunque ordinamento democratico deve porre le proprie fondamenta ai problemi oggettivi della giustizia penale che nessun operatore avveduto può ai nostri giorni ragionevolmente negare». «Appare quantomeno esagerato affermare che tale riforma finirebbe con ” l’alterare l’equilibrio costituzionale dei poteri” allorquando la separazione delle carriere dei magistrati è proprio finalizzata a dare attuazione all’articolo 111 della Costituzione, laddove statuisce la terzietà e l’imparzialità del giudice, da intendersi per comune opinione della dottrina costituzionalistica non come endiadi ma quale esigenza, rispettivamente, di equidistanza del giudicante dalle parti processuali (pubblico ministero e difesa) in condizioni di parità ed in ossequio al principio del contraddittorio – ciò in totale aderenza alle ragioni fondanti il processo accusatorio (terzietà) –  e di indifferenza rispetto all’oggetto del processo (imparzialità)».

«Sul punto scrive l’Anm locale che la riforma costituzionale “renderà il Pubblico ministero sempre più un avvocato dell’accusa  – che ragiona in termini di “vittoria o sconfitta” – e sempre meno il primo dei giudici incontrati dall’indagato, cerca prove a suo discarico e ne chiede l’archiviazione o l’assoluzione con la serenità che gli deriva dall’essere indipendente da ogni altro potere e di non aver nessun interesse a “vincere” un processo”. La verità è che il nuovo articolo 104 della Costituzione attribuirà in titolarità piena ed autonoma al pubblico ministero la garanzia di indipendenza da ogni potere dello Stato mentre oggi l’articolo 107 gli estende graziosamente le garanzie del giudice, un bel salto di qualità, parafrasando il professore e avvocato Oliviero Mazza».

«Altro argomento travisato è,  – scrive Stefano Moruzzi, presidente della Camera Penale locale – appunto, l’imparzialità del pubblico ministero: il feticcio dell’articolo 358 del Codice di Procedura Penale è già stato demolito dalla Corte Costituzionale secondo cui il pubblico ministero deve eventualmente considerare le prove a discarico per valutare la tenuta della ragionevole previsione di condanna ma giammai deve dimostrare l’innocenza dell’imputato che, fino a prova contraria, è presunta dalla Costituzione e non è un tema di prova. In fase di indagini preliminari è per l’appunto il giudice per le indagini preliminari che deve o dovrebbe svolgere appunto l’importante funzione di “controllo” dell’operato del PM: si tratta della grammatica procedurale». «Quindi,  – prosegue la nota – a bene vedere, le ragioni vere dell’opposizione appaiono risolversi nel rifiuto all’introduzione dell’Alta Corte disciplinare e del sorteggio dei componenti togati dei futuri membri del Consiglio Superiore della Magistratura, in maniera tale, scrive l’Anm locale, da creare “il rischio di un magistrato pavido, indotto a prendere decisioni che evitino di scontentare la maggioranza di turno, che potrà influenzare le sorti della sua carriera e dei suoi procedimenti disciplinari”».

«Sempre parafrasando Mazza, così si dimentica la degenerazione correntizia svelata dal caso Palamara: a mali estremi, estremi rimedi. Il sorteggio (peraltro temperabile con futura legge ordinaria) rappresenta l’amara medicina necessaria per curare una conclamata malattia. Nella brochure rinvenuta in diversi Uffici del Tribunale di Piacenza è riportato, tra le altre, che Giovanni Falcone sosteneva solo la separazione delle funzioni (cosa diversa dalla separazione delle carriere). In realtà , il magistrato così scrisse circa la separazione delle carriere: “Timidamente, dunque, e tra molte esitazioni e preoccupazioni, comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può più essere identica a quella dei magistrati giudicanti, essendo diverse le funzioni e quindi le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale, che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere” (Giovanni Falcone in “La posta in gioco, interventi e proposte per la lotta alla mafia”)».

«In conclusione, diversi costituzionalisti, in aderenza ai principi costituzionalmente garantiti del diritto di difesa, del diritto di uguaglianza, del giusto processo accusatorio in condizioni di terzietà ed imparzialità del giudice, si domandano non tanto perché tale riforma non debba trovare concreta attuazione ma il motivo per cui essa non sia stata ancora approvata».



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