Open Innovation, il mercato dei servizi alle imprese in Italia vale 742 mln euro. Lo calcola la School of Management Politecnico Milano

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Cresce, anche se do poco, il mercato dei servizi di Open Innovation in Italia, che ha raggiunto nel 2023 un fatturato complessivo di 742 milioni di euro contro i 696 milioni dell’anno precedente e che, grazie all’intelligenza artificiale generativa, potrà cogliere ulteriori opportunità di sviluppo (si veda qui il comunicato stampa).

Il dato emerge dalla mappatura aggiornata del fenomeno contenuta nell’Open Innovation Lookout 2025, risultato della collaborazione tra il gruppo di ricerca Innovation & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e Lab11, spin-off della Scuola Sant’Anna, con il coinvolgimento attivo di aziende riconosciute tra i principali attori dell’innovazione collaborativa in Italia. A conferma della crescente rilevanza del tema, l’edizione di quest’anno, presentata nei giorni scorsi, ha visto il lancio di un chapter dedicato ad approfondire l’evoluzione dell’Open Innovation nel Sud Italia, grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Meccanica, Matematica e Management del Politecnico di Bari.

L’ecosistema dell’Open Innovation in Italia è ampio e articolato, popolato da service provider con competenze specialistiche differenti sulle quali le imprese possono fare leva come elemento strategico per accelerare e aumentare il tasso di successo dei propri progetti di innovazione. Alcuni player facilitano la connessione e la collaborazione tra aziende e startup, altri offrono infrastrutture e risorse per la sperimentazione tecnologica, mentre altri ancora sono in grado di agevolare l’accesso a capitali e finanziamenti.

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Va detto che il mercato è ancora molto polarizzato, con poche categorie di fornitori di servizi dominanti ovvero società di consulenza, innovation center, uffici di trasferimento tecnologico e società professionali per la proprietà intellettuale. Nonostante le barriere all’ingresso per i nuovi attori, cresce l’interesse per approcci innovativi come il Corporate Venture Building e la possibilità per le imprese di fare leva sugli Startup Studio, che tra il 2021 e il 2024 hanno lanciato sul mercato oltre 80 nuove startup.

Quanto emerge è che si tratta di un ecosistema composto da realtà giovani (il 72% delle imprese ha meno di 20 anni) e di piccole-medie dimensioni (l’84% conta meno di 200 dipendenti), fortemente concentrato al Nord dove opera il 68% dei provider di servizi: la Lombardia fa la parte del leone (36%) e altri poli di rilievo sono Emilia-Romagna (10%), Piemonte (10%) e Trentino Alto Adige (7%). Il Centro-Sud però mostra un potenziale significativo, con il 13% del Lazio e il quasi 6% della Campania.

Emerge dal report che l’Open Innovation è un approccio che ormai coinvolge sia il settore pubblico sia quello privato, le grandi aziende di ogni settore ma anche le pmi, che sempre più si appoggiano a partner esterni per abilitare le proprie attività di innovazione, dando vita a un mercato di servizi avanzati strutturato e professionalizzato.

“Negli ultimi anni l’Open Innovation ha smesso di essere appannaggio di un numero limitato di grandi imprese”, ha detto Federico Frattini della School of Management del Politecnico di Milano, direttore scientifico dello studio insieme al collega Josip Kotlar e ad Alberto Di Minin, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “L’idea che l’innovazione non possa più svilupparsi esclusivamente all’interno dei confini aziendali è ormai assodata, trasformando il modo in cui le organizzazioni collaborano, sperimentano e creano valore, accedendo a ecosistemi di startup e tecnologie emergenti. Oggi però va fatto un passo ulteriore: la sfida cruciale è misurare l’impatto reale di queste iniziative e programmi, la loro efficacia e il valore generato, essenziale per fare evolvere le intenzioni strategiche in risultato tangibile e decisioni informate”.

Dunque, quali metriche possono determinare il successo di un programma di Open Innovation? Come si valuta l’apporto di un service provider all’accelerazione dei processi innovativi aziendali? Quali strumenti consentono ai manager di fare scelte oculate su investimenti e strategie future? L’edizione di quest’anno dell’Osservatorio Open Innovation Lookout si propone di esplorare proprio questo tema, fornendo un framework pratico per la valutazione dell’Open Innovation e della sua capacità di generare impatto per l’impresa che decide di adottarla. Inoltre, aggiorna la mappatura – iniziata nella prima edizione – dei player raggruppati in 25 categorie che in Italia offrono servizi a supporto delle imprese attraverso competenze, know-how, asset e risorse specializzate: dall’assistenza nella ricerca di finanziamenti al coaching, al mentoring & tutoring, dalla co-creazione alla consulenza nella digital transformation o nell’innovazione, dalla formazione al networking, dallo scouting tecnologico e di startup all’idea sourcing. Alcuni attori facilitano la connessione tra corporate e startup, altri forniscono infrastrutture e risorse per la sperimentazione tecnologica, altri ancora agevolano l’accesso a capitali e finanziamenti.

La capacità delle imprese di individuare i partner giusti e sfruttarne i servizi in modo strategico rappresenta un fattore critico di successo per trasformare idee innovative in vantaggi concreti”, ha continuato Alberto Di Minin, co-direttore scientifico e Advisory Board Chair dell’Osservatorio. “L’evoluzione del mercato infatti suggerisce una domanda crescente di soluzioni altamente specializzate, con un rafforzamento delle sinergie tra corporate, startup e istituzioni di ricerca: le imprese che sapranno farlo in modo efficace potranno potenziare la competitività, ridurre il rischio connesso allo sviluppo di nuove tecnologie e ottimizzare i tempi di ingresso sul mercato. Il futuro del settore dipenderà dalla capacità di adattamento dei diversi attori, dalla loro capacità di intercettare le esigenze emergenti e dalla costruzione di modelli di collaborazione più strutturati ed evoluti”.

Le società di consulenza per l’Open Innovation stanno assumendo un ruolo sempre più strategico, con un valore generato in continua crescita. Il loro focus si sta spostando verso servizi end-to-end, dal design delle strategie di innovazione fino allo sviluppo di Proof of Concept (PoC) e Minimum Viable Product (MVP). Gli Startup Studio emergono invece come una nuova leva per l’innovazione aziendale: operando con un approccio seriale e sistematico, creano startup che possono trasformarsi in soluzioni concrete di investimento o acquisizione per corporate e PMI. Il valore generato da operazioni di exit o di ingresso in cap table da parte delle imprese, infatti, aumenta di anno in anno, dimostrando le potenzialità concrete di questo modello.

Anche i Parchi Scientifico-Tecnologici mostrano un tasso di crescita rilevante, rafforzando il loro ruolo come hub di sperimentazione tecnologica e collaborazione tra imprese e istituzioni di ricerca. Al contrario, il valore generato dagli acceleratori risulta in calo, suggerendo la necessità di una revisione del modello tradizionale, con una maggiore integrazione di servizi a supporto delle corporate e dell’ecosistema. Anche gli Uffici di Trasferimento Tecnologico (UTT) registrano un andamento analogo, evidenziando la difficoltà di trasformare la ricerca accademica in opportunità di mercato.

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Tra le nuove tendenze cresce l’interesse verso il Venture Building come nuovo modello per concepire e lanciare iniziative imprenditoriali innovative. Rispetto al modello ormai consolidato del Corporate Venture Capital, il Venture Building permette di cogliere le opportunità date dai nuovi mercati, dalle tecnologie emergenti o dalla proprietà intellettuale non utilizzata attraverso la creazione e messa a mercato di nuove venture in modo strutturato e seriale. Il modello Venture Building può essere adottato dalle aziende con tre modalità differenti (Corporate Venture Builder, Venture Builder con approccio consulenziale e Venture Builder con approccio imprenditoriale) o realizzato da alcuni attori specifici dell’ecosistema quali gli Startup Studio, in entrambi i casi definendo una nuova era della creazione d’impresa, con prospettive promettenti.

Stando alla ricerca condotta dall’Osservatorio,  basata sulla somministrazione di due questionari indirizzati rispettivamente a imprese e service provider, il Venture Building in Italia è un fenomeno ormai ampiamente conosciuto (solo l’8% delle aziende non ne ha mai sentito parlare), ma solo il 26% delle imprese dichiara di averlo effettivamente adottato: in termini assoluti, tra il 2021 e il 2024 le imprese italiane hanno lanciato 241 iniziative di Venture Building e, tra di esse, il numero di progetti supportato dai service provider è cresciuto fortemente. Guardando al futuro, le aspettative verso questo nuovo modello sembrano essere promettenti, con il 19% delle imprese che conferma di avere in programma di lanciare iniziative di Venture Building e il 59% che dichiara di avere attività in corso che potranno, potenzialmente, portare allo sviluppo di nuove venture. I macro-settori dell’energia, della sanità e scienze della vita e dell’hi-tech rappresentano i settori ad oggi più attivi, così come l’intelligenza artificiale risulta essere centrale per il 30% delle iniziative.

“A 20 anni dalla nascita dell’Open Innovation, l’attenzione si sta spostando dalla progettazione all’efficacia: misurare i risultati e comprenderne il valore concreto per l’azienda e l’ecosistema di innovazione è ormai un elemento imprescindibile per le imprese che hanno deciso di abbracciare questo modello”, ha affermato Josip Kotlar, direttore dell’Osservatorio. “Un sistema di misurazione chiaro e strutturato è fondamentale per permettere agli innovation manager di dimostrare il valore delle iniziative di Open Innovation, migliorando la trasparenza e la rendicontazione verso stakeholder interni ed esterni, facilitando il coinvolgimento del board e agevolando l’approvazione di nuovi progetti e investimenti. Inoltre, offre l’opportunità di rafforzare la reputazione aziendale e facilitare l’attrazione di partner strategici, startup e investitori, garantendo che le iniziative siano realmente strategiche e non solo di facciata”.

L’Open Innovation Balanced Scorecard, sviluppata nell’ambito delle attività condotte dall’Osservatorio Open Innovation Lookout 2025, valuta proprio l’impatto dell’Open Innovation attraverso quattro dimensioni fondamentali: input, initiatives, output e outcome. “Questo strumento è stato sviluppato sulla base delle esperienze pratiche dei partner della ricerca e vuole essere una guida per le imprese interessate a misurare l’impatto delle proprie attività di Open Innovation”, ha continuato Kotlar. “Ma per renderlo efficace è necessario calarlo sulla singola realtà aziendale considerando il settore di riferimento, le priorità strategiche e le risorse a disposizione”. Il processo di misurazione dell’impatto dell’OI si articola in quattro fasi principali: definizione delle priorità di innovazione, sviluppo degli elementi essenziali della strategia di Open Innovation, costruzione della OI Balanced Scorecard e monitoraggio continuo. La valutazione deve essere dinamica e iterativa, con monitoraggi periodici che garantiscano coerenza con l’evoluzione del contesto e delle sfide strategiche delle imprese”.

In aggiunta ai dati e alle interviste raccolti nel corso del progetto, l’Osservatorio contiene anche le prospettive dei partner: a2a, Ayming, Bluethink, BINP, Bracco, Buono & Partners, Caffeina, Cariplo Factory, Cdp, Chiesi Group, Djungle Studio, Enel, Eni, Exprivia, EY, Fantozzi & Associati, Fondazione Hub Innovazione Trentino, Gellify, Gianni & Origoni,  Juventus, Opinno, PoliHub, Product Heroes, Regione Puglia, Sella, Startup Bakery, Studio Torta, Unicredit Start Lab, Wazoku, Zest. E dei patrocinatori e media partner della ricerca: Alisei, federated innovation@MIND, InnovUp, Italian Tech Alliance, MIT Technology Review Italia.



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