Nuovo Giornale Nazionale – ALL’UNIONE EUROPEA MANCANO LE CAPACITÀ INTELLETTUALI

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Henry Kissinger, nel suo: “L’arte della diplomazia” (Saggi Paperback), edito per la prima volta nel 1994, ossia mentre si stava strutturando il trentennio neocon che ha contraddistinto gli ultimi trent’anni e che sta crollando, scriveva: “L’assetto mondiale che sta emergendo deve essere costruito da uomini di stato che abbiano grandi e diversificate capacità intellettuali”.

Queste grandi e diversificate capacità intellettuali non si sono viste. Gli Usa hanno prodotto George Bush Jr., Bill Clinton, Barack Obama e, dulcis in fundo, Joe Biden.

In Europa, dove dagli anni Novanta del secolo scorso siamo stati incastrati nell’asse franco tedesco, la Francia ha espresso: François Mitterrand (fino al 1995), Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy, François Hollande e Emmanuel Macron.

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Se togliamo François Mitterrand, gli altri, in sequenza discendente, sono dei signori nessuno.

In Germania, i cancellieri sono stati Helmut Kohl, Gerhard Schröder, Angela Merkel e Olaf Scholz.

Se togliamo Helmut Kohl, il resto è in caduta libera.

Se passiamo alla presidenza della Commissione Europea, il quadro è desolante: Jacques Delors, Jacques Santer, Romano Prodi, Manuel Barroso, Jean-Claude Juncker, Ursula von der Leyen.

Difficile pensare che tutti questi signori, salvo pochi (Mitterrand e Khol) rispondano ai criteri di Henry Kissinger, motivo per il quale l’Occidente è ridotto male e l’Unione Europea è ridotta malissimo.

Non solo. Sia gli Usa dei neocon, sia l’Unione Europea dell’asse franco tedesco, hanno favorito il crescere di apparati burocratici mostruosi, in stile stalinista, e hanno affidato l’elaborazione delle loro linee politiche a competenti, tecnocrati, ottimati vari, i quali hanno prodotto follie, delle quali oggi la realtà ci presenta il conto.

Valga un esempio per tutti. L’intellettuale di riferimento di lor signori è stato Francis Fukuyama, lo scienziato politico, noto soprattutto per il suo libro: “La fine della storia e l’ultimo uomo”, in cui sosteneva che la democrazia liberale potrebbe essere il punto finale dell’evoluzione ideologica dell’umanità. Una solenne idiozia che avrebbe dovuto meritare solo sberleffi, in quanto chi è sano di mente e ha studiato anche solo alle elementari, può rendersi conto che quanto afferma l’intellettuale americano è una stupidaggine. Eppure ci sono stati molti intellettuali e molti politici che si sono accodati all’idiozia della fine della storia, mentre la storia procedeva, pronta a presentare il conto.

La Russia, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha avuto ai suoi vertici Boris Eltsin , fino al 1999) e Vladimir Putin (fino ad oggi, con un intermezzo di Dmitrij Medvedev ).

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Di Eltsin si ricorderà soprattutto il tasso alcoolico, ma di Vladimir Putin tutto si può dire, ma non che non sia un leader dotato degli attributi kissingeriani.

La Cina, che i neocon (quelli della fine della storia) ritenevano la fabbrica del mondo, ha avuto leader come Deng Xiaoping, Jiang Zemin, Hu Jintao e Xi Jinping. Tutti leader ben attrezzati e con Xi Jinping, oggi, che ha tutti gli attributi kissingeriani.

Mentre Putin e Xi radicavano e consolidavano il loro potere nella storia e nella cultura dei loro paesi, l’Occidente dei neocon americani e dei loro simili europei sputavano sulla loro storia millenaria, inventando una montagna di idiozie degne di quella di Fukuyama.

Il risultato è che oggi l’Occidente è ridotto male.

Gli Usa, con un colpo di reni, hanno pensato di cambiare radicalmente la loro impostazione e di archiviare un periodo disastroso, mentre l’Unione Europea non cessa di mantenere una condizione di inettitudine.

La prova dell’inesistenza dell’Unione Europea è riassunta in un nome: Kaja Kallas, l’Alto Rappresentante dell’Ue, che doveva incontrare a Washington il segretario di Stato Usa Marco Rubio e, invece, ha dovuto rinunciare, ufficialmente per “problemi d’agenda”.

Kallas era in viaggio per due giorni negli Stati Uniti per incontrare senatori e i deputati americani.

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L’annullamento dell’incontro con Rubio rende la missione dell’Alto Rappresentante oltreoceano non strettamente indispensabile, a giudicare dall’agenda, e appare come l’ennesima conferma del fatto che l’amministrazione guidata da Donald Trump non ama l’Unione Europea.

Huffington Post analizza l’andamento del Green deal e scrive che un funzionario di Bruxelles allarga le braccia e dice: “Il mondo è diverso da un anno fa”.

“È il massimo delle concessioni – scrive Huffinghton Post – quando a Palazzo Berlaymont si chiede come mai il Green deal, messo a punto solo un anno fa, sia già oggetto di una totale revisione senza che nessuno nella squadra von der Leyen ammetta l’errore e chieda scusa. Oggi a Bruxelles una lunga serie di briefing dei funzionari della Commissione e conferenze stampa dei commissari, uno dopo l’altra senza sosta dal mattino al pomeriggio, presenta la nuova linea: il Green deal diventa ‘Clean industrial deal’, che poggia sul provvedimento Omnibus, di fatto un collage di emendamenti alla normativa originaria per rivederla come hanno chiesto gli Stati, dall’Italia di Giorgia Meloni alla Francia di Emmanuel Macron, la Germania e tutti gli altri. La nuova parola d’ordine è ‘indietro tutta’ dalle regole dell’agenda verde nel tentativo di dare fiato e competitività alle imprese. La rivoluzione è totale. L’obiettivo di neutralità climatica al 2050 resta sulla carta, ma la marcia ingranata lascia spazio ai dubbi. O quanto meno illumina un madornale errore di strategia non dichiarato. Nel mazzo dei dossier presentati oggi c’è anche il cosiddetto “Piano d’azione per l’energia a basso costo”, ma solo un mese fa gli Stati hanno deciso di non prorogare il meccanismo che stabilisce un tetto al prezzo del gas, faticosamente raggiunto dopo mesi di negoziati e muri alzati dai frugali nel 2022”.

Tutta la fuffa green e climate change finisce in un cestino, mentre i burocrati allargano le braccia.

Tutta la linea con la quale è stata varata la Commissione Ursula a luglio è messa da parte.

Se ci fosse un residuo di dignità, la Ursula von der Leyen si dimetterebbe e con lei la Kallas, che non è nemmeno una soprano. Che dire della socialista spagnola Teresa Ribera Rodríguez, che del verde probabilmente si troverà a gestire non il Green Deal ma il Green Garden di casa sua.

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Tutta gente che non risponde ai requisiti kissingeriani, ma rimangono a farsi del male e a far del male.

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