Le promesse tradite e la crisi della democrazia

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di Giovanni Caruselli

Ormai a una voce sola quasi tutti i commentatori politici, sociologi, storici ripetono come un mantra che le democrazie sono in crisi e che l’orizzonte politico planetario è sempre più offuscato dall’avvento delle dittature se non addirittura dei totalitarismi. Ma non sono in molti a spiegare perché dopo 80 anni di pace sociale adesso masse sempre più consistenti di elettori si sono disamorati delle pratiche democratiche e degli ideali di solidarietà e cooperazione in cui hanno creduto. Con un po’ di presunzione proviamo a fare qualche ipotesi. Tutte le acquisizioni degli ultimi 80 anni e oltre sono state considerate una conquista di cui essere soddisfatti e orgogliosi, ma le generazioni successive inevitabilmente le hanno vissute come aspetti della modernità acquisiti e consolidati stabilmente. E dal momento che il progresso punta sempre a nuovi traguardi tecnologici, inevitabilmente i costi della produzione delle merci crescono e si allontanano progressivamente dalla soddisfazione dei bisogni primari. Non è difficile capire che l’attività ideativa, progettuale e realizzativa diventa più frenetica e complessa e i consumi devono essere alimentati da una poderosa macchina di convinzione che normalmente chiamiamo pubblicità e che si basa sull’equazione fra felicità e conformismo. Non c’è alcun motivo per pensare che la crescita così intesa possa essere portatrice di serenità. È per questa ragione che nasce una certa nostalgia di quello che chiamiamo paradossalmente modernariato, cioè di oggetti che portano con sé un’aura di serenità e di sensibilità umana perduta o in via di dissoluzione. In un mondo in cui il lavoratore è definito risorsa e il frutto del suo lavoro un costo si disperde quel sentimento di solidarietà che le migliori condizioni di vita conquistate dovrebbero far crescere.
Si dimentica facilmente che il benessere ha avuto un costo, che chi lo ha prodotto spesso ne ha fruito molto meno di altri, che una parte del mondo ha sfruttato risorse umane e planetarie. Si dimenticano le guerre, le disparità, le ingiustizie che hanno accompagnato, e accompagnano, il progresso.
Ma l’errore più grosso condiviso da quasi tutti è che il progresso vada a braccetto con la democrazia, i diritti e le libertà messi nero su bianco nei celebrati documenti “universali” dell’epoca moderna. Per esempio quando si parla del diritto al lavoro si intende una pia aspirazione degli Stati o qualcosa che si realizza al costo di renderlo tanto precario da suscitare vergogna in chi lo accetta? Quando si afferma che tutti gli uomini nascono eguali si intende che chi vive nella povertà e nell’incertezza è “eguale” a chi nasce e cresce usufruendo di ben altre opportunità? Chi nasce ultimo e non ha la capacità o più semplicemente l’educazione necessaria a un’ascesa sociale deve restare ultimo, pur essendo “uguale” a chi è più fortunato? Per non parlare dell’assurda disuguaglianza che vige fra un numero ristrettissimo di ricchi e centinaia di milioni di poveri. Se è così la democrazia si riduce al voto da imbucare nell’urna elettorale.
A questo punto torniamo alla domanda iniziale. Perché molti non credono più nella democrazia? Perché essa promette molto ma mantiene poco le sue promesse. Si possono tollerare diversità di condizione sociale per cui si ricompensa di più chi di più fa per la comunità. Ma le speculazioni borsistiche che premiano i più furbi sono meriti che vanno riconosciuti? È un caso che la disaffezione verso le democrazie si sia sviluppata contemporaneamente allo sfacciato dominio planetario della grande finanza? Come si può credere nella democrazia se un pugno di super ricchi può mandare in rovina un’intera economia nazionale o dominarne i mezzi di comunicazione. Che hanno fatto le democrazie per evitare che questo avvenisse? E allora vale la pena stare dalla parte dei più forti piuttosto che rischiare di precipitare nel mondo dei più deboli. Se l’essenza del progresso è la competizione in cui inevitabilmente c’è chi vince e chi perde, bisogna competere al meglio dimenticandosi dei principi “democratici” pur di difendere i propri interessi, anzi gli interessi della propria nazione. È un film che abbiamo già visto, ma sembra che pochi se lo ricordino. E se su questa strada si va incontro a una guerra, bene che guerra sia, nessuno ne avrà avuto la colpa, tranne i perdenti. I dittatori, o quelli che si atteggiano ad essere tali, che mentono sistematicamente, possono convincere solo quando chi gli si oppone non è capace di dimostrare che la democrazia non è solo una teoria ma anche una realtà di fatto. A questo punto c’è da chiedersi se le buone intenzioni vengano prima dei fatti o viceversa. Noi speriamo che in futuro vadano assieme.

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