Pittsburgh negli anni Trenta e Quaranta produceva più acciaio dell’Asse nazifascista. Oltre a generare una coltre di nubi, pestilenti e mortifere che rendevano indistinguibile dì e notte. Simile agli spettrali scenari che premono sulla sinistra americana, e mondiale, vagante alla ricerca di una bussola culturale e ideale.
Il termine Rust Belt è stato coniato, comunque reso popolare, da Walter Mondale nella romantica e decadente Cleveland durante la disastrosa campagna elettorale del 1984 per scongiurare il secondo mandato di Ronald Reagan. Proprio la città dell’Ohio è passata dai quasi 900.000 abitanti del 1960 ai meno di 400.000 di oggi. E sorte analoga è toccata a Pittsburgh, Detroit, Buffalo, Chicago, Milwaukee. Città post-industriali che hanno patito sofferenze sociali, economiche, politiche e di sicurezza.
Illinois, Indiana, Michigan, Ohio, Pennsylvania, West Virginia e Wisconsin, il cuore industriale degli Stati Uniti e il bacino operaio. Cui si abbeverava il Partito democratico, soprattutto con l’apertura di credito del New Deal roosveltiano, rilanciata dalla «guerra alla povertà» di Lyndon Johnson e che in parte ha resistito al laissez-faire padronale anni Ottanta.
Gli impiegati nell’industria automobilistica, manifatturiera, delle costruzioni, erano il fulcro produttivo che ha dato linfa alle classi emergenti, consolidato la borghesia urbana e consacrato i capitani dell’industria, che talvolta hanno restituito alle comunità tramite la peculiare filantropia americana.
Da New York al Midwest i colletti blu erano sostenuti, difesi e galvanizzati oltre che politicizzati da una potente rete di organizzazioni sindacali, cinghia di trasmissione con la politica cui far pesare voti e ricatti.
Fabbriche e urne vuote
La fabbrica americana ha perso slancio nell’ultimo quarto del XX secolo, dovuto al cambiamento organizzativo e aziendale, alla concorrenza sino-latino/americana, al mutamento del capitale finanziario, alla crescita del costo del lavoro e agli stravolgimenti tecnologici.
La data simbolo è il 19 settembre 1977, Black Monday, per la chiusura di Campbell Works e il licenziamento di cinquemila operai, in Ohio, a Youngstown, dell’omonima ballata di Bruce Springsteen che ne ha celebrato l’infausto destino, similmente a Billy Joel che ha cantato Allentown e la resistenza alla crisi dell’acciaio in Pennsylvania. Cui non sono bastati i colori sgargianti del natìo Andy Warhol per ridare lustro al nucleo di una zona grigia, grande mezza Europa.
La manifestazione più eclatante della “cintura industriale arrugginita” è venuta con la crisi delle automobili: dove sono nate le celebri “modello T” di Henry Ford e prosperava la General Motors, si chiudevano cancelli senza sirene d’ingresso e cambi turni.
Detroit da sinonimo di “macchina” è divenuta il posto dove si è scaricata l’apocalisse della speculazione finanziaria: la città e la GM in bancarotta, da due milioni a settecentomila abitanti, la disoccupazione al 16 per cento.
Gli immobili svalutati tanto che nessuno acquistava case pur vendute a un dollaro. Ne è seguito uno svuotamento dei luoghi, la loro perdita di senso, di significato. Di vite, di persone che vanno via, e che speri ritornino dove hanno il cuore.
Una coalizione sociale si sgretolava e non si è sentita più rappresentata dall’Asinello. Il quale è apparso meno incline a condividere e capire che a compatire, vagheggiando rivoluzioni ultraliberali, talvolta verbose, poco pragmatiche e perciò inefficaci. Decrescita demografica, depauperamento salariale, riduzione degli operai, crescita del crimine e disuguaglianze sociali.
Le conseguenze politiche ed elettorali sono state cogenti. Michigan, Pennsylvania e Wisconsin hanno premiato Donald Trump nel 2016 e nel 2024; ma soprattutto nei collegi parlamentari il distacco è cresciuto a favore dei repubblicani, con i democratici asserragliati nei grandi centri urbani. Ma non è più sufficiente. Joe Biden, originario di Scranton, cittadina con miniera di carbone e altoforno dell’acciaio, celebrata nello spot elettorale presidenziale del 2020 e nemmeno evocata nel 2024, per la velleitaria corsa di Kamala Harris capace di fare peggio di Biden anche nelle zone urbane.
Alcune città della Rust Belt tentano di rinascere: è il caso della reinvenzione urbanistica di Pittsburgh, con la prestigiosa università, la robotica, la medicina d’avanguardia.
L’arsenale dei progressisti
Ma non basta il terziario, i servizi, il digitale, l’immateriale, come certificato dalla Sun Belt che ha preso piede quasi in concomitanza (e concorrenza?) con la Rust Belt, ma rischia di cedere il passo alle “emergenti” economie asiatiche.
Nel 2024 il voto di latinos, afroamericani (meno compatti sui Dem di un tempo), giovani, donne a basso reddito, ha sancito lo scollamento tra progressisti e classe lavoratrice. I lavoratori cercano identità, ma soprattutto rappresentanza, parole d’ordine da politici credibili che li tutelino.
Del resto, «la Terra è non solo la sua [del lavoratore] dispensa originaria di generi alimentari, ma anche il suo arsenale primitivo di mezzi di lavoro», scriveva Karl Marx. La sinistra, con qualche idea, torni alla terra e al suo arsenale. E Trump sarà un brutto ricordo.
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