Nella sua opera seconda da regista Jesse Eisenberg, attore 40enne consolidato nel cinema di qualità (fu, tra gli altri, Mark Zuckerberg in “The social network” di Fincher), mostra una doppia umiltà non comune. Con la prima, da regista, non sovrasta mai la storia con segnali estetici rilevanti, ma l’asseconda e l’accompagna quasi nascondendosi, lasciando che siano i fatti, ma soprattutto i personaggi, a raccontarla; con la seconda, da attore, si permette di fare da spalla a Kieran Culkin, ancora una volta alle prese con una recitazione esuberante, pur mai ingombrante, dopo l’eccezionale performance nella serie “Succession”, dosando un istrionismo sfaccettato che sa abbracciare, nell’euforia e nella stravaganza delle azioni, un’inclinazione votata alla malinconia, fino alla depressione. A un paio di anni da “Quando avrai finito di salvare il mondo”, anche lì dal sapore autobiografico, con “A real pain” (chissà perché non è stato tradotto il titolo, classici misteri della distribuzione) Eisenberg veste i panni di David Kaplan, che assieme al cugino Benji, entrambi di famiglia ebraica arrivata nel dopoguerra in America, si reca in Polonia, sulle tracce della vecchia nonna scomparsa, per trovarne la casa in cui abitò e, unendosi a un gruppo turistico, visitare i luoghi della tragedia dell’Olocausto. Fin dalla prima sequenza all’aeroporto, tra David, che è sposato e ha un figlio, e Benji, che è single, si capisce come la loro evidente diversità di stile e vita non sia un problema da poco, a maggior ragione quando si uniscono agli altri componenti del tour, con i quali nasce un rapporto contradditorio, perché tenere sotto controllo Benji è praticamente impossibile. La forza principale del film sta nell’essere “immediato”, in questo aiutato da una sceneggiatura, dello stesso Eisenberg (nomination agli Oscar) che privilegia le parole e i fatti con una semplicità descrittiva e al tempo stesso coinvolgente, indipendentemente dalla forza attoriale di Culkin, la cui presenza a tratti è straripante: non a caso anche lui è nominato per la statuetta, che vincerà quasi sicuramente, pur curiosamente come attore non protagonista. Questo rischia forse di oscurare il resto dei personaggi che si muovono attorno ai due cugini, ma Eisenberg mostra una buona sensibilità nel mettere in scena diverbi e situazioni divertenti, regalandosi anche qualche momento commovente, come la visita al lager. “A real pain” è una commedia piacevole che stimola un interesse continuo, dove gli attriti, anche familiari, affiorano, ma si ricompongo con un abbraccio e dove il senso della vita e della socializzazione passano attraverso prove e ricordi che il tempo non sarà mai in grado di cancellare. Voto: 6,5.
UN RAGAZZO E LA VITA – Leonardo non è un ragazzo facile. Vive a Palermo, ama la letteratura classica, inizia a sentire le prime pulsioni sessuali, raggiunge la sorella a Londra, poi si sposta a Siena, infine a Torino. In questo road-movie esistenziale, nella sua formazione non lineare di crescita, Leonardo sonda il mondo, intuendo di non esserne così partecipe. Cerca rifugio. “Diciannove” è l’opera prima di Giovanni Tortorici, prodotta da Luca Guadagnino, e mostra un protagonista e un regista forse ancora acerbi, ma che sanno trasmettere emozioni e sentimenti, quasi senza parlare, affidandosi alle immagini. Al pari del protagonista (il bravo Manfredi Marini) restiamo spiazzati da un film volutamente irrisolto, che fa vibrare un ritratto così poco convenzionale. Una sorpresa. Voto: 7.
FIGLI OPPOSTI – Due figli adolescenti. Il primo è indirizzato lodevolmente allo studio, il secondo subisce il fascino di gruppi di estrema destra. Un padre. Costretto a crescerli da solo, rimane schiacciato e indifeso nel dualismo esasperato. Nell’universo tutto al maschile, le francesi Delphine e Muriel Coulin “giocano col fuoco” (il titolo originale), portando il triangolo familiare alle estreme conseguenze. Ma in “Noi e loro” le conflittualità appaiono canoniche e sbrigative, mentre il tema della deriva destrorsa in Francia è poco sviluppato. Bravissimi, invece, gli interpreti: Benjamin Voisin e Stefan Crepon e ovviamente Vincent Lindon, premiato a Venezia, soprattutto per il monologo finale. Voto: 5,5.
Ultimo aggiornamento: 14:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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