«Sulle dimissioni del pontefice c’è ancora un vuoto canonico, ma la chiesa non si identifica con il papato»

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«Il caso più noto e anche attestato dal punto di vista storico, è quello di Celestino V, che, alla fine del XIII secolo, nel 1294, rinuncia al papato con un documento in cui dichiara di rinunciare liberamente e spontaneamente alla sua funzione, precisando anche le ragioni, l’inadeguatezza personale, lo stato di salute precario, il desiderio di vita eremitica. Ecco quindi quello che in qualche modo è il caso il caso di scuola, a cui si può fare riferimento». Spiega in questi termini Daniele Menozzi, professore emerito di storia contemporanea alla Normale di Pisa e uno degli studiosi più autorevoli di storia della chiesa, il celebre precedente di Celestino V, il papa «del gran rifiuto».

Nei giorni in cui si torna a parlare di dimissioni possibili del papa, il riferimento è quasi d’obbligo. Successivamente, spiega ancora Menozzi, dopo il consolidamento del papato, «si afferma la tesi di una unicità tale del servizio petrino per cui appunto le rinunce volontarie diventano possibili solo nel caso in cui ci sia un effettivo impedimento ad esercitare la guida della chiesa».

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Ecco, a partire da Paolo VI, si è instaurata la prassi per cui il papa scrive una lettera di dimissioni firmata durante l’esercizio della sua funzione del servizio petrino. E la lascia ad un suo collaboratore fidato il quale, qualora appunto constati l’impossibilità di esercizio della funzione di governo, ha il mandato di rendere nota e pubblica questa lettera di dimissioni. Ecco, direi che tutti i papi a partire da Paolo VI in poi, abbiano provveduto in tal senso. E anche papa Francesco lo ha detto esplicitamente. E questo perché il caso più recente che è quello di Benedetto XVI, in un certo modo, propone una situazione di vuoto normativo, di vuoto canonico.

La rinuncia di Ratzinger lascia dunque problemi aperti.

Sì perché Benedetto si è dimesso ma allo stesso tempo non ha promosso una normativa che disciplini il caso delle dimissioni. Ecco, lo ha fatto con l’intenzione di mantenere una sua presenza all’interno della chiesa; si è dimesso perché non riusciva più a governare ma allo stesso tempo questa scelta fa parte delle contraddizioni e delle ambiguità del governo di Ratzinger che hanno segnato il suo periodo di esercizio della funzione papale.

Francesco, da parte sua, ha sempre affermato che fino a che la salute lo reggeva, non avrebbe avuto intenzione di dimettersi e che per potere disciplinare l’istituto delle dimissioni e quindi quello del papa emerito, era necessario accumulare delle esperienze in modo che la normativa potesse essere equilibrata e non venisse ad incidere in maniera traumatica nella vita della chiesa.

D’altro canto, Bergoglio ha favorito, sotto vari aspetti, una normalizzazione del papato; ha provato a togliere quello che per secoli è stato invece promosso: cioè un’aura sacrale intorno alla figura del papa il quale, via via, da vicario di Pietro è diventato vicario di Cristo poi addirittura vicario di Dio in terra; il processo storico della chiesa ha portato ad una sacralizzazione della figura del pontefice.

Con Francesco è cominciato un processo diverso: il papa è pur sempre un uomo che, per quanto sia gravato del servizio petrino, ha tutti i suoi limiti, tutti i suoi problemi, tutte le sue difficoltà. E dunque si tratta di accumulare delle esperienze, di vedere come in questo processo di desacralizzazione del papato, si presentano casi che col tempo dovranno trovare una adeguata disciplina canonica per consentire che la vita della chiesa proceda normalmente.

Va anche precisato, che papato e chiesa non è detto che coincidano perfettamente, indipendentemente da chi sia il papa.

La chiesa va avanti comunque anche senza una figura sacrale che la guida. La chiesa è essenzialmente il popolo di Dio, quindi il popolo di Dio può camminare; è vero che ha bisogno di un coordinamento, ma intanto appunto c’è un popolo di Dio che cammina nella storia.

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È la figura del papa che ha bisogno di trovare una configurazione in questa nuova situazione che si sta delineando, probabilmente il successore di Francesco avrà tutti gli elementi per promuovere una normativa che sia in grado di disciplinare anche il caso del pontefice che non è più in grado di esercitare le sue funzioni oppure che non vuole più esercitare le sue funzioni oppure che si trovi impedito fisicamente. Credo che si tratti di lasciare alla storia il suo corso e da lì trarre gli elementi che aiutino a definire questa situazione di transizione in cui ci troviamo.

Ma secondo lei, non può essere che il papa stesso resista all’idea di lasciare il suo incarico che, insomma, non voglia dimettersi nonostante le limitazioni fisiche?

Sì beh, può darsi che ci sia anche questo, indubbiamente qui entriamo poi nell’ambito delle valutazioni di politica ecclesiastica. Benedetto XVI si è dimesso non solo perché non ce la faceva più, ma perché la linea che aveva portato avanti era fallimentare; aveva fatto dell’incontro con i lefebvriani il punto qualificante del suo governo. Di fronte a questo che era un fallimento clamoroso della linea che aveva impostato, si è dimesso.

In tal senso non va dimenticato che Francesco è un papa riformatore. Ha promosso una serie di riforme che sono in corso, la più importante è ovviamente la trasformazione della chiesa in senso sinodale, il fatto che il documento del Sinodo sia stato assunto dal papa come parte del proprio magistero è un atto fondamentale, si tratta della prima volta che succede da quando ci sono i sinodi.

È un evento ancora in corso che ha suscitato resistenze fortissime e di ogni tipo quindi si può anche capire che il papa, come dire, abbia il desiderio di vedere se questo processo che ha iniziato possa arrivare ad un punto più avanzato o meno.

E tuttavia c’è pur sempre un limite; il papa ha consegnato la lettera di dimissioni dunque nel caso in cui persone di sua fiducia, perché sicuramente non sarà uno solo ma sarà un gruppo di persone, dovessero verificare che non ce la fa più e non c’è speranza che ce la faccia, le dimissioni sono pronte.

Non mi pare che ci troviamo di fronte a una situazione drammatica, probabilmente ci troviamo di fronte ad una situazione di valutazione personale. Francesco ha sempre detto che nonostante tutto si sentiva ancora in buona salute, si sentiva lucido e quindi si può ancora dire che molto dipenda da questo. In ogni caso, c’è questo atto depositato, la lettera di rinuncia, con cui il papato contemporaneo in qualche modo ha surrogato la mancanza di una norma, la mancanza della legge.

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