Conversione decreti legge, arriva la proposta per allungare i tempi di 30 giorni: l’anomalia istituzionale diventata prassi

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Invece di provvedere alla cura si preferisce essere pazienti con la malattia. Sembra questo il senso della proposta avanzata dalla maggioranza per allungare i tempi per convertire i decreti legge, dagli attuali 60 giorni a 90. Si tratterebbe di una modifica dell’articolo 77 della Costituzione in materia di conversione in legge dei decreti, aggiungendo un ulteriore comma: “Nel caso in cui si renda necessario al fine di garantire l’esercizio collettivo della funzione legislativa delle Camere e qualora ne facciano domanda un decimo dei componenti di una Camera, il decreto, senza perdere la sua efficacia, può essere convertito in legge entro novanta giorni dalla sua pubblicazione”.

Il cortocircuito

Si veste di buon senso una comprovata anomalia istituzionale (e costituzionale), che da anni – con la proliferazione dei decreti legge – affida di fatto al Governo il potere legislativo, esautorando il Parlamento dalla sua funzione, così come l’aveva prevista la Carta fondamentale della Repubblica. Visto che in 60 giorni c’è poco tempo per esaminare il decreto legge, meglio allungare il tempo della sua conversione, con buona pace della “urgenza” prescritta per giustificare l’atto. Il Governo legifera, ma a sua volta fa sempre meno il suo ruolo di Esecutivo, visto che – anomalia nell’anomalia – non provvede con solerzia all’emanazione dei decreti attuativi, il che priva di efficacia molta parte degli stessi atti di governo, predisposti per “necessità e urgenza”.

I problemi dei provvedimenti di attuazione

Un corto-circuito che il Paese subisce e che nessuno si incarica di disinnescare. Crescono a dismisura i decreti legge, così come si moltiplicano i mancati decreti attuativi. La stessa manovra 2025 necessita di 110 provvedimenti di attuazione. Ma a due mesi di distanza dalla sua approvazione dal Parlamento ne sono stati approvati solo tre, mentre quindici hanno già superato le scadenze stabilite, fissate a fine gennaio 2025. Se questi sono i ritardi intorno alla legge di bilancio, è giusto rammentare il totale dei provvedimenti in lista d’attesa: al primo febbraio erano 648 (solo 37 dei quali sono previsti da iniziative legislative autonome di Palazzo Madama e Montecitorio), si tratta di 69 in più rispetto ai 579 rilevati a novembre 2024. E 288 di questi testi sono ormai oltre i tempi previsti.

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La classifica

Di questi 648 decreti attuativi mancanti, 611 sono provvedimenti previsti da atti legislativi di iniziativa governativa; solo 92 (il 15% del totale) sono riconducibili a emendamenti approvati in sede parlamentare. Nel dossier compilato dal Servizio di controllo parlamentare di Montecitorio si fa notare che la stragrande maggioranza dei 648 testi ancora da adottare è rappresentata dai decreti di fonte governativa: decreti ministeriali (440), e decreti del Presidente del consiglio dei ministri (87). Ecco, il Governo legifera al posto del Parlamento, ma non fa il suo compito di Esecutivo: non esegue quanto disposto dalla norma di legge. Non si tratta di puntare il dito contro questo o quel Governo. E’ una cattiva abitudine acquisita negli anni, da tutti. Nel dossier preparato dall’ufficio della Camera si fa notare che, sul totale di 648, sono 128 i decreti mancanti, derivati da atti predisposti dai tre Governi che si sono susseguiti nella scorsa legislatura – “Conte 1”, “Conte 2”, “Draghi” – e 22 da leggi promosse direttamente da deputati e senatori nel corso del precedente quinquennio. Questa è la giacenza dei provvedimenti attuativi mancanti, e abbiamo visto quanto questo dipenda dall’iniziativa legislativa dei Governi, attraverso la cattiva abitudine del decreto legge, che dovrebbe giustificarsi per “necessità e urgenza”. Il governo Meloni ha già pubblicato ben 55 decreti legge dal suo insediamento a palazzo Chigi nell’autunno del 2022. In termini assoluti, considerando le ultime quattro legislature, solo tre esecutivi “vantano” un valore più elevato: Berlusconi IV (80 decreti legge), Draghi (64) e Renzi (56). Per una classifica vera e propria dovremo aspettare la fine della legislatura o del Governo Meloni.

Alla faccia della Costituzione

Ma la sostanza è chiara. La deriva sembra inarrestabile. Invece che mettere un freno a questa impropria attività legislativa del Governo, il Parlamento preferisce chiedere più tempo per esaminare i decreti legge, in vista della loro conversione. Un approccio che finirebbe per trasformare in maniera definitiva il decreto legge da strumento emergenziale ad atto ordinario a cui il Governo può fare ricorso per dare più rapida attuazione alle proprie iniziative. Alla faccia di quanto previsto dalla Costituzione più bella del mondo.





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