Sede vacante, che cosa succede in Vaticano?

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Con la “sede vacante” (cioè in caso di morte o dimissioni del Papa) diventano fondamentali alcune figure della Curia romana che durante il pontificato svolgono funzioni di prestigio ma non immediatamente operative. Alla morte del Pontefice tutti i cardinali della Curia Romana e il Cardinal Segretario di Stato decadono dal loro incarico, ad eccezione del Camerlengo, del Penitenziere Maggiore, dei cardinali vicari della Diocesi di Roma e della Città del Vaticano, del Decano e Vice-Decano del Collegio Cardinalizio. Il cardinale Giovanni Battista Re è il decano del Collegio Cardinalizio (il suo vice è il cardinale argentino Leonardo Sandri).

Nessuno dei due ha meno di 80 anni e quindi non potranno partecipare all’elezione del nuovo pontefice pur svolgendo una funzione nell’organizzazione del conclave. Sono loro ad occuparsi dell’amministrazione corrente e a sovrintendere al conclave il cui allestimento è affidato specificamente al cardinale camerlengo Kevin Farrell. A gestire all’interno della Cappella Sistina i lavori del conclave una volta proclamato l’”extra omnes” dal Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie (arcivescovo Diego Ravelli) è il cardinale vescovo più anziano con diritto di voto (cioè under 80) è cioè il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano. Dopo la fumata bianca ad annunciare al mondo l’elezione del nuovo pontefice è il cardinale protodiacono, ossia il primo dei cardinali dell’ordine dei diaconi, cioè il cardinale corso-francese Dominique Mamberti. Jorge Mario Bergoglio ha iniziato il primo saluto dicendo “Buonasera!”, come si fa all’inizio di ogni celebrazione in Sud America iniziando la messa. Poi ha sottolineato che il dovere del Conclave era di eleggere un vescovo per Roma, aggiungendo una frase subito diventata storica: «Sembra che i miei confratelli cardinali abbiano dovuto andare a prenderlo quasi alla fine del mondo».

Sul soglio di Pietro Jorge Mario Bergoglio si è subito mosso nell’orizzonte della “teologia del popolo” latino-americana. Non è un caso che il documento da lui più citato, fin dai tempi del suo ministero episcopale, è l’esortazione apostolica “Evangeli Nuntiandi” di Paolo VI, il testo che più ha calato gli insegnamenti del Concilio nella realtà della Chiesa. Giovanni Battista Montini, scelto dai cardinali in conclave per portare a compimento l’opera del Concilio Vaticano II avviata dal suo predecessore Giovanni XXIII, è stato il vero “timoniere” della Chiesa nella modernità: l’ha condotto a termine non senza difficoltà e sofferenze, riuscendo nell’impresa miracolosa di concluderlo con tutti i documenti votati praticamente all’unanimità. Papa Montini si è trovato a guidare la prima fase applicativa e le grandi riforme scaturite dal Concilio, prima fra tutte quella con il maggiore impatto sul popolo di Dio, quella liturgica. Ha dovuto fare i conti con la contestazione interna alla Chiesa, cresciuta insieme al ’68. Ha sofferto molto. È riuscito a tenere unita la Chiesa nel drammatico decennio che va dalla fine del Vaticano II al Giubileo del 1975. “Evangelii Nuntiandi” è proprio il documento ripreso da Jorge Mario Bergoglio anche nel suo discorso alle Congregazioni Generali prima del Conclave che lo avrebbe eletto.

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In Francesco è presente in modo speciale l’importanza del ruolo dei laici sottolineata dal Concilio. Più volte ha fatto riferimento al Giappone che rimase per secoli senza sacerdoti e dove i laici continuarono a mantenere viva la fede nella comunità cristiana. Si potrebbe dire che Francesco è un anticlericale, in senso positivo: ritiene che i laici abbiano un compito insostituibile nella società. Il pre-conclave è un momento determinante in ogni elezione pontificia. Nel pre-Conclave del 1978, racconterà poi Joseph Ratzinger, l’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla analizzò per i cardinali in modo illuminante la natura del marxismo, ma soprattutto Ratzinger racconta di essere rimasto subito colpito dal fascino umano che Wojtyla emanava e, da come pregava, avvertendo quanto Wojtyla fosse profondamente unito a Dio. Il primo incontro era avvenuto tra Ratzinger e Wojtyla era avvenuto prima dell’elezione di Giovanni Paolo I. Durante il Concilio, avevano collaborato entrambi alla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e tuttavia in sezioni diverse, cosicché non si erano incontrati. Nel settembre del 1978, in occasione della visita dei vescovi polacchi in Germania, Ratzinger era in Ecuador come rappresentante personale di Giovanni Paolo I.

Naturalmente Ratzinger aveva sentito parlare dell’opera di filosofo e di pastore dell’arcivescovo di Cracovia, e da tempo desiderava conoscerlo. Wojtyla, dal canto suo, aveva letto l’Introduzione al cristianesimo di Ratzinger, che aveva anche citato agli esercizi spirituali da Wojtyla predicati per Paolo VI e la Curia nella Quaresima del 1976. Perciò è come se interiormente Wojtyla e Ratzinger desiderassero entrambi di incontrarsi. Ratzinger racconta di aver provato sin dall’inizio una grande venerazione e una cordiale simpatia per il metropolita di Cracovia. L’intesa si consolidò nel primo pre-conclave del 1978 e segnò la storia della Chiesa del ventesimo secolo.



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