“L’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo del lavoro in modi complessi e sfaccettati. Gli effetti principali includono la creazione di nuove figure professionali, la potenziale perdita di posti di lavoro, cambiamenti nelle competenze richieste e la necessità di affrontare nuove sfide etiche e legali. Per adattarsi efficacemente ad un ambiente lavorativo che incorpora sempre più strumenti basati sull’intelligenza artificiale, i lavoratori devono acquisire una combinazione di competenze tecniche, trasversali e digitali. Il Presidente dell’Ordine dei Consulenti del lavoro di Milano, Potito di Nunzio, anticipa a IPSOA Quotidiano i temi al centro del suo intervento al 14° Forum One LAVORO, dedicato a “Sicurezza e Innovazione, le sfide del 2025 per il lavoro”, che si svolge a Modena e in live streaming.
Si svolge a Modena il 14° Forum One LAVORO, dedicato a “Sicurezza e Innovazione, le sfide del 2025 per il lavoro”, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro. Il Presidente dell’Ordine dei Consulenti del lavoro di Milano, Potito di Nunzio, anticipa a IPSOA Quotidiano i temi al centro del suo intervento.
Quali sono le principali sfide etiche e legali che i datori di lavoro devono affrontare nell’implementazione dell’intelligenza artificiale nella gestione del personale?
A mio avviso occorre guardare con occhi positivi l’adozione dell’intelligenza artificiale (IA) nella gestione del personale in quanto rappresenta un’innovazione significativa per le aziende, offrendo vantaggi in termini di efficienza, riduzione dei bias umani e ottimizzazione dei processi decisionali.
Per non aver paura del cambiamento, bisogna comprenderlo. E soprattutto occorre intraprendere un cammino che metta e mantenga al centro l’uomo.
Non manco, tuttavia, di sottolineare che indubbiamente la – necessaria – implementazione dell’IA pone rilevanti sfide etiche e legali, che i datori di lavoro devono attentamente considerare per evitare discriminazioni, violazioni della privacy e responsabilità giuridiche. Credo che siano questi i tre piani che meritano maggiormente attenzione e sui quali tutti coloro che si occupano di gestione del personale, a tutti i livelli, sono chiamati a riflettere. L’approccio deve essere equilibrato e valorizzare le opportunità offerte dalla tecnologia senza compromettere la tutela dei diritti dei lavoratori, questo resta l’imperativo categorico.
Le principali questioni etiche si focalizzano sull’impatto che può avere l’introduzione dell’IA sui lavoratori e sui processi decisionali che devono essere “giusti” e “imparziali”. Un tema centrale è quello legato ai bias algoritmici e alle discriminazioni.
Con il termine “bias” ricordo che si fa riferimento a tendenze o inclinazioni che portano a giudizi o comportamenti sistematicamente distorti rispetto a una valutazione obiettiva. Ci si trova di fronte a pregiudizi, spesso inconsci, che possono influenzare il modo in cui interpretiamo informazioni o prendiamo decisioni. Fatta questa brevissima premessa, senza alcune pretesa di esaustività, non va sottaciuto che l’utilizzo dell’IA può perpetuare e financo amplificare pregiudizi esistenti se i dati di addestramento sono distorti o se gli algoritmi non sono adeguatamente progettati per garantire equità. Il caso che spesso si cita è legato ai software di selezione del personale che potrebbero discriminare inconsapevolmente candidati in base al genere, all’età o all’etnia; caso che ha riguardato nel 2018 la società Amazon nelle quale era stato adottato un sistema automatizzato di screening dei CV con l’obiettivo di rendere il processo di selezione più efficiente. Il software veniva addestrato su dati storici provenienti da curricula inviati in precedenza all’azienda, in un periodo in cui la maggior parte dei candidati era riferibile ad un pool prevalentemente maschile. L’utilizzo di dati storici prevalentemente maschili per addestrare l’algoritmo faceva si‘ che il software “imparasse” a riconoscere e favorire cv maschili; inoltre, si creava e perpetuava un bias di genere in quanto l’algoritmo penalizzava i curricula con indicatori legati a esperienze o attività femminili creando così forme di discriminazione sistematica nei confronti di cv femminili. Qualità e rappresentatività dei dati di addestramento, ove scarsi o “non buoni”, possono realmente creare effetti distorti e scadere nella generazione di comportamenti discriminatori e di un sistema “non etico”.
Le decisioni, come detto, devono essere “chiare” e comprensibili ai lavoratori creando, in caso contrario, diffidenza e criticità che possono portare a conflitti. Comprendere i criteri di selezione, valutazione o promozione è fondamentale per mantenere il legame con i dipendenti e il rapporto fiduciario per non sollevare questioni di responsabilità nel caso di decisioni errate o ingiuste.
Un altro punto di criticità potrebbe insinuarsi nei lavoratori laddove l’uso di algoritmi per monitorare la produttività crei (o potenzialmente possa creare) un ambiente lavorativo oppressivo e riduca l’autonomia dei lavoratori.
Per quanto riguarda, invece, le sfide legali osservo che “bersaglio” dell’IA possono essere le normative in materia di protezione dei dati, antidiscriminazione, responsabilità aziendale e diritto del lavoro. Per essere più precisi, l’uso dell’IA comporta l’accesso alla raccolta ed elaborazione di enormi quantità di dati personali, anche sensibili, dei lavoratori. Le aziende, anche in ragione delle prescrizioni contenute nel GDPR, devono garantire la liceità del trattamento, la minimizzazione dei dati e il diritto alla portabilità e cancellazione delle informazioni personali. Cosi’ come il datore di lavoro non può consentire che siano adottate decisioni basate su algoritmi che generano discriminazioni, dirette ed indirette, esponendosi, diversamente agendo, a doverne rispondere in caso di azioni legali, anche se non l’ha fatto consapevolmente.
Un altro problema si affaccia in tema di “responsabilità giuridica delle decisioni automatizzate”: diventa difficile individuare e imputare agli “umani” le responsabilità derivanti da errori nelle valutazioni che hanno, ad esempio, generato un licenziamento rivelatosi poi illegittimo. L’azienda non può sottrarsi a prestare garanzie in termini di obblighi di trasparenza e monitoraggio. Non solo: deve essere altresì garantito ai lavoratori di potersi opporre e contestare decisioni prese da sistemi di IA privi di supervisione umana.
Ho menzionato il GDPR ma naturalmente non va dimenticato che è in vigore dal 1° gennaio 2024 l’AI ACT europeo, regolamento che per la prima volta delinea un quadro normativo circa l’uso dell’IA con l’obiettivo di bilanciare innovazione e tutela dei diritti.
Quali competenze devono acquisire i lavoratori per adattarsi efficacemente a un ambiente lavorativo che incorpora sempre più strumenti basati sull’intelligenza artificiale?
E’ un dato incontrovertibile che l’intelligenza artificiale già oggi sta trasformando il mondo del lavoro in modi complessi e sfaccettati. Gli effetti principali includono la creazione di nuove figure professionali, la potenziale perdita di posti di lavoro, cambiamenti nelle competenze richieste e la necessità di affrontare nuove sfide etiche e legali, come ho avuto modo di esporre rispondendo alla domanda precedente.
Per adattarsi efficacemente ad un ambiente lavorativo che incorpora sempre più strumenti basati sull’intelligenza artificiale, i lavoratori devono acquisire una combinazione di competenze tecniche, trasversali e digitali. Nel Future of jobs report 2025 del World economic forum ciò che emerge con forza e in modo chiaro è che la formazione è la priorità per evitare obsolescenza e perdita di impieghi. Inoltre, sono individuati i principali fattori che modelleranno il mercato del lavoro globale entro il 2030: evoluzione tecnologica, frammentazione economica, incertezza del mercato, cambiamenti demografici e iniziative ecologiche. “Il Future of Jobs Report 2025 riunisce la prospettiva di oltre 1.000 importanti datori di lavoro globali, che rappresentano collettivamente oltre 14 milioni di lavoratori in 22 cluster industriali e 55 economie di tutto il mondo, per esaminare in che modo queste macrotendenze influiscono su posti di lavoro e competenze e sulle strategie di trasformazione della forza lavoro che i datori di lavoro intendono intraprendere in risposta, nel periodo dal 2025 al 2030 ”.
Sempre citando i dati del Wef, i datori di lavoro prevedono che il 39% delle competenze chiave richieste nel mercato del lavoro cambierà entro il 2030 (anche se in calo rispetto al 44% del 2023): cresce l’attenzione all’apprendimento continuo, ai programmi di aggiornamento e riqualificazione. Inoltre, si prevede che le competenze tecnologiche cresceranno in importanza più rapidamente di qualsiasi altra competenza nei prossimi cinque anni. AI e big data sono in cima alla lista, seguiti da reti, sicurezza informatica e alfabetizzazione tecnologica.
Anche il pensiero creativo, la resilienza, la flessibilità e l’agilità stanno diventando sempre più importanti, insieme alla curiosità e all’apprendimento continuo.
Completano le prime 10 competenze in ascesa la leadership e l’influenza sociale, la gestione dei talenti, il pensiero analitico e la tutela dell’ambiente.
Le aziende stanno investendo sempre di più in programmi di riqualificazione e aggiornamento per allineare la propria forza lavoro alle richieste in evoluzione, afferma ancora il rapporto.
Una riflessione vorrei aggiungere, in conclusione: uno degli effetti più evidenti dell’IA è sicuramente la nascita di nuove professioni. Tra queste, spiccano gli specialisti in IA e Machine Learning, gli analisti della sicurezza informatica, gli specialisti della trasformazione digitale e gli ingegneri robotici. Ma parallelamente alla creazione di nuovi posti di lavoro, l’IA solleva preoccupazioni riguardo alla perdita di posizioni esistenti, in particolare in settori caratterizzati da bassa specializzazione. L’automazione dei processi e la capacità delle macchine di svolgere compiti ripetitivi e a basso valore aggiunto potrebbero portare alla sostituzione di lavoratori umani. Due sono le tendenze che si fronteggiano; da un lato, un effetto di spiazzamento/sostituzione (displacement effect) che ci dice che l’IA può sostituire i lavoratori in determinate mansioni, portando alla perdita di posti di lavoro e l’effetto di produttività, in quanto l’IA può aumentare l’efficienza e la produttività delle imprese, consentendo loro di svolgere più lavoro con meno risorse.
Dall’altro lato si può osservare il c.d. effetto di ripristino (o reintegro) (reinstatement effect): ci si riferisce, con questo termine, alla capacità di nuove tecnologie o innovazioni di creare nuovi compiti o attività lavorative in cui la forza lavoro umana mantiene un vantaggio comparativo rispetto al capitale. Questo effetto contrasta il displacement effect sopra richiamato, dove l’automazione elimina posti di lavoro spostando i compiti verso il capitale
In che modo le aziende possono bilanciare l’automazione dei processi lavorativi con la necessità di preservare e valorizzare il capitale umano?
Ritengo che le aziende possono e devono bilanciare l’automazione dei processi lavorativi con la necessità di preservare e valorizzare il capitale umano attraverso una serie di strategie che tengano conto sia dei benefici dell’efficienza tecnologica sia dell’importanza delle competenze e del benessere dei lavoratori.
Un approccio fondamentale è quello di concentrarsi sull’upskilling e il reskilling dei dipendenti. Invece di considerare l’automazione come una minaccia diretta ai posti di lavoro, le aziende possono investire nella formazione dei propri dipendenti per prepararli a ruoli che richiedano competenze più avanzate e che siano complementari alle nuove tecnologie. Questo primo passo si accompagna, parallelamente, alla promozione di un modello di collaborazione uomo-macchina. Certo è che l’IA può essere utilizzata per automatizzare compiti ripetitivi e a basso valore aggiunto, liberando gli umani per attività che richiedono creatività, pensiero critico e intelligenza emotiva. Questo approccio consente di sfruttare al meglio le capacità di entrambe le parti, aumentando la produttività e migliorando la qualità del lavoro.
Sul tema della formazione ricordo le dichiarazioni del Ministro del Lavoro, Marina Calderone, che, in occasione della Giornata Europea della protezione dei dati personali (28 gennaio 2025) ha avuto modo di affermare che sono stati modificati “i contenuti e gli obiettivi del PNRR per il Programma GOL così da poter inserire nei percorsi di formazione molti più lavoratori, soprattutto quelli dei settori più in crisi. Ci sono grandi opportunità se riusciremo a sfruttare l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro” riferendosi al riposizionamento dei lavoratori legato all’introduzione di strumenti di IA e, più in generale, sull’impatto che l’IA produrrà sul mondo del lavoro.
Inoltre, non deve mai mancare, come già accennato, la supervisione umana costante che sviluppi, anche, una valutazione critica dei risultati prodotti dalle tecnologie basate sulla IA. E infine, ma non per questo meno importante, costante e alta deve essere l’attenzione dei datori di lavoro al benessere dei propri dipendenti per evitare che l’introduzione di nuove tecnologie generi stress, ansia, paure. Serve, a mio modo di vedere, preparare in modo adeguato i lavoratori al cambiamento offrendo loro, se necessario, anche un supporto non solo a livello formativo ma anche psicologico, accompagnandoli passo passo verso il futuro -un futuro che è già presente – utilizzando tecniche di comunicazione trasparenti e semplici.
Certo è che tutto questo troverà una sua pratica attuazione con modi e tempi differenti nelle grandi imprese rispetto alle piccole e medie imprese che, lo ricordo, rappresentano una parte significativa del tessuto economico italiano: fondamentale è la creazione di un ecosistema di supporto che le aiuti ad affrontare le sfide dell’automazione. Ciò può includere la collaborazione con associazioni di categoria, centri di competenza e università, nonché l’accesso a finanziamenti e incentivi per l’innovazione.
Le PMI spesso soffrono della “sindrome da testa sulla scrivania”, che rende difficile per gli imprenditori dedicare tempo e risorse alla pianificazione strategica e all’adozione di nuove tecnologie. È importante che le PMI siano consapevoli dei benefici dell’automazione e che siano disposte a investire nella formazione dei propri dipendenti e nell’adozione di soluzioni tecnologiche adeguate alle proprie esigenze.
Per concludere, esorterei ad una riflessione finale invitando le aziende a misurare l’impatto dell’automazione sui propri risultati al fine di valutare l’efficacia delle strategie adottate e di apportare eventuali correzioni di rotta.
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