Brindisi, Valerio Mastrandrea al Nuovo Teatro Verdi con ‘Migliore’: ambizione e morale

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(Ph Arianna Fraccon)

BRINDISI – Quanto costa diventare “Migliore”? Un giorno scopri che la gentilezza non paga, che il mondo rispetta solo chi alza la voce, che il successo è una questione di spregiudicatezza. Ti guardi allo specchio e vedi una nuova versione di te: più forte, più sicuro, più implacabile. Ma è davvero un miglioramento? Giovedì 27 febbraio alle 20.30, Valerio Mastandrea porta sul palco del Nuovo Teatro Verdi di Brindisi “Migliore”, il monologo scritto e diretto da Mattia Torre. Un’opera tagliente e paradossale, che smonta le illusioni sul potere, sulla scalata sociale e sul prezzo da pagare per vincere. I biglietti sono disponibili online su rebrand.ly/Migliore e al botteghino del teatro, aperto il giorno dello spettacolo dalle 11 alle 13 e dalle 19 alle 20.30. Info T. 0831562554 e botteghino@nuovoteatroverdi.com.

A vent’anni dal debutto, questo sarà l’ultimo incontro tra Mastandrea e il protagonista della pièce, Alfredo Beaumont, un uomo qualunque intrappolato in una quotidianità prevedibile e senza scossoni. Ma un evento imprevisto lo costringe a rivedere tutto: la gentilezza è inutile, l’insicurezza un peso, il dubbio una debolezza. Da individuo remissivo, diventa un uomo risoluto, disposto a tutto pur di emergere. E il mondo lo premia. Un monologo tagliente e ironico, capace di restituire, con intelligenza e sarcasmo, il lato oscuro del successo.

«Beaumont è un uomo semplice e indifeso – ha detto Valerio Mastandrea -, pieno di fiducia verso il prossimo, cui viene chiesto di essere migliore quando per migliore si intende allinearsi ai codici di comportamento che prevalgono nel mondo moderno. Prevaricazione, spietatezza e individualismo feroce. Mattia voleva raccontare la parabola ascendente di un uomo che, per la sua natura sincera, leale e pura, era abituato a perdere. E credo volesse sottolineare come oggi per occupare un posto da “dirigente” nel mondo, non solo da un punto di vista professionale, ti venga chiesto di rinunciare a quello che sei».

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Il testo di Torre costruisce una parabola che gioca sul paradosso: più Beaumont diventa freddo e implacabile, più il mondo intorno a lui gli riconosce valore. L’intuizione drammaturgica è chiara: il successo, nella società contemporanea, non premia necessariamente la competenza o la bontà d’animo, ma la capacità di affermarsi senza scrupoli. Il protagonista si adegua alle regole di un gioco in cui la spregiudicatezza è l’elemento decisivo: la costruzione del personaggio segue un percorso lineare e progressivo in cui ogni piccolo scarto emotivo diventa un passo in più verso la totale trasformazione.

La regia lavora per sottrazione affidandosi a una messa in scena essenziale. Non ci sono elementi scenografici invasivi: la luce e lo spazio vuoto diventano strumenti espressivi. Questo approccio consente di concentrare l’attenzione sulla parola e sulla fisicità di Mastandrea, che domina la scena con una recitazione misurata e intensa. La sua interpretazione restituisce il crescendo emotivo del protagonista con un equilibrio perfetto tra ironia e inquietudine: l’attore romano gioca con le pause, sfrutta il ritmo del testo, restituisce un personaggio che si muove tra vulnerabilità e determinazione con una fluidità che rende credibile ogni passaggio della metamorfosi.

Il monologo evita qualsiasi forma di moralismo. Torre non sferra giudizi, non suggerisce soluzioni ma lascia che sia il pubblico a trarre le proprie conclusioni, a interrogarsi sulla natura del cambiamento del protagonista e sul contesto che lo rende possibile. La forza dello spettacolo sta tutta qui, nella capacità di riflettere il mondo reale senza semplificazioni. Tuttavia, Beaumont non diventa un eroe negativo in senso assoluto: il suo percorso è il riflesso di un meccanismo più grande che premia chi è disposto a superare i limiti etici in nome dell’affermazione personale.

Il teatro si fa luogo di riflessione e di confronto, uno spazio in cui il pubblico è chiamato a prendere parte attiva al dibattito morale che il testo solleva e a riconoscere le dinamiche di potere e le gerarchie invisibili che regolano la società. Alla fine, ogni scelta del protagonista si riverbera nello spettatore generando un senso di identificazione e, al tempo stesso, di inquietudine per la facilità con cui i valori possono essere sovvertiti in nome dell’affermazione personale. E mentre il sipario cala resta in sala un interrogativo senza risposta: Alfredo ha realmente trovato la sua strada o ha semplicemente ceduto alla logica dominante? “Migliore” non lascia indifferenti e costringe a riflettere sulle dinamiche del potere, della moralità e dell’ambizione. Un monologo che, oltre a narrare una vicenda, si trasforma in un riflesso implacabile della realtà, con tutte le sue contraddizioni.





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