Traffico internazionale di droga, coinvolti anche i nipoti del boss ‘Ntoni Mancuso

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I due nipoti dell’anziano boss Antonio Mancuso, Francesco Orazio e Giuseppe Desiderato, sono coinvolti nell’inchiesta che ha consentito di sgominare una vasta organizzazione dedita al traffico internazionale di droga. Insieme a loro altri quattro vibonesi


VIBO VALENTIA – Ci sono anche i nipoti del boss Antonio Mancuso, cl.’38, alias Zì ‘Ntoni, uno dei capi storici del clan di Limbadi, nell’inchiesta che ha consentito di sgominare una organizzazione dedita al traffico internazionale di droga che aveva come territori di riferimento Milano, la Calabria e la Sicilia: i fratelli Francesco Orazio, 51 anni e Giuseppe Desiderato, 43 anni. I due sono inoltre cugini di Luigi Aquilano, genero di Mancuso (recentemente condannato in Appello nel processo Medoro, a Milano, alla pena di 6 anni e 8 mesi. Oltre ai due fratelli, gli altri vibonesi coinvolti sono Marco Roberto De Gaetano, 48 anni, di Vibo, residente a Milano; Pantaleone Pelaia, 62 anni, di Limbadi, domiciliato a Verano Brianza (MB);  Anastasia Ienuso, 42 anni, nata a Cinquefrondi residente a Nicotera (moglie di Giuseppe Desiderato); Saverio Lo Mastro, 62 anni, di San Gregorio D’Ippona, residente a Desio (MI).

IL NIPOTE DEL BOSS MANCUSO A CAPO DEL SODALIZIO CHE TRAFFICAVA DROGA

E se Giuseppe Desiderato viene inquadrato come semplice componente dell’associazione criminale, il fratello, invece – anche lui imputato in “Medoro”, già condannato in primo grado a 2 anni e 8 mesi ma assolto in Appello – rivestirebbe il ruolo di capo promotore, colui il quale “è in grado di movimentare grossi quantitativi di droga” come avrà modo di riferire il collaboratore di giustizia Claudio Agostino Romeo, già partecipe del sodalizio e finito sotto il giogo di Desiderato che vantava 40mila euro frutto di un prestito usurario non onorato.

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Procedura celere

 

Le indagini, seguite dagli investigatori della polizia di Stato – Squadra mobile di Lecco e di Como, hanno permesso di far luce sulle dinamiche interne e gli affari di due gruppi criminali attivi tra il Lecchese e Milano. Una tonnellata di droga al mese che arrivava in Lombardia per essere poi distribuita a livello locale per andare a rifornire le principali piazze di spaccio di tutta Italia. Una tonnellata di droga al mese che arrivava in Lombardia per essere poi distribuita a livello locale per andare a rifornire le principali piazze di spaccio di tutta Italia.

La droga, secondo quanto ricostruito, arrivava dalla Spagna per poi essere distribuita, in tutta la Lombardia e poi arrivava anche in Sicilia e in Calabria. Oltre al livello dello smercio all’ingrosso di droga, le indagini dei poliziotti della questura di Como hanno poi permesso di ricostruire anche l’esistenza di un altro sodalizio con protagonisti un gruppo di italiani, capeggiati dal genero del boss Mancuso, che acquistavano la droga dai “grossisti” del territorio milanese, per poi rifornire spacciatori e consumatori della provincia di Como e dell’alto Lario.

LA GENESI DELL’INDAGINE SUL NARCOTRAFFICO

L’attività investigativa trae origine da una nota della Direzione Centrale Servizi Antidroga di Roma, relativa ad una segnalazione dell’arresto del cittadino peruviano, Harold Alexis Toribio Robles, fermato all’aeroporto internazionale Jorge Chavez (Lima) in partenza per l’Italia con destinazione finale Milano, perché ritenuto corriere di una organizzazione criminale di origine sudamericana. Gli accertamenti avrebbero poi portato ad una serie di sequestri di cocaina e di arresti emessi dal GIP di Milano nei confronti di alcuni soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di traffico internazionale, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina.

Nella fase finale delle indagini, era emerso che il gruppo criminale sudamericano, vista la difficoltà ad importare direttamente da Lima lo stupefacente, considerata poi l’emergenza pandemica, si sarebbe rivolto a fornitori operanti a di Milano per il reperimento della droga anche di altra tipologia (marijuana) e qui sarebbero nati i contatti con Giuseppe Affinito detto “Fish” a sua volta acquirente di Massimiliano Crocco, persona che rivestirà un ruolo primario nell’associazione guidata dal nipote di Antonio Mancuso.

ROMEO SI PENTE E ACCUSA IL NIPOTE DEL BOSS ‘NTONI MANCUSO

A gennaio 2024 Claudio Agostino Romeo, già partecipe dell’associazione, si pente presentandosi spontaneamente presso gli uffici della Sezione Antidroga del Nucleo Investigativo Carabinieri di Milano per sporgere formale denuncia/querela nei confronti di Francesco Orazio Desiderato dichiarando di esserne vittima di usura/estorsione raccontando di non essere riuscito a saldare un prestito ricevuto da questi ricevuto, maggiorato da un tasso usuraio, e per questo costretto a cedergli la ditta edile Relocation Italia Srl intestata a suo figlio. Situazione che lo avrebbe esposto a minacce da parte del capo del sodalizio: “Sono stato minacciato da Desiderato con un coltello alla gola e pochi giorni fa mi ha fatto una videochiamata dicendomi che se non avessi pagato 40mila euro dei debiti della mia società e se mio figlio non gli avesse intestato la proprietà di un immobile, avrebbe ammazzalo me, mio figlio, mia moglie e mia madre”.

“DESIDERATO NON HA CAPI, AFFASCINATO DA LUI PER LA QUANTITà DI DROGA CHE MUOVEVA”

Proseguendo nel racconto, il collaboratore di giustizia aggiunge che Francesco Desiderato “non ha capi, lui è il capo di sé stesso” e afferma poi di essere rimasto addirittura “affascinato dalla figura di Desiderato perché riusciva a movimentare grossi carichi di cocaina anche dal carcere”, decine e decine di cocaina, aggiungendo che nel periodo del Covid il suo canale della marijuana era fermo e ne trovò un secondo per il quale avrebbe dovuto pagare in contanti chiedendo pertanto “un prestito Orazio. Lui sapeva per cosa servissero quei soldi – ovvero per l’acquisto di marijuana – e gli proposi di darmi 40mila euro per 5mila di guadagno entro 15 giorni”. Da lì iniziò la collaborazione tra i due nel traffico di stupefacenti, tanto che in un anno e mezzo, racconta ancora Romeo, gli “avrò dato 100 chili di marijuana e 200 di hashish”.

La fama di Francesco Orazio è nota in tutta Milano, afferma il collaboratore specificando che anche il suo amico trafficante di droga albanese Roberto lo conosce di fama, ma aggiungendo di non sapere a quale famiglia appartenga, quindi non sapendo dei suoi vincoli di parentela con i Mancuso di Limbadi : “Lui dice sempre di essere lui” e il “carico di cocaina so che lo garantisce lui, ha la forza economica per farlo. Molti soldi li manda giù con il camion  e so che sta pagando anche dei lavori immobiliari per la sua casa in Calabria”.

L’AGGRESSIONE DI DESIDERATO AL PENTITO PER IL CARICO PERSO

Romeo racconta poi dell’aggressione subita da Desiderato. Tutto nacque da un controllo che la polizia fece al collaboratore ad un posto di blocco nei pressi della dogana con la Francia. In quell’occasione Romeo avevo con sé due cartoni di cocaina da 12 chili cadauno, quando gli agenti gli chiesero di aprire il bagagliaio lui fuggì e alla prima uscita autostradale si imbatté nella polizia francese ma proseguì la fuga riuscendo a seminarla: “Nascosi la droga in un campo e tornai in Italia, raggiungendo Francesco Orazio Desiderato che non mi vedeva da 15 giorni. Appena entrato mi chiese dove fossero i soldi o dove fosse la sua droga, ma appena iniziai a parlare per chiedere un bicchiere d’acqua lui mi colpì con un bastone, con dei pugni e dei calci e poi mi minacciò con il coltello”.

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