«Pronti a spartirci le terre rare». L’intesa prima dei negoziati in Ucraina

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Le terre rare ucraine in cambio di risorse da destinare a un fondo per la ricostruzione del Paese, e di un impegno ancora da definire sulle garanzie di sicurezza per Kiev. Su questa base è in dirittura d’arrivo l’accordo fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, che potrebbe suggellare l’inizio dei negoziati per la fine della guerra in Ucraina. Al termine di giorni e giorni di formidabile pressione diplomatica, economica e militare della Casa Bianca su Zelensky, che inizialmente aveva rifiutato di mettere la firma, finalmente è pronto il testo che potrebbe essere siglato nella sua prima visita ufficiale a Washington. E non solo, parallelamente al negoziato con gli ucraini, Trump ha portato avanti quello con la Russia e con Putin per lo sfruttamento delle terre rare nei territori occupati e nella Federazione. La guerra come un’opportunità, la pace come un affare da concludere. Mai a fondo perduto. «Incontrerò il presidente Zelensky», annuncia The Donald rispondendo alle domande dei giornalisti dopo il colloquio con Emmanuel Macron, il presidente francese. «Nei fatti, può venire questa settimana o la prossima per firmare l’accordo e sarebbe bello. Mi piacerebbe incontrarlo. Ci incontreremo nello Studio Ovale». Toni completamente diversi da quelli usati contro il «dittatore» Zelensky che raccoglierebbe ormai soltanto il 4 per cento di consensi nel suo Paese (mentre i sondaggi lo danno al 57). E la spiegazione è semplice. «Gli accordi su cui stiamo lavorando – aggiunge Trump riferendosi proprio alle terre rare, 17 elementi e altri erroneamente inseriti nel gruppo – sono molto vicini a un accordo finale. E, per quanto ho capito, lui vorrebbe venire qui per firmarlo, per me sarebbe fantastico». Si tratta di elementi come il titanio e il litio, indispensabili all’industria hi-tech e delle batterie ma soprattutto a quella della Difesa. In mattinata, da Kiev era arrivata la conferma che l’intesa era quasi al traguardo, anche se gli Stati Uniti «sono molto restii a includere garanzie di sicurezza», riportava la Cnn citando fonti anonime. In sintesi. «La bozza si concentra su un fondo di ricostruzione per l’Ucraina, lasciando alcune questioni problematiche, tra cui le garanzie di sicurezza, a discussioni successive».

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LA BOZZA

Nel fondo entrerebbe una parte dei proventi delle terre rare, che per il 50 per cento sarebbero riservati agli Stati Uniti. E il segretario di Stato Usa al Tesoro, Scott Bessent, conferma: «Siamo a un passo dall’accordo». Trump entra in qualche dettaglio della discussione nel G7, dicendo che questo compromesso può essere il primo passo di un «partenariato economico che permetterà al popolo americano di recuperare le decine di miliardi di dollari e l’equipaggiamento militare mandato in Ucraina, e al tempo stesso aiuterà l’economia ucraina a svilupparsi man mano che questa guerra brutale e selvaggia finirà». Nei giorni scorsi, il Wall Street Journal aveva scritto che la firma era quasi pronta, e il New York Times precisato che nel documento si parlava di un fondo al 100 per cento americano in cui far confluire i proventi delle terre rare. L’Ucraina avrebbe contribuito con un valore fino a 500 miliardi di dollari, ben oltre i 114 miliardi di aiuti americani forniti finora a Kiev. Si definiva nella bozza anche la questione delle rendite minerarie nei territori ucraini occupati dalla Russia, se mai dovessero essere liberati. Il 66 per cento delle entrate sarebbe finito nel fondo. Si era parlato di condizioni capestro per Kiev. Zelensky aveva sfidato Trump, non volendo dare l’avallo a quello che veniva definito dai suoi collaboratori, sottotraccia, un prendere o lasciare degno dei colonialisti dei secoli andati.

Adesso emerge che Trump sta giocando sulle “terre rare” anche sul tavolo di Mosca. «Siamo pronti ad attrarre partner stranieri nei nostri nuovi territori storici che sono stati restituiti alla Russia – dice infatti Vladimir Putin – ci sono alcune riserve qui e siamo pronti a lavorare anche con gli americani nelle nuove regioni». Si tratta sempre di terre rare, ma in tutta l’Ucraina, quella libera come in quella occupata. E nella Federazione russa. «Abbiamo terre rare – afferma Putin – nel nord, a Murmansk, e nel Caucaso, in Cabardino-Balcaria, e nell’Estremo Oriente, nella regione di Irkutsk, e in Yakutia, e a Tuva. Questi sono progetti e investimenti ad alta intensità di capitale». Porte aperte alle aziende americane. La resistenza, ancora una volta, sarebbe stata solo di Zelensky, per quanto il presidente ucraino stia ora per firmare. E Putin lo rimarca. «L’ostacolo alla pace è Volodymyr Zelensky, figura tossica» il cui consenso è «la metà di quello del del suo potenziale rivale politico Zaluzhny», l’ex capo di stato maggiore della Difesa, destituito dal leader ucraino e possibile candidato alla sua successione. Infine, per rassicurare la Cina sul “patto d’acciaio” nonostante il dialogo avviato con Washington, Putin chiama Xi Jinping per allinearsi e rinsaldare l’amicizia: rapporti «di natura strategica, non soggetti a influenze esterne». Quindi nemmeno a quelle degli Usa.

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