Entrando in un tribunale è inevitabile imbattersi nella famosa affermazione: «La legge è eguale per tutti». E altrettanto inevitabile che, dopo averla letta, ciascuno pensi quanto essa sia nello stesso tempo giusta e falsa. Giusta nel principio, falsa nella realtà. Dove e quando la legge è eguale per tutti? Di solito è favorevole ai ricchi, ai potenti, ai padroni, mentre è sfavorevole ai poveri, ai deboli, ai servitori. Ma se le cose stanno così, ciò vuol dire che la legge è giusta in astratto, ingiusta in concreto. Ingiusta in concreto ma vera.
COSA DEVE FARE LA FILOSOFIA di fronte a questa situazione? Non ciò che sta facendo il pensiero liberale, democratico e di sinistra contemporaneo, per il quale l’astratta affermazione di principio secondo cui la legge è eguale per tutti è sufficiente per la sua ipocrita coscienza morale connivente con i ricchi, i potenti, i padroni. La filosofia deve stare dalla parte della verità combattendo l’astratto e rivolgendosi al concreto. Cosa vuol dire? Elio Franzini nel suo Logica della verità. La metafisica e le cose (Raffaello Cortina Editore, pp. 248, euro 20) cerca di affrontare questo argomento partendo da Hegel, il quale «ha mostrato che la filosofia ha un potere figurale e che il concetto non è un’idea generale e astratta, bensì un dato concreto, radicato nel mondo della vita».
DA HEGEL IL COMPLESSO cammino genealogico percorso dal libro porta a Husserl e al pensiero contemporaneo, in particolare a quello di Foucault, Deleuze, Lyotard, Dufrenne. Husserl è l’eroe di Franzini. In un certo senso quel che aveva colto Hegel nella Fenomenologia dello Spirito viene realizzato dalla fenomenologia di Husserl, l’ultimo a tenere duro sul terreno dei grandi temi filosofici della ragione e della verità senza cedere alla loro astrattezza.
La filosofia si è mossa per scoprire la dimensione astratta delle Idee, del Bene, del Bello, della Giustizia e poi, soprattutto dopo Nietzsche, direbbe Foucault, si è persa nei mille rivoli dei particolari là dove verità e ragione si sgretolano e si confondono. La finzione ha perso quella fondamentale funzione di verità che troviamo nell’arte, fino a far diventare polvere ogni cosa in nome della libertà e della democrazia, mentre ogni relazione si trasforma da potere in dominio. In fondo è quello che sta accadendo con Trump e con Musk. Franzini osserva: «Non potremmo mai interpretare il senso della Giustizia oggi, i pericoli demoniaci che raccoglie, senza Sorvegliare e punire di Foucault, senza la sua definizione di un potere disciplinare e dei suoi meccanismi punitivi, ora polizia e ora propaganda, comunicazione distorta, autentica violenza che il pensiero non può ignorare».
Franzini cerca una genealogia del Moderno diversa da quella che, per esempio, Heidegger chiamava la metafisica occidentale, che da Cartesio (e prima ancora da Platone) arriva fino a Nietzsche, passando per Kant: la metafisica del Soggetto che fonda la conoscenza attraverso la rappresentazione di ciò che gli sta di fronte, come in un quadro prospettico: l’oggetto. La riduzione degli uomini a cose, l’idea di natura come serbatoio inesauribile, il dominio della tecnica, il ruolo del corpo come semplice servomeccanismo della mente, la dimensione astratta della relazione tra servo e padrone, il trionfo dei dispositivi.
Oltre a Husserl, l’altro eroe di Franzini è Diderot. L’altro Illuminismo. Non quello dell’astratto, e nemmeno quello coloniale e razzista, ma un Illuminismo materialista, legato alla corporeità, alla vita, a quella labirintica, sistematica asistematicità che è l’Enciclopédie ispirata a Francesco Bacone. È l’idea di dialogo che emerge in Diderot, un dialogo che rifiuta il dominio del soggetto sull’oggetto, dell’uomo sulla natura, del padrone sul servo e che si estende a tutti i campi del sapere, dall’arte alla scienza. Jacques le fataliste, il capolavoro di Diderot, è, come sappiamo, il punto di riferimento fondamentale della dialettica servo-signore di Hegel.
NELLE RELAZIONI DI POTERE, il riconoscimento della dipendenza è ciò che segna la linea di demarcazione tra la complicità del servo e la sua volontà di autonomia. E la volontà di autonomia e di eguaglianza ha bisogno di quei maestri del sospetto di cui aveva parlato Ricoeur (e Foucault): Marx, Nietzsche, Freud. Scrive Franzini, «anche se è prassi comune, sarebbe tuttavia improprio criticare questi autori per i loro modi di pensiero, per ciò che in esso non si trova, dimenticando la loro funzione essenziale, il sospetto cioè che la storia possa essere raccontata in altro modo, strappando veli o guardando verso di essa». Il fatto è che questo sospetto sembra svanito e semmai la storia viene oggi negata o narrata in un mondo che, nonostante tutto, non sembra avere più sospetti.
IL LIBRO DI ELIO FRANZINI non fa sconti alle facili semplificazioni e ha il grande pregio di prendere in carico tutta la complessità e la profondità di una crisi del pensiero moderno che oggi oscilla tra l’unicità di un mondo senza storia e la molteplicità di eventi che si disperdono in mille rivoli e muoiono il giorno dopo essere nati. La ricerca di un’altra genealogia ha il merito di tenere insieme il senso della critica della modernità senza rigettarla ma anzi proponendo la possibilità di uno sguardo in avanti. E poi la riproposta di Diderot merita da sola un plauso convinto!
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