A Taranto «A colpi d’ascia» di Bernhard, ritratto al vetriolo di una cena tra intellettuali

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 È un omaggio allo scrittore, drammaturgo, poeta e giornalista austriaco Thomas Bernhard, tra i massimi autori della letteratura del Novecento, lo spettacolo «A colpi d’ascia» che va in scena sabato 1° marzo, all’auditorium TaTÀ di Taranto, per la stagione «Periferie» del Crest sostenuta dalla Regione Puglia. Protagonista Marco Sgrosso, allievo di Leo De Berardinis e fondatore con Elena Bucci della celebrata compagnia Le Belle Bandiere cui si deve la produzione dell’allestimento.

Dell’omonimo romanzo di Bernhard, Sgrosso ha curato la riduzione e la regia, oltre a farsene straordinario interprete con l’accompagnamento musicale del polistrumentista Cristiano Arcelli e della voce registrata di Elena Bucci. «Incantato dallo stile fulmineo e ridondante di Bernhard, dall’intreccio di reiterazioni, assonanze e dissonanze che rendono i suoi testi simili a partiture musicali – racconta Sgrosso – sono rimasto affascinato dalla figura del narratore, un uomo tormentato, aggressivo ma vulnerabile, simile ad un animale braccato. Mi ha profondamente coinvolto l’analisi della figura dell’artista in conflitto, con se stesso prima ancora che con gli altri, e tanto più incatenato al suo universo quanto più fortemente vorrebbe fuggirlo».

Nel suo percorso in solo, Sgrosso si collega ad altri due ritratti affrontati in passato e accomunati all’autore austriaco dall’urgenza di raccontarsi con impietosa sincerità attraverso un flusso inarrestabile di parole, che battono sulla carta e sulla lingua come una pioggia di pietre. Dopo la straziata madre/figlio di «Ella» di Herbert Achternbusch e il tormentato «io» delle «Memorie del sottosuolo» di Fedor Dostoevskij, l’approdo al drammaturgo/alter ego di «A colpi d’ascia» segna, infatti, la chiusura ideale di una trilogia dedicata al tema della confessione e dell’identità frantumata, che in Bernhard si realizza con ironia caustica e spietata. Lo scrittore austriaco scandaglia miserie, perfidie e ipocrisie dell’ambiente artistico della sua amata e odiata Vienna, ma il livido quadro finale che emerge da questo vorticoso pamphlet non ha confini geografici.

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Senza sconti per nessuno, letteralmente a colpi d’ascia, la penna implacabile di Bernhard traccia ritratti al vetriolo di artisti e intellettuali riuniti nell’atroce mondanità di una cena artistica come ad un festino di maschere grottesche, in cui falsità, invidie, cinismo e arroganza affiorano senza pudore e il tragico suicidio di una sfortunata amica comune diventa palcoscenico di orrende bassezze e ridicole vanità.

«Le proporzioni del romanzo – spiega ancora Sgrosso – mi hanno costretto ad una riduzione drammaturgica, ma ho cercato di conservare il senso più intimo dell’opera e di preservare lo smalto acido delle ‘cartoline’ più incisive, dalla volgare arroganza dei coniugi Auersberger alla memoria straziante di Joana, dall’esilarante tracotanza dell’attore del Burgtheater al livore inesausto della scrittrice Jeannie Billroth».

Tre luoghi della memoria disegnano spazialmente la condizione di solitaria impotenza del narratore, prigioniero della sua claustrofobica ossessione. Da un lato la bergère rossa, in posizione strategica, obliqua come i pensieri del protagonista, tana in cui sprofonda e fossa da cui risorge per dare sfogo alla sua tormentata invettiva. Dall’altro, una svettante colonnina liberty richiama come uno schizzo la tavola elegantemente apparecchiata, gelido frammento simbolico della grande cena popolata di presenze spettrali che fanno da corona muta all’ego iperbolico dell’attore del Burg. Tra queste due schegge solitarie, disegnate e attraversate da tagli di luce, un lampadario di cristallo che, sospeso nel vuoto, sovrasta lo spazio della coscienza del protagonista, in cui affiorano il ricordo doloroso di Joana e la gioia ebbra delle registrazioni giovanili di un tempo lontano, ricco di speranze irrimediabilmente perdute.

Alla passione disperata che trapela a dispetto dell’asprezza amara delle parole, s’intrecciano le melodie di Mahler, Purcell, Beethoven, le voci struggenti di Marlene e Dalida e i fiati morbidi o stridenti dei preziosi strumenti del musico, testimone misterioso e distaccato di una confessione priva di catarsi.

Dopo lo spettacolo Marco Sgrosso incontrerà il pubblico nel consueto spazio-intervista condotto nel foyer dalla giornalista Marina Luzzi.



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