Sfashion weekend, per una moda responsabile verso l’ambiente e il lavoro

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11 kg di rifiuti tessili all’anno, questo è quanto produce annualmente un cittadino europeo. La produzione di abbigliamento nel mondo è raddoppiata dal 2000 al 2014 e si stima aumenterà ancora del 60% entro il 2030. Si calcola che ogni vestito viene da noi utilizzato solo 80 giorni (Fonte: One-Earth Fashion) e questo sarebbe già di per sé sufficiente per creare un grosso problema ambientale per il pianeta, visto che l’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni di CO₂, ma la vita di una nuova t-shirt non inizia quando la acquistiamo per una cifra irrisoria presso un negozio di e non finisce quando la buttiamo nella spazzatura. Si calcola che ogni pezzo di vestito passa mediamente per circa 172 mani prima di giungere sugli scafali dei nostri negozi. Dietro la produzione di quella t-shirt si nasconde il lavoro sottopagato e insicuro di donne in aree povere del mondo (perché la produzione tessile è per la maggior parte una produzione al femminile) da parte di donne e spesso anche di ragazzine cedute dalle famiglie per un lustro alle aziende tessili al fine di guadagnare una dote e sposarsi.

La vita di quella maglietta non è ahimè un racconto lineare ma un racconto circolare che lega noi a loro. È indispensabile un cambio di prospettiva ed una presa di consapevolezza. L’acquisto ottuso di una t-shirt da 29 euro in una catena del fast fashion racchiude in sé anche l’ignavia dinanzi allo sfruttamento dell’operaia che per quella stessa maglietta ha guadagnato 0,18€ (diciotto centesimi di euro) molto al di sotto di un salario dignitoso e siccome mi piace, quando si parla di diritti delle donne violati ovunque nel mondo, mettere i puntini sulle i, siamo anche ignavi o meglio dire complici per quell’ 80% di lavoratrici del settore tessile dei paesi poveri che si stima subiscano molestie sessuali o violenze fisiche da parte dei propri supervisori.

L’organizzazione del capitalismo mondiale che permette lo sfruttamento di lavoratori del settore tessile nei paesi poveri del sud del mondo acquista dimensioni faraoniche, ma non siamo e non dobbiamo sentirci impotenti ed irrilevanti, le singole scelte di ciascuno di noi non sono affatto inutili, ma possono essere rivoluzionarie e tante piccole rivoluzioni messe insieme possono costituire l’iceberg contro il quale questo modo di vedere il mondo che mette al centro il profitto dell’impresa si va a scontrare riuscendo a determinare un cambio di rotta fino ad obbligare le aziende ad assumersi la responsabilità del proprio ciclo produttivo senza nascondersi nel meccanismo delle scatole cinesi delle imprese appaltanti e subappaltanti.

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Saldo e stralcio

 

Pochi giorni prima che inizi a il dorato mondo della Fashion week si è tenuta il primo festival sulla transizione giusta nella lo Sfashion weekend, una tre giorni organizzata da FAIR e dalla Campagna Abiti Puliti per ribaltare la narrazione mainstream della moda e far luce sull’impatto del settore tessile sulle persone, sul pianeta e sulle nostre comunità.
La tre giorni si è svolta presso il Mosso di Milano ha visto un ricco programma fatto di incontri, teatro, esperienze artistiche partecipate dal pubblico ed una mostra prodotta dalla ong olandese Schone Kleren Campagne (membro della rete Clean Clothes Campaign) per denunciare la relazione di potere tra aziende sfruttatrici e lavoratori delle aziende tessili dei Paesi poveri.
Lo Sfashion weekend ha generato proposte concrete e conta di generarne altre attraverso il confronto. Anche la possibilità di partecipare all’evento Swap Party per lo scambio vestiti – quanti inutilizzati o indossati poche volte  nei nostri armadi –  organizzato da Gabriella Sisinni e Chiara Pieri, fondatrici nel 2023 di Declout, una startup con l obiettivo di promuovere il riutilizzo responsabile del guardaroba.

Sfashion weekend @ Zoe Vincenti

Le idee sono tante ed implementabili da chiunque: in primis l”invito ad acquistare i propri abiti presso negozi di abbigliamento vintage, il riciclo e riutilizzo degli stessi, la pretesa da parte dei consumatori di chiedere ai marchi di pagare alle lavoratrici salari dignitosi utilizzando #LivingWageNow, il sostegno e partecipazione all’attivismo fino  all’organizzazione di uno swap party.
Il settore tessile si è trasformato negli ultimi decenni a ritmi molto veloci è indispensabile di fronte allo sfruttamento dei lavoratori del sud del mondo promuovere un cambiamento dal basso che ponga proprio al centro le lavoratrici diverso dalle logiche delle aziende del settore che hanno portato a questa situazione e che ne sono responsabili e che stanno per motivi di marketing intraprendendo la “transizione verde”, la transizione verde concessa dall’alto non può essere la soluzione per risolvere i problemi che quelle stesse aziende dall’alto hanno creato.
Una transizione giusta deve porre al centro i diritti umani dei lavoratori.
Ospite della tre giorni Sfashion weekend con questa storia è stato il PM Paolo Storari della procura di Milano che si è occupato di diversi inchieste su casi di caporalato legati a marchi del lusso come Armani e Dior, grazie al lavoro della procura di Milano sono state portate avanti importanti azioni legali recuperati 600 milioni di euro e internalizzati 25.000 lavoratori, un encomiabile lavoro, ma si tratta di eccezioni, la norma è che nulla si muova perché le grandi imprese influenzano il ruolo dei sindacati e delle istituzioni paralizzandole.
Importante, come sostiene Salvatore Marra, responsabile del dipartimento internazionale della CGIL la protezione dei diritti sindacali, i sindacati che al giorno d’oggi incontrano difficoltà nel difendere i diritti dei lavoratori in quanto si è focalizzati sulla valorizzazione assoluta del prodotto e non del lavoro. Secondo la CGIL è importante rinforzare la contrattazione collettiva e introdurre un salario minimo legale ed è urgente oggi difendere le due direttive europee recentemente approvate che tutelano i diritti dei lavoratori. in particolare quella sulla “Due diligence” in materia di sostenibilità aziendale che in questi giorni a Bruxelles con il tentativo di approvazione del pacchetto Omnibus all’insegna della supposta competitività e semplificazione viene attaccata.
La “Due diligence” è una norma importante in quanto per la prima volta fornisce un quadro normativo sulla responsabilità delle aziende lungo la filiera produttiva afferma Priscilla Robledo, responsabile delle attività di lobbying e advocacy di Campagna Abiti Puliti.
Proprio in coincidenza della Fashion weekend la Campagna Abiti Puliti insieme a 40 organizzazioni italiane tra cui anche CGIL, UIL, Caritas, ha inviato una lettera aperta al commissari e al governo italiano esprimendo una forte preoccupazione sulle sorti della direttiva per la “Due diligence” in materia di sostenibilità aziendale attraverso questa lettera le organizzazioni firmatarie chiedono che il dossier sulla direttiva non venga toccato in modo che i Paesi possano procedere con loro iter di recepimento. Simbolo dello sfruttamento del lavoro nel settore tessile rimane il crollo del Rana Plaza, un edificio di 8 piani di fabbriche di abbigliamento che producevano per i più grandi marchi da Benetton a Primark e che uccise 1.135 persone ferendone quasi 2500 crollato il 24 aprile del 2013. Giovanni Paolo II dopo la tragedia disse: «non pagare il giusto, non dare lavoro, perché si guarda solo ai bilanci dell’impresa; soltanto si guarda a quanto io posso approfittarne, quello va contro Dio. Pagare 38 euro al mese quello è lavoro schiavo».

Adelaide Cacace

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