L’Ucraina 3 anni dopo | “Con Kiev fino alla vittoria”: le promesse di “pace giusta” dell’Ue finite in macerie. E a guadagnarci saranno solo gli Usa

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Il 2025 è per tutti i protagonisti del conflitto in Ucraina “l’anno della pace“. Lo ha definito così Volodymyr Zelensky, ha fatto lo stesso Vladimir Putin, anche diversi leader europei, tra cui il ministro degli Esteri Antonio Tajani, hanno dichiarato di esserne convinti. Uno stravolgimento della narrativa se si pensa che fino a novembre 2024 la promessa era quella di una guerra senza sconti. Il motivo è semplice: con l’arrivo di Donald Trump, alla Casa Bianca è cambiato tutto. La priorità di Washington, adesso, è chiudere il conflitto, non importa a quali condizioni, smettere di spendere denaro per il sostegno a Kiev e, possibilmente, guadagnarci anche qualcosa. Il ciclone Trump era tutt’altro che inaspettato, era visibile da almeno un anno, ma nonostante ciò i partner dell’Ucraina, Europa in testa, lo hanno ignorato, hanno sperato che alla fine non colpisse proprio loro, e hanno così continuato a promettere sostegno incondizionato a Kiev, a ribadire che sarebbero andati fino in fondo, “fino alla vittoria“, pur sapendo che col nuovo presidente molto sarebbe cambiato. Dopo le bombe, le città distrutte, i crimini di guerra, gli attentati e i morti viene quindi da chiedersi: è veramente questa la “pace giusta” promessa negli ultimi tre anni?

C’è una domanda che con ogni probabilità rimarrà senza risposta: perché Zelensky e l’Unione europea non si sono attrezzati per l’arrivo del nuovo presidente americano? Non importava attendere le elezioni del 5 novembre 2024 per sapere, o almeno prendere in considerazione, che il tycoon sarebbe tornato a guidare gli Stati Uniti. E che di conseguenza avrebbe cercato di fare ciò che ha promesso in campagna elettorale: “Mettere fine alla guerra in un solo giorno”. Una volontà così impellente, c’era da aspettarselo, non lascia spazio a lunghe contrattazioni, ai tempi lenti della diplomazia, a rivendicazioni, accuse e nuove intese. Avanza spedita, abbattendo gli ostacoli invece di affrontarli, noncurante delle rivendicazioni delle parti in causa alle quali un Paese come gli Stati Uniti antepone solo la propria forza.

Ha ragione l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Kaja Kallas, quando dice che “qualsiasi soluzione rapida sull’Ucraina è un affare sporco. Lo è perché la fretta di raggiungere un obiettivo a ogni costo mette da parte le considerazioni sulle ingiustizie subite dalla parte offesa. Resta il quesito irrisolto sul perché Zelensky e soprattutto Bruxelles non abbiano lavorato in questi anni a una soluzione diplomatica più articolata, a trattative allargate e condivise. Mentre il presidente ucraino prometteva, non si sa su quali basi, di riconquistare Donbass e Crimea, esponenti della politica europea e leader nazionali pronunciavano dichiarazioni di guerra: “Le sanzioni porteranno l’economia russa al collasso” (Enrico Letta, 5 marzo 2022), “Con Kiev fino alla vittoria” (Joe Biden, 22 aprile 2022), “Il governo italiano è al fianco dell’Ucraina fino alla vittoria” (Giorgia Meloni, 22 febbraio 2023), “Il presidente russo Vladimir Putin parla solo il linguaggio della forza” (Kaja Kallas, 22 gennaio 2025), “L’Unione europea deve aumentare le spese per la Difesa per prepararsi al peggio” (Kaja Kallas, 22 gennaio 2025).

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Se l’autocrate Putin conosce solo il confronto armato, anche Europa e Stati Uniti non hanno dimostrato particolare dimestichezza col vocabolario della diplomazia. Un piccolo spiraglio, seppur in una fase ancora iniziale del conflitto, era arrivato dai colloqui di Istanbul, quando Kiev, dopo appena due mesi di guerra, aveva ricevuto proposte di tregua da Mosca. Trattativa saltata, hanno poi riportato diverse testate americane, anche grazie alla promessa di sostegno militare ed economico incondizionato avanzata dall’ex premier britannico Boris Johnson. Aspirazioni legittime, quelle ucraine di allora. Lo stesso non si può dire per i leader europei. A tre anni di distanza da quei colloqui, la Russia controlla più o meno gli stessi territori, ma adesso ha l’iniziativa del conflitto in mano e quotidianamente guadagna piccoli spicchi di terreno, specialmente nel Donetsk. Ma soprattutto, in questi tre anni stime pubblicate da quotidiani come il Wall Street Journal parlano di circa 1 milione di vittime tra morti e feriti.

La conclusione a cui ora tutti i leader sono arrivati è che la pace si farà. Ma a quali condizioni? Donald Trump sembra essere quello con le idee più chiare. L’obiettivo è quello di trasformare l’Ucraina in una colonia degli Stati Uniti, strappando a Zelensky un accordo sull’estrazione di materie prime, sul controllo di infrastrutture strategiche e di influenza anche sulle politiche commerciali del Paese. Valore: 500 miliardi di dollari circa. Ma i vantaggi arriverebbero anche dalla sponda est del nuovo confine: secondo quanto riferito da funzionari al New York Times, le interlocuzioni Usa-Russia, ultima quella di Riyad, hanno portato i due leader a riflettere sui vantaggi economici di una pace: il ritiro delle aziende americane dalla Russia è costato 324 miliardi di dollari, hanno fatto notare da Mosca, soldi che Trump potrebbe recuperare grazie a un accordo di pace e il progressivo alleggerimento delle sanzioni. Possibilità che, dicono, lo attrae non poco.

Ben diverse, invece, le conseguenze sul presidente Zelensky. La sua popolarità cala incessantemente, un accordo di pace svantaggioso, magari proprio a causa delle spinte dell’amministrazione Trump, le darebbe il colpo di grazia. Mentre sullo sfondo, secondo quanto riferiscono diversi funzionari ai media internazionali, ci sarebbe anche il piano americano di sostituirlo, magari con l’ex alleato, poi rivale politico, il generale Valery Zaluzhny, o addirittura di mandarlo in esilio in Francia. Nell’arco di un mese, per Washington il presidente ucraino si è trasformato da alleato a ostacolo.

Le conseguenze si sentiranno anche nella stessa Europa che ha giurato fedeltà a Kiev proprio sull’onda della spinta americana e che ora si ritrova, come Zelensky, abbandonata sola con le sue promesse ai cittadini. Gli Stati Uniti hanno abbandonato la nave Ucraina portandosi via tutte le scialuppe e a bordo si inizia a imbarcare acqua. Trump è stato chiaro: toccherà all’Europa occuparsi della sicurezza dell’Ucraina, né agli Usa né alla Nato. Un impegno che potrebbe richiedere, secondo il think tank Bruegel, 300mila soldati in più e un aumento annuale della spesa per la Difesa di almeno 250 miliardi di euro nel breve termine. Ai quali vanno aggiunti gli oltre 130 miliardi già spesi dall’Ue. Questa non è né la vittoria né la pace promessa da Bruxelles negli ultimi tre anni.

X: @GianniRosini



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