Caroline Darian è a Milano per presentare il suo libro E ho smesso di chiamarti papà (Utet). È un diario e racconta un anno della sua vita a partire dalla deflagrazione, dalla scoperta degli abusi subìti dalla madre, Gisèle Pelicot, da parte del marito. Il suo diario, tutto, inizia il 2 novembre 2020. Di quel momento ricorda l’ora che segnava il forno, quando ha ricevuto la telefonata della madre che le dice di sedersi. Soltanto poche ore prima in commissariato aveva scoperto di essere stata narcotizzata e filmata dal marito mentre veniva abusata da almeno 50 sconosciuti. Questi video venivano caricati sul web e servivano per organizzare nuovi appuntamenti. Tutto questo è durato almeno dieci anni.
Era una vita banale, quella di Gisèle, così come quella dei figli e quindi di Caroline. Una famiglia normale. Una terza età che doveva scorrere placida come certe giornate nel sud della Francia, dove Gisèle si era ritirata a vivere con l’ex marito Dominique. Fino a quel 2 novembre 2020. In questi anni Caroline dice di non averla mai vista crollare, che ha continuato a esserle di sostegno anche se si era immaginata che sarebbe accaduto il contrario. Caroline Darian da quel giorno ha iniziato la sua lotta per ottenere giustizia non soltanto per la madre, ma anche per sé stessa (non è escluso che anche lei abbia subìto gli stessi abusi) e per le tante vittime di sottomissione chimica, per cui ha fondato un’associazione: #Mendorspas.
Darian, un cognome fittizio ottenuto dalla crasi delle prime sillabe dei nomi dei suoi altri due fratelli, nel suo memoir racconta la difficoltà a credere non soltanto a un qualcosa di oggettivamente enorme e inaccettabile, ma anche il dolore nel ricordare l’affetto e il legame che da sempre l’aveva legata al padre, nel non avere capito che il padre dominava sua madre fino ad annularla completamente. Dominique Pelicot lo scorso 19 dicembre è stato condannato a vent’anni di carcere per stupro aggravati. Oggi Caroline è convinta che ci sia ancora molto da scoprire e che ci vorrà ancora tanto tempo. Dopo l’intervista mi faccio firmare la copia. Una volta uscita leggo la dedica; la “D” di Darian è sovrascritta su uno scarabocchio che cancella un’impulsiva “P”. Sì, ci vorrà ancora tempo.
ⓢ Nel tuo libro, nelle prime pagine scrivi: «Nessuno riconosce il valore della banalità almeno finché non l’ha perduta». Cosa significa per una “persona normale” scoprire tutto questo?
Tutto crolla improvvisamente. So solo che ho sentito un dolore immenso, dovuto all’essere stata tradita da mio padre. È stata dura ed è stato un lungo percorso che immagino durerà ancora a lungo. Continuo a dare un senso a tutto questo, perché non facendolo sarebbe impossibile pensare di poter sopravvivere.
ⓢ Tua madre ha deciso di rendere pubbliche le udienze del processo. Cos’hai pensato quando te l’ha detto?
Sembra assurdo ma in realtà lo ha deciso praticamente subito. A me ci è voluto un po’ per realizzare che fosse una buona idea, ma aveva senso: dovevamo assolutamente mostrare cosa è successo alla mia famiglia e cosa ha dovuto passare mia madre in quanto vittima di questa violenza.
ⓢ Hai avuto paura che questa scelta avrebbe potuto rendere la tua famiglia oggetto di un’attenzione morbosa?
Se devo essere sincera non ci ho mai pensato. Stavamo attraversando un momento così complesso e incredibile che non pensavamo alla nostra privacy, a quel tipo di riservatezza, la prima necessità è stata quella di mostrare al mondo il male aprendo le porte del tribunale.
ⓢ Sappiamo che a causa dei farmaci ha progressivamente perso la sua autonomia, racconti che non guidava ormai più e non andava nemmeno a fare la spesa. Come si chiede un altro recente memoir molto doloroso di un’autrice francese, Neige Sinno, Triste tigre: com’è possibile che nessuno se ne sia accorto? Quanto è stato difficile per te, per i tuoi fratelli rendersi conto che queste piccole cose nascondevano tutto questo?
Durante tutti questi anni non ho mai pensato che ci fosse tutto questo. Ci siamo a lungo preoccupati per la salute di mia madre andando da specialisti, pensando a motivazioni dovute all’età o a qualche malattia. Soltanto alla fine, quando si è scoperchiato questo inferno, abbiamo saputo che tutte queste piccole cose e problemi di salute erano dovuti alla sottomissione chimica. Ed è in quello stesso momento che abbiamo scoperto chi era davvero Dominique Pelicot, mio padre.
ⓢ Nel 2023 hai fondato un’associazione per sostenere le vittime di sottomissione chimica: #Mendorspas. Cosa hai scoperto?
Soltanto a causa di questa esperienza ho potuto scoprire l’enormità di questo problema, per questo non potevo non fare nulla e quindi ho fondato questa associazione. È un fenomeno poco conosciuto, ma dietro a questo mondo ci sono davvero molte problematiche: spesso le vittime per anni non sanno di essere oggetto di stupri o di molestie sessuali, non sanno di essere drogate e in molti casi i colpevoli non vengono scoperti. Nonostante il numero delle denunce stiano aumentando – in Francia nel 2021 sono state 2100, mentre nel 2020 poco più di cinquecento – si tratta soltanto della punta di un iceberg di cui non conosciamo davvero la profondità. Dobbiamo fare molti passi avanti per aiutare le persone alle prese con la scoperta di questo inferno personale. Serve non soltanto il supporto psicologico, che è ancora pochissimo, ma anche quello legale e finanziario.
ⓢ Ritieni che la pornografia online abbia reso, in un certo senso, più accettabili queste perversioni?
Credo che sia di certo un acceleratore. In molti casi chi abusa nella vita reale trova online contenuti che assomigliano alle proprie perversioni – come quelli che ritraevano mia madre, dopotutto – oppure online trovano un luogo dove parlarne, dove poter venire impunemente allo scoperto. Per cui sì, sono convinta che abbiano un ruolo chiave in tutto questo processo.
ⓢ Hai un figlio maschio, Tom. In che modo la sua educazione tiene conto di questa esperienza? Pensi che ci siano dei cambiamenti da mettere in atto nel modo in cui cresciamo i ragazzi, gli adulti di domani?
Sicuramente abbiamo la responsabilità di come cresciamo i nostri figli e la sento ancora di più ora. Abbiamo un ruolo fondamentale per far capire loro cosa significa consenso, il rispetto per l’altro e in un certo senso la sacralità del nostro corpo e del corpo degli altri, della loro psiche. Crescendoli abbiamo un ruolo chiave nelle loro azioni, anche in quelle che compiranno quando saranno adulti.
ⓢ In che modo tenere un diario ti ha aiutato in un momento così difficile? Cosa hai scoperto di te, del tuo modo di superare il dolore?
È stato un modo per raccontare la mia verità su tutta questa storia e la forma del diario l’ha resa ancora più personale, mia. È stato un modo per raccontare quello che ho vissuto e le emozioni che mi hanno attraversato nel mio scoprirmi vittima delle violenze messe in atto da mio padre. Ma anche per lasciare una traccia, una prova di quello che è successo prima del processo e della sua condanna.
ⓢ Cosa pensi di tua madre, convinta, come scrivi nel libro, di essere nata sotto una buona stella?
Sono convinta che se non lo pensasse, dopo tutto quello che ha scoperto, ora, mentre stiamo parlando, non sarebbe ancora viva.
ⓢ Come ti senti ora?
Non del tutto sollevata. Sono convinta che il passato di mio padre non sia del tutto venuto allo scoperto. Nei prossimi mesi ho la sensazione che scopriremo altre cose, altre malvagità e derive, per cui mi sento un po’ in attesa.
ⓢ Pensi che riavrai mai indietro la tua “vita banale”, la “vita di prima”, come spesso la definisci?
Lo spero, ma in questo momento dubito tornerà presto. Quando torno a casa da mio marito e mio figlio vivo dei momenti normali, ancora. Ma dall’altra parte ormai la mia vita è fatta di questa battaglia – personale e pubblica. La nostra storia familiare sta ancora andando avanti e il lutto che ne è conseguito è ancora vivo. Credo ci vorrà del tempo, ma lo spero.
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