La scelta di papa Francesco: la malattia viene normalizzata

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Bergoglio si mostra «come un uomo quasi novantenne. Non c’è un atteggiamento ieratico», spiega Giorgio Simonelli, già professore di storia della radio e della televisione all’Università Cattolica di Milano. Un modo di comunicare molto diverso rispetto a quello usato da Giovanni Paolo II 

«Io vedo la chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto». Nelle ore in cui la degenza di papa Francesco al Policlinico Gemelli batte il decimo giorno e si fa più complessa, l’immagine che il pontefice ha restituito della chiesa nella sua prima intervista rilasciata a La Civiltà Cattolica nel 2013 descrive bene il suo di tempo, quello della sofferenza in un lungo ricovero, che batte oggi il decimo giorno. Sabato 22 febbraio il momento più critico, dove lo scarno comunicato ha lasciato alle parole condizioni critiche e crisi ben poco spazio all’immaginazione, facendo salire il termometro dell’apprensione di fedeli e non.

La sofferenza da esorcizzare

In questi giorni l’attenzione dei media verso la salute di papa Francesco ha avute diverse fasi, quasi sincronizzata alla sua anamnesi giornaliera, con il fiato più o meno corto dei suoi polmoni, affaticati da una bronchite polimicrobica e provati da una polmonite bilaterale in un organismo già immunodepresso. Quando venerdì 21 febbraio un muro di telecamere e giornalisti si è assiepato nell’ingresso del Policlinico Gemelli per seguire il punto stampa tenuto dal chirurgo Sergio Alfieri, che sta seguendo la degenza del papa, insieme al medico Luigi Carbone, che ha seguito il papa durante la convalescenza a Casa Santa Marta, c’era la volontà precisa di Francesco di estrema chiarezza sulla sua salute: «Il Santo Padre si rende perfettamente conto di come sta ed ha sempre voluto che si dicesse la verità sulla sua salute», ha detto Alfieri. Perché la sofferenza prima, la morte poi sono realtà da esorcizzare, con cui riconciliarsi, come ebbe a dire in un’intervista passata. Anche in questo, Francesco si dimostra vicino al suo pueblo. Come scriveva nell’autobiografia Spera (Mondadori, 2025): «Il nostro tempo è pressante: quando vuoi cogliere l’oggi, è già ieri; e se vuoi cogliere il domani, ancora non c’è. Questi anni di pontificato sono stati vivere una tensione, guardando oltre. Ma la vecchiaia è anche un tempo di grazia e pure di crescita».

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Fari spenti sul dolore

C’è una distanza siderale da come ha vissuto ed è stata comunicata la sofferenza di papa Giovanni Paolo II, non solo perché è passato un ventennio. Allora si parlava di cattedra del dolore, di un’agonia incarnata, vissuta minuto per minuto, persino nelle fasi più drammatiche: «Nella linea comunicativa di papa Francesco, invece, c’è l’umanizzazione della sua figura. C’è un uomo anziano con una forma di malattia, che si comporta come uno di noi. Non c’è sacralizzazione nella sofferenza, non c’è il corpo sacro» spiega Giorgio Simonelli, già professore di storia della radio e della televisione all’Università Cattolica di Milano. Nell’ultima, drammatica via Crucis letta dall’allora cardinale prefetto Ratzinger, papa Wojtyla era ritratto un tutt’uno con il Crocifisso tra le braccia, il suo corpo, duramente provato dai patimenti, trasfigurato in un’offerta a Dio, come il dispiegarsi di un’epica mistica otto-novecentesca. 

Molto diverso da papa Bergoglio, che ha sempre optato per un basso profilo anche nel 2021, quando venne ricoverato al Gemelli per un’operazione al colon, programmata. Dallo scorso 14 febbraio, giorno dell’ultimo suo ricovero, i primi comunicati stampa hanno raccontato l’immagine di un papa che fa: lavora, prega, incontra, ancora il 15 febbraio la Sala stampa vaticana poneva, seppure in maniera remota, l’eventualità che il papa potesse guidare la preghiera dell’Angelus: «Papa Francesco ha scelto di gestire la sua presenza in maniera limpida e trasparente, senza mitologie. Si comporta come un uomo quasi novantenne, non ha un atteggiamento ieratico» puntalizza Simonelli.

Francesco, il papa e l’uomo

In fondo, papa Francesco ha imparato ad accettare la malattia, da lui vissuta in passato come un’umiliazione, come raccontava lui stesso: «È stata la gonalgia al ginocchio, piuttosto, l’umiliazione fisica per me più pesante. All’inizio mi imbarazzava dover utilizzare una carrozzina, ma la vecchiaia non viene mai da sola e va accettata per come viene: la chiesa si governa con la testa e con il cuore, non con le gambe». La carrozzina, prima scongiurata, è diventata col tempo parte della sua immagine pastorale. Perché la realtà è superiore all’idea, come scrive nell’Evangelii Gaudium, e un uomo anziano, per giunta pontefice, deve tenerne conto.

I testi dell’ultima via Crucis, da lui scritti malgrado l’assenza per curare la bronchite cronica, mostrano in controluce questo peso nel farsi da parte, e svelano uno sguardo umano intimo che va nella malattia e trova una realtà concreta, impastata di buio e speranza: «A differenza dei due papi precedenti, Francesco si sta ammalando da uomo», spiega Simonelli. «Nel modo di comunicare la malattia sparisce il voyeurismo e l’uso esasperato delle immagini di dolore. È la perdita del pudore della malattia e la fine dell’ipocrisia, cioè quella reticenza infantile di edulcorare il dolore».

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