Gender gap pensionistico: alle donne un assegno più basso di oltre 900 euro

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Il Rendiconto Inps: lavoratrici pagate un quinto meno degli uomini. Pesano l’utilizzo del part time e i più bassi livelli di qualifica, anche se sono più istruite. E la loro pensione è più leggera del 47%

Le donne vengono pagate un quinto meno degli uomini e percepiscono un assegno previdenziale più leggero di quasi 900 euro. A certificare che il gender gap in Italia non solo è duro da colmare, ma segue le lavoratrici dal primo giorno di assunzione fino alla pensione è il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps. Stando infatti all’ultimo Rendiconto di genere dell’Istituto, le retribuzioni giornaliere delle donne sono inferiori di circa il 20% rispetto a quelle dei colleghi maschi, mentre una volta a riposo il trattamento è in media più basso di oltre il 47%.

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Penalizzate da part-time e bassi livelli di qualifica

Nel nostro Paese le donne hanno un tasso di occupazione di quasi 18 punti inferiore a quello degli uomini e quando lavorano vengono pagate meno. A pesare sulle buste paga sono una serie di fattori tra cui il maggiore utilizzo del part time, i più bassi livelli di qualifica e il minor ricorso agli straordinari. Non solo: pur essendo mediamente più istruite, le lavoratrici fanno più fatica a fare carriera. Lo dimostra il fatto che solo il 21% dei dirigenti e il 32,4% dei quadri è donna. 

Sottopagate in tutti i settori

Gli esperti dell’Inps sottolineano quindi che “le condizioni di svantaggio delle donne nel nostro Paese, nell’ambito lavorativo, familiare e sociale sono ancora rilevanti”. Sulla base dei dati riferiti al 2023, infatti, il tasso di occupazione femminile risulta al 52,5%, 17,9 punti inferiore a quello degli uomini. Per le lavoratrici è anche più difficile essere assunte a tempo indeterminato: la percentuale si ferma infatti al 18%, a fronte del 22,6% dei colleghi. Inoltre, tra i lavoratori part time, le donne sono quasi i due terzi (64,4%) e hanno una percentuale di part time involontario tre volte superiore (15,6% contro 5,1%). 

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“In tutti i settori economici esaminati, tranne le estrazioni di minerali da cave e miniere, gli uomini percepiscono redditi medi giornalieri superiori”, si legge nel documento. Più nel dettaglio, in dieci settori sui diciotto passati al setaccio dall’Inps le donne percepiscono oltre il 20% in meno. Nelle attività finanziarie e assicurative si sale al 32,1%, in quelle professionali scientifiche e tecniche al 35,1% e in quelle immobiliari al 39,9% (77,9 euro lordi giornalieri a fronte di 129,7). La differenza è pari al 23,7% nel commercio e al 16,3% nei servizi di alloggio e ristorazione. Va meglio nel settore pubblico, dove il divario di genere in busta paga è meno pesante. Tuttavia nel servizio sanitario e nelle università ed enti di ricerca il gap torna ad essere di quasi il 20%. 

Più istruite ma rallenta la famiglia

Per quanto riguarda il livello di istruzione, nel 2023 le donne hanno superato gli uomini sia tra i diplomati (52,6%) sia tra i laureati (59,9%), ma questa superiorità nel percorso di studi “non si traduce in una maggiore presenza nelle posizioni di vertice nel mondo del lavoro”. Il 29,4% delle occupate è “sovraistruita” rispetto al lavoro che fa, a fronte del 25,4% degli uomini, e questa percentuale supera il 40% tra i 25 e i 34 anni. Le donne, viene evidenziato nel Rendiconto, continuano a farsi carico della maggior parte del lavoro di cura: nel 2023 le giornate di congedo parentale utilizzate sono state 14,4 milioni, contro le 2,1 milioni degli uomini. Inoltre, l’offerta di asili nido rimane insufficiente. Solo l’Umbria, l’Emilia Romagna e la Valle d’Aosta raggiungono o si avvicinano all’obiettivo dei 45 posti nido per 100 bambini 0-2 anni.

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Dalla busta paga all’assegno previdenziale

Il gender gap passa poi direttamente dalla busta paga all’assegno Inps. Le donne percepiscono 4.358.170 prestazioni dal Fondo lavoratori dipendenti con un importo medio di 989 euro, inferiore di quasi il 48% a quelle degli uomini che ricevono 3.261.069 trattamenti con una media di 1.897,8 euro. La differenza tiene conto del fatto che una parte delle donne non ha lavorato e percepisce solo una pensione ai superstiti e anche delle carriere più lunghe e con retribuzioni più alte degli uomini. Ma bisogna considerare che si tratta di singole prestazioni e non dell’intero reddito da pensione che in molti casi è composto da più prestazioni. Nel fondo lavoratori dipendenti ci sono 1.845.394 pensioni ai superstiti vigenti per le donne e 275.204 per gli uomini. 

“Sebbene le donne siano numericamente superiori tra i beneficiari, essendo 7,9 milioni le pensionate rispetto ai 7,3 milioni di pensionati, permangono significative differenze negli importi erogati”, viene spiegato. Nel lavoro dipendente privato gli importi medi delle pensioni di anzianità/anticipate e di invalidità per le donne sono rispettivamente del 25,5% (2.350,6 euro contro 1752,2) e del 32% inferiori rispetto a quelli degli uomini, mentre nel caso delle pensioni di vecchiaia il divario raggiunge il 44,1% (760,5 euro contro 1.359,8). Questi dati, conclude il Civ, “sono il riflesso di una condizione di svantaggio che le donne hanno nel mercato del lavoro”. Le donne prevalgono numericamente nelle prestazioni pensionistiche di vecchiaia e ai superstiti. Il numero limitato delle donne che beneficiano della pensione di anzianità anticipata (solo il 27% fra i lavoratori dipendenti privati e il 25,5% fra i lavoratori autonomi) evidenzia poi le difficoltà per le lavoratrici a raggiungere gli alti requisiti contributivi previsti, a causa della discontinuità che caratterizza il loro percorso.

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