Forze giovani e facce nuove: la politica a Taranto non sia più appesa a un filo

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Il 21 febbraio scorso, santo del giorno Pier Damiani, si concludeva la storia amministrativa del sindaco, Rinaldo Melucci. Proprio in quel giorno, la maggioranza dei consiglieri ha sfiduciato il sindaco di Taranto, per cui si andrà, salvo imprevisti, a votare nella primavera, si dice, l’11 maggio.

Melucci era al suo secondo mandato. Fu eletto la prima volta come indipendente, nel 2017, e nel novembre 2021, fu sfiduciato con una raccolta di firme, come stavolta, che ha avuto come effetto lo scioglimento anticipato del consiglio comunale e la nomina di un commissario prefettizio, nella persona di Giuliana Perrotta. Fu rieletto nel giugno 2022, candidato sindaco del Partito democratico, appoggiato da una coalizione di centrosinistra. Nel corso del 2024, ci fu il coup de théâtre: cambio di maggioranza, con l’intento di allargarla verso Italia Viva, alla cui apertura c’era l’ostilità del Partito democratico regionale e ionico. Il che comportò la spaccatura all’interno del Pd: un gruppo seguì il sindaco, il resto dei consiglieri andò all’opposizione. Pd dimezzato, Melucci fu sostenuto da una maggioranza risicata, con alcuni consiglieri che varcarono il Rubicone. In una giornata particolare, in cui Rinaldo Melucci, nel pieno delle sue funzioni, inaugurava la Tangenziale Sud, il suo fiore all’occhiello, la maggioranza dei consiglieri piantava la misericordia sul corpo del sindaco e ponevano fine all’amministrazione, sempre travagliata sotto molti aspetti. Alle prese con la gestione segnata dalla sopravvivenza, faceva e disfaceva con consiglieri che entravano e uscivano dalla maggioranza, come se il Palazzo di Città fosse munito di «sliding doors».

Per cui, ha governato in modo smagato, solitario, silenzioso e senza mai un sorriso, inseguito dai rumors. D’altronde, il Palazzo di Città era il suo bunker circondato dal suo cerchio magico mutante. Strano a dirsi, le due esperienze amministrative di Rinaldo Melucci si possono racchiudere nel brevissimo testo della poesia di Giuseppe Ungaretti: «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie». Cioè, le vite amministrative melucciane sono state appese a un filo.

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Il bello, anzi il brutto, è che il punto di non ritorno della giunta Melucci avviene in un momento in cui Taranto è la metafora della crisi industriale italiana, se parliamo della siderurgia pubblica e non andiamo oltre. La crisi dell’acciaio pubblico è un fenomeno che si è sviluppato, principalmente, a partire dagli anni ‘70 del Novecento e ha avuto impatti negativi sulla struttura economica, ambientale e sanitaria di Taranto. Al momento, c’è la vendita dell’ex Ilva ed è in corsa per l’acquisto, dio voglia, l’azera Baku Steel. Ma ci sono altre partite complesse: il porto, l’hub per l’eolico offshore, il dissalatore, il Just Transition Fund e i giochi del Mediterraneo. Non solo questo. Bisogna che si stabilisca una visione innovativa industriale, dal momento in cui lo stabilimento siderurgico avrà un forte ridimensionamento, perdendo, Taranto, il primato della «Capitale dell’acciaio», di cui i tarantini non avranno alcun rimpianto.

La Città non può restare in mezzo al guado: tra crisi e promesse. La prossima amministrazione comunale avrà un compito difficile e impegnativo, per cui la politica tarantina dovrà cambiare grammatica e trovare una sintesi e per fare questo occorre una discontinuità di classe dirigente. Forze giovani e facce nuove, e non è giusto dire che nell’ambito degli schieramenti in campo – destra e sinistra e un probabile terzo polo di ispirazione melucciana -, non ce ne siano. Attenzione, la Città dei due mari non potrà essere governata dagli apprendisti stregoni. Ne ha viste troppe, adesso, o si cambia o si muore, metaforicamente. Di certo, bisogna risvegliare le coscienze dei tarantini per molto tempo sopite, avendo lasciato a forze esogene prendere il sopravvento, dettando le regole del gioco, considerando Taranto un protettorato .

Paradossalmente, si è sommato all’assistenzialismo di Stato il colonializzazione della politica, il cui strumento dominante è stato una «cippatrice», alimentata dalla politica delle mance. Neppure ha giovato la politica del pendolo: dall’opposizione all’opportunismo, i cui risultati sono stati zero spaccato.

A ben pensare, Taranto capitale della Magna Grecia declinò in colonia, quando fu sconfitta da Roma e dall’allora non si è più ripresa. Melucci troppo tardi si è accorto di aver dato deleghe in bianco, di qui, il riscatto e, nello stesso tempo, segnò la sua defenestrazione. Il problema dei problemi del nuovo governo cittadino sarà riconquistare la propria identità, autorevolezza e autonomia, che sarà una sfida costante, che si dovrà combattere con il coraggio di andare avanti, anche quando sorgeranno una montagna di difficoltà. Non è la vittoria immediata a definire la classe dirigente, ma la perseveranza di lottare per il cambiamento, con l’unico scopo di fare gli interessi dei cittadini di Taranto.



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