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Chiesto il giudizio del pentito Venturino per l’omicidio di Floriano Garofalo, fratello di Lea. Aveva 16 anni quando fece da palo al commando
PETILIA POLICASTRO – Forse Floriano Garofalo fu assassinato perché si rifiutò di uccidere la sorella Lea, che era divenuta testimone di giustizia e qualche anno dopo sarebbe stata attirata in una trappola e uccisa a sua volta. Non si sarebbe adeguato al codice ‘ndranghetistico che prevede che a cancellare l’onta, a punire l’«infame», ovvero colui che collabora con lo Stato come aveva fatto Lea, deve essere un suo congiunto. Almeno questo è quello che sostiene il collaboratore di giustizia Carmine Venturino, che oggi ha 38 anni ma ne aveva appena 16 quando avrebbe nascosto le armi utilizzate nell’agguato. E avrebbe fatto da vedetta al commando che entrò in azione l’8 giugno 2005 per assassinare Floriano Garofalo.
La Dda di Catanzaro ha riascoltato Venturino, il pentito che fece ritrovare i resti di Lea, il cui corpo, bruciato e ridotto in migliaia di frammenti ossei, fu ritrovato in un campo vicino Monza. I pm antimafia, dopo aver ottenuto dal collaboratore di giustizia conferme rispetto a quanto già dichiarato nel 2014, hanno trasmesso gli atti alla Procura minorile di Catanzaro per quanto concerne la sua posizione ma continuano a indagare sui componenti del commando. Il sostituto procuratore minorile Michele Sessa ha pertanto chiesto il rinvio a giudizio per i fatti risalenti all’epoca in cui l’imputato era un ragazzino.
LE ACCUSE E L’OMICIDIO DEL FRATELLO DI LEA GAROFALO
Venturino è accusato, anche sulla base di sue dichiarazioni, di porto e detenzione illegali di tre fucili calibro 12, di cui uno a pompa, uno a canne sovrapposte e un altro semiautomatico e del relativo munizionamento. Sono ancora in via di identificazione i sicari ai quali consegnò l’arsenale che avrebbe custodito per circa sei mesi in un ripostiglio all’interno della sua abitazione. Dopo aver osservato i movimenti della vittima predestinata, Venturino ne avrebbe segnalato la presenza ai killer che erano appostati e spararono alle spalle a Floriano Garofalo, dopo un breve inseguimento nei pressi di casa sua, nella frazione Pagliarelle.
Cinque i colpi che partirono dai fucili, tre dei quali raggiunsero la vittima alla testa, tanto da spappolargliela e renderla irriconoscibile. L’imputato, allora minorenne, si tratteneva tutte le sere con Floriano Garofalo quando faceva rientro a casa. Avrebbe avvisato i sicari che il loro obiettivo era solito soffermarsi con altre persone in un’area antistante un’officina, tra le 23.30 e le 1, prima di rincasare. La sera dell’agguato, Venturino avrebbe fatto finta di raccogliere ciliegie insieme a degli amici, ignari di quello che sarebbe successo di lì a poco. Quindi, dopo aver notato la vittima arrivare, avrebbe contattato telefonicamente i complici che erano già sul posto, armati fino ai denti.
Il PROFILO
Floriano Garofalo era stato coinvolto nell’operazione antimafia “Riscacco”, in quanto era sospettato di essere il canale di rifornimento di sostanze stupefacenti per la cosca di Cutro capeggiata dal potente boss Nicolino Grande Aracri, ma era stato successivamente assolto. Venturino, si è soffermato, a colloquio con gli inquirenti, sul ruolo di Floriano Garofalo nella ‘ndrangheta. Lo fece anche in una lettera che inviò alla redazione del Quotidiano dopo il suo pentimento. «Ha ucciso tanta gente e imponeva alla povera gente del paese di pagare il pizzo», scrisse.
IL PENTIMENTO
Venturino si è pentito soltanto dopo essere stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’uccisione di Lea Garofalo. Ottenne così una riduzione di pena a 25 anni nei successivi gradi di giudizio. Sono poi divenute definitive le condanne alla massima pena per Carlo Cosco, ex convivente di Lea, per il fratello Vito Cosco, per Rosario Curcio (morto suicida in carcere) e per il salernitano Massimo Sabatino, l’unico non petilino del gruppo, e quella a 25 anni per il pentito. Condanne che non prevedono l’aggravante del metodo o della finalità mafiosi. Un vulnus che non ha rimosso neanche la Cassazione. Dopo la sentenza di primo grado, Venturino decise di fare alcune dichiarazioni che permisero di rinvenire i resti della testimone di giustizia in seguito a un vero e proprio scavo archeologico fatto dagli inquirenti in collaborazione con l’Istituto di Medicina Legale di Milano.
LA TRAPPOLA
Fu lui a raccontare le modalità agghiaccianti della trappola che servì a portare a termine il progetto per l’eliminazione della donna, che aveva fatto rivelazioni sull’omicidio di Antonio Comberiati commesso a Milano nel maggio ’95 incolpando Giuseppe Cosco detto Smith, dal nome di una marca di pistola. Il fratello di Carlo Cosco, regista dell’operazione che portò all’eliminazione di Lea. Venturino era fuori, davanti all’appartamento di Milano in via Fioravanti, mentre i complici strangolavano la donna col cordino di una tenda e mettevano il corpo in uno scatolone. Il corpo fu poi sistemato in un sacco nero e portato in un magazzino a Monza.
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Là, nel quartiere San Fruttuoso, venne bruciato e ridotto in poltiglia con una pala. Così si fa con gli «infami», per cancellarli dalla memoria collettiva. E di Lea non rimase che cenere. Sciolta nell’acido, come si riteneva in un primo momento, o bruciata e gettata in un tombino, poco cambia. Ma Venturino avrebbe fatto da “palo” anche ai killer che uccisero il fratello della sua ragazza.
LA RIVELAZIONE SULL’OMICIDIO DEL FRATELLO DI LEA GAROFALO
Che l’imputato chiave per l’omicidio di Lea avrebbe avuto un ruolo, anche se non specificato, nell’omicidio di Floriano Garofalo, risalente al giugno 2005, Venturino se lo lasciò scappare nel processo d’appello. Il collaboratore di giustizia incolpò lo stesso Carlo Cosco, facendo riferimenti a un codice d’onore ‘ndranghetistico che prevede la cancellazione dalla momoria collettiva di chi spezza la catena dell’omertà denunciando. A incaricarsene, secondo quelle regole ancestrali, devono essere i parenti dell’”infame”. Floriano, dunque, avrebbe pagato con la vita il fatto di non aver punito la sorella Lea per le rivelazioni agli inquirenti in seguito alle quali nel 2002 era stata ammessa al programma di protezione.
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