Schlein: “Trump e Putin sono due autocrati. Alla Ue serve un piano da 750 miliardi l’anno”

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Sono giorni, questi, in cui i leader europei sono chiamati a ricalibrare la propria bussola e offrire risposte allo stravolgimento degli equilibri politici.

Così la segretaria del Pd Elly Schlein, ragionando con i suoi fedelissimi, per la prima volta parla di «un asse tra Donald Trump e Vladimir Putin». Mette il presidente americano e quello russo sullo stesso piano. A partire dalla questione ucraina: «Trump ha assunto il punto di vista dell’aggressore. Tra autocrati si intendono», dice. Non appena insediato alla Casa Bianca, anche da lui è arrivato «un attacco al sistema valoriale e geopolitico» dell’Occidente. Perché entrambi, in fondo, «vogliono riscrivere l’ordine mondiale a colpi di machete, con un messaggio violento».

La reazione a questo uragano, per Schlein, deve arrivare dall’Europa, che ora ha «due obiettivi» da centrare in fretta. Innanzitutto, «superare l’obbligo dell’unanimità» all’interno del Consiglio europeo, in modo da poter prendere decisioni più rapidamente e in questo modo «andare spedita verso una forma di integrazione mai conosciuta prima»: una direzione opposta a quella indicata dalle destre.

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Il secondo obiettivo è affrontare il tema dell’autonomia strategica: «Serve un Next Genereation Eu da 750 miliardi l’anno, non per un anno solo, in modo da essere pronti ai cambiamenti improvvisi degli equilibri geopolitici, figli degli umori dei dittatori di turno», sostiene la segretaria del Pd. Un piano che punti su energia, intelligenza artificiale, difesa, politica estera comune. Perché l’azione dell’asse tra Washngton e Mosca, inevitabilmente, «mette l’Europa ai margini».

E il primo effetto di questo nuovo isolamento si vede già, è nella volontà della Casa Bianca di tenere l’Ue e l’Ucraina lontane dal tavolo delle trattative con Putin: «Una follia valoriale e di sicurezza, da contrastare in ogni modo», sbotta.

Se questo è l’orizzonte, la segretaria del Pd non può non considerare un grave errore il tentativo di Giorgia Meloni di mantenere una posizione equidistante tra l’Ue e gli Usa.

«Dall’essere prima della classe a diventare una vassalla, funzionale a un disegno di disgregazione europea, il passo è breve», avverte. Nel momento delle decisioni non più rinviabili, per l’Italia «l’unica scelta possibile è l’Europa. Meloni – prosegue Schlein – può anche credere che sia utile andare individualmente da Trump, ma l’unica che ha la stazza per confrontarsi con gli Stati Uniti è l’Unione europea».

Un discorso che vale per la politica estera e di difesa, ma anche per i rapporti economici – osserva – perché se l’Occidente scivola fuori dai suoi tradizionali cardini, «non può più essere il tempo del business as usual».

Schlein scommette con i suoi fedelissimi che la sfida, per quanto probante, si possa vincere. «Se cinque anni fa mi avessero detto che di fronte a una crisi comune, come è stata la pandemia, l’Europa avrebbe reagito unita sbloccando il veto sul debito comune, forse non ci avrei creduto. Eppure è successo, grazie a una visione condivisa sul futuro. Quindi, può succedere ancora».

Oggi è la guerra in Ucraina ad aver mostrato le fragilità europee. Anche sul piano energetico, nel momento in cui si è deciso di fare a meno del gas russo. «Ma abbiamo reagito – sostiene Schlein – e ora dobbiamo fronteggiare allo stesso modo tutte le nostre fragilità». Senza, però, fare passi indietro.

Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, intervistato ieri da questo giornale ipotizzava di tornare al gas russo una volta siglata la pace in Ucraina. Una possibilità che non piace affatto a Schlein: «Sarebbe un errore drammatico, significherebbe che non abbiamo imparato la lezione».

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L’Ue deve invece «scommettere solo su se stessa» e affrontare i propri punti deboli, dalla transizione digitale a quella ecologica, con «una vera politica industriale europea». Gli investimenti, però, «non vanno sottratti alle politiche sociali».

II manifesto progressista, in questo momento, non ha ancora un volto che sia un simbolo nel mondo, mentre sull’altro fronte conoscono e si riconoscono in Trump, e poi in Milei, in Orban. Schlein lo sa, ma crede che il rimedio esista. «La sinistra non può lasciare l’internazionalismo ai nazionalisti», dice. Ci sono nomi come quelli del portoghese Antonio Costa o dello spagnolo Pedro Sanchez che per Schlein sono esempi successo.

Ed è anche attraverso il loro lavoro che la segretaria Dem vuole mostrare l’esistenza di una visione alternativa. Purché si smetta di inseguire i sovranisti sul loro terreno, tra lotta contro le toghe e immigrazione: «Hanno strumenti di propaganda enormi. Dobbiamo trascinarli su terreni per loro scomodi».

Lo slogan “io sono madre, sono donna, sono cristiana, uno slogan” – è il primo esempio che Schlein fa ai suoi – «difficilmente aiuta a mettere insieme il pranzo con la cena, se poi si dice no al salario minimo». Allo stesso modo, «le deportazioni restano slogan quando poi le bollette del gas e della luce sono alle stelle», e i saluti fascisti come quelli sfoggiati da Elon Musk e Steve Bannon «non aiutano il potere d’acquisto degli stipendi se manca una vera politica industriale».

Insomma, la segretaria del Pd è decisa a cambiare rotta: «Noi dobbiamo incidere sulle condizioni materiali di vita delle persone. Ripartire da quella questione sociale da cui Meloni, invece, scappa».



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