Quelli che predicevano la morte del papa a suon di oroscopi – Una penna spuntata

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In un periodo in cui l’Internètte si è riscoperto pieno di pneumologi esperti in età geriatrica, fa persino strano che nessuno (quantomeno, che io sappia) abbia sentito l’impulso di ridare vita a una di quelle tradizioni dei bei tempi antichi in cui si portava molto più rispetto verso il sacro e le cose erano molto meglio di oggi, signora mia. Parlo cioè della la tradizione tipicamente capitolina dell’astrologo menagramo che profetizza la morte imminente del pontefice sulla base di quanto legge nel suo oroscopo – fa ridere, lo so, ma capitava per davvero; e non solamente ai papi, sol per quello.

Del resto, in un’epoca in cui anche gli individui più colti ritenevano che lo studio delle stelle fosse in grado di prevedere il futuro con un certo grado di affidabilità, ecco che una previsione astrologica infausta poteva acquisire un valore politico di rilievo. Se dieci, venti, trenta astrologi (o anche più) improvvisamente se ne uscivano compatti annunciando d’aver colto nelle stelle i segnali inconfondibili della morte di un pontefice (peggio ancora se notoriamente ammalato): beh, la cosa aveva effettivamente buone chance di mettere in atto, dentro e fuori i sacri palazzi, tutti quei meccanismi che potremmo affratellare sotto il comune concetto di “lotta di potere”.

Volta a influenzare il comune sentire delle masse (e ancor più di quei pochi eletti con potere decisionale), la strategia della previsione astrologica infausta veniva spesso utilizzata in tutti quei contesti in cui s’annunciava la dipartita di un potente che sarebbe morto senza lasciare una linea di successione chiara. Particolarmente efficace nei confronti di quei re che non avevano figli (o non ne avevano ancora; o ne avevano, ma troppo piccoli per regnare), e particolarmente insidiosa per i loro eredi presunti (che nelle fasi critiche dell’agonia o presunta tale rischiavano concretamente di trovarsi un sicario sotto casa, mandato da chi già cominciava a radunare attorno a sé sostenitori e milizie con cui dar via a una guerra di successione), la strategia si prestava molto bene a essere utilizzata anche con quei re la cui successione era incerta per eccellenza.

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Insomma, ogni qualvolta che un papa cadeva ammalato in maniera grave, le vie di Roma si riempivano d’un brulichio d’astrologi jettatori che cominciavano a piangere miseria: ahinoi, il santo padre era ormai spacciato; ohimè, un conclave sarebbe stato imminente! Se ben pagati, magari erano anche in grado di tratteggiare a grandi linee il profilo di chi gli sarebbe succeduto.

Tra i casi celebri, quelli di Antonio Arquato, che nel 1491 annunciò l’imminente aggravarsi delle condizioni di salute di Innocenzo VIII (effettivamente, il papa si ammalò e morì nell’arco di pochi mesi; era però così cagionevole che si temeva per la sua morte ogni tre per due). E non ebbe miglior fortuna Giulio II, stroncato da una febbre violenta nei primi mesi del 1513: l’anno prima, era stato nientemeno che un frate francescano ad annunciare “profeticamente” la morte imminente del pontefice, il cui attivismo politico aveva scontentato molti.

Due “successi” così eclatanti invogliavano a proseguire per la stessa rotta, e così infatti fecero i menagramo per intere generazioni. A poco valse che, nel 1556, papa Paolo IV ordinasse l’espulsione degli astrologi dagli Stati Pontifici (in un provvedimento che – sarà bene sottolinearlo a scanso d’equivoci – non era certo motivato dalla paura dei problemucci di cui sopra. A un livello molto più profondo, nel corso del XVI secolo si andava rapidamente irrigidendo la posizione delle gerarchie cattoliche nei confronti dell’astrologia: lungo il corso del Medioevo il clero l’aveva sostanzialmente tollerata, talvolta limitandosi a qualche modesta critica e talvolta addirittura consultando gli oroscopi in prima persona; ma tutto cambiò con l’avvento dell’età moderna, e la legge tenne il passo).

A poco valse, dicevamo, il provvedimento del 1556, anche perché un astrologo non ha certo bisogno d’essere residente in un determinato luogo per far circolare a mezzo stampa le sue idee. E infatti il malcostume continuò, con casi eclatanti come quello di Andrea Argoli (che, per inciso, a Roma ci viveva per davvero – con tali e tanti agganci in seno alla comunità accademica da non curarsi minimamente dei provvedimenti che avrebbero dovuto comportarne l’espulsione). Il nostro amico si dedicò all’astrologia pontificia con una tale dedizione da diventare uno jettatore professionista: con una ostinazione che potrebbe essere persino ammirevole, l’astrologo trascorse buona parte della sua vita a diffondere profezie di sventura per tutti i papi che ebbero la disgrazia di incontrarlo sul loro cammino: Sisto V, Clemente VIII, Paolo V, Gregorio XV. Di quest’ultimo, Argoli si sentì addirittura di stilare a posteriori una cartella clinica quotidiana sulla base di quello leggeva negli astri, pubblicando, qualche anno dopo la sua morte, una corposa opera in due (!) volumi dedicata a elucidare il grande pubblico su tutti i dettagli più penosi dell’agonia del pontefice. È il De diebus criticis et de aegrorum decubitu, che non sorprendentemente ebbe fin da dubito un buon successo di pubblico, a testimoniare che la gente ha una certa inclinazione al voyeurismo sanitario da ben prima che arrivassero i social.

Il povero Gregorio XV moriva nel 1623; di lì a poco, veniva eletto suo successore papa Barberini, AKA Urbano VIII, un avvocato di curia che aveva trascorso una buona parte della sua vita a lavorare nel tribunale della Segnatura di Giustizia. Col senno di poi, verrebbe da dire che un pontefice col suo profilo (notoriamente energico, e ben abituato a far valere i diritti in virtù della legge) sarebbe stato il tipico papa da non irritare troppo, se non si volevano grane giudiziarie: purtroppo per loro, gli astrologi romani non avevano evidentemente avuto cura di studiare il proprio futuro con la stessa attenzione con cui avevano analizzato quello di Urbano VIII: e fu proprio durante il suo pontificato che la faccenda degli oroscopi infausti sfuggì un tantinello di mano a tutti quanti.

Odiatissimo da molti prelati per la sua fama d’essere incline al nepotismo, e non particolarmente simpatico a tutti quei potenti europei che, nel bel mezzo della guerra dei trent’anni, sarebbero stati ben felici di vedere sul soglio di Pietro un papa che garantisse di simpatizzare per loro parte, Urbano VIII si trovò al centro di macchinazioni e pettegolezzi a sfondo astrologico così eclatanti da sembrar usciti dalle pagine di un romanzo.

Il 10 giugno 1630, mentre in una Milano assediata dalla peste il cardinal Borromeo capitanava quella sfortunata processione che sarebbe stata resa celebre dal Manzoni, veniva impiccato a Roma il rettore della (peraltro prestigiosa) chiesa dedicata a un altro Borromeo: san Carlo. «Grandissimo negromante», a quanto si legge dagli atti del processo, il sacerdote aveva usato il solito escamotage della previsione astrologica per preannunciare la morte imminente del papa… ma s’era spinto un po’ oltre, arrivando a fare esplicitamente il nome di chi gli sarebbe succeduto (il cardinal Ginnasi) e, peggio ancora, dando conto delle prime mosse politiche di costui. In particolare, l’astrologo forniva l’elenco di tutti quei prelati che per primi sarebbero stati creati cardinali (non ci sorprenderà sapere che anche lui era tra questi).

C’era un limite non scritto al numero di jatture che i papi erano disposti a tollerare sul proprio conto: e, in questo caso, era stato abbondantemente superato. Un conto, è far circolare una generica profezia di sventura; un conto è dare alle stampe un pamphlet che mira apertamente a indirizzare il conclave e contiene una vera e propria linea programmatica di governo per il futuro papa. Urbano VIII ordinò l’immediato arresto del sacerdote e dispose una perquisizione di casa sua, al termine della quale gli attoniti inquirenti riportarono d’aver trovato una ingente quantità di testi di negromanzia e una statuetta di cera con le chiare sembianze di papa Barberini, che ben difficilmente si sarebbe potuta immaginare un oggetto di devozione.

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Reo confesso, l’incauto astrologo confessò le sue colpe e fu condannato per alto tradimento; e tra i Romani che seguirono sgomenti lo svolgersi dei fatti ci fu, probabilmente, anche Orazio Morandi, abate della basilica di Santa Prassede, che a quel punto, se non era del tutto scemo, già cominciava a presagire aria di guai. Già da un po’ di tempo, il monaco vallombrosiano aveva cominciato a far circolare nella Roma-bene dei foglietti di Avvisi in cui dava conto di indiscrezioni a sfondo politico, vere o presunte. Tra queste, figurava con una certa frequenza anche l’idea per cui papa Urbano VIII sarebbe morto nel 1630, così come assicuravano previsioni astrologiche provenienti da varie fonti e che anche lui, Orazio, si sentiva di confermare sulla base dei suoi studi.

Non sorprendentemente, nell’arco di poche settimane anche l’abate di Santa Prassede si trovò con la polizia alle porte: arrestato il 13 luglio 1630, di fronte all’evidenza delle prove che lo inchiodavano non provò nemmeno a scagionarsi, limitandosi a confessare la sua colpa (che non era solo quella d’aver praticato l’astrologia: emersero a suo carico anche un tot. di illeciti di natura più propriamente politica/istituzionale. A volerlo definire con i termini di oggi, diremmo probabilmente che Morandi era un faccendiere). Se l’abate non fu mai condannato a morte, fu probabilmente per l’unica ragione che il suo fisico cedette prima: morì il 7 ottobre di quell’anno per una brutta febbre, a cui probabilmente non giovò l’ambiente rigido del carcere (sembrano francamente infondate le immancabili dicerie secondo cui il religioso fu avvelenato dai suoi aguzzini, che del resto non avrebbero avuto motivo di farlo visto che il prigioniero non aveva nemmeno cercato di difendersi).

Incomprensibilmente poco noti al grande pubblico, questi due processi ebbero uno strascico importante. Il 1° aprile 1631, Urbano VIII (ancora perfettamente vivo, grazie tante) firmò la bolla Inscrutabilis, contenente una delle più ferme condanne dell’astrologia emesse da un pontefice: partendo dall’assunto per cui l’inafferrabile sapienza divina non tollera l’idea che il finito intelletto umano possa anche solo presumere di avere prescienza degli eventi, il papa condannava fermissimamente tutta quell’astrologia variamente utilizzata a scopo divinatorio. E, con la stessa fermezza, definiva grave colpa quella di chi effettuava e peggio ancora diffondeva previsioni sulla longevità o sulla morte imminente dei pontefici (e anche dei suoi parenti fino al terzo grado, per buon conto).

Funzionò?

Beh, in parte sì: i durissimi processi che s’erano tenuti a carico dei due sacerdoti-astrologi, nessuno dei quali (in un modo o nell’altro) era riuscito a uscir vivo dalle patrie galere, avevano reso evidente a tutti che il nuovo papa non scherzava. Quella che, fino a quel momento, era stata una tecnica di propaganda tutto sommato innocua (nessuno era davvero andato incontro a conseguenze serie per aver diffuso a mezzo stampa oroscopi inattendibili) si era tutto d’un tratto trasformata in un’attività sovversiva che avrebbe potuto costare la vita, e perdipiù con l’accusa infamante di un processo per eresia con tutti i crismi. A complottare contro il papa mediante il ricorso alle arti occulte restarono solo quei pochi che davvero sarebbero stati pronti a rischiare tutto pur di portare a casa il risultato (di lì a pochi anni, Roma fu teatro di uno spettacolare processo che svelò una gigantesca congiura volta a uccidere Urbano VIII a suon di evocazioni necromantiche: una storia assurda che meriterebbe di essere raccontata a parte); ma l’epoca degli oroscopi infausti sembrava ormai volgere al termine.

Del resto, gli oroscopi stessi stavano cominciando a passar di moda: a differenza di quanto era stato nel Medioevo, non era più così scontato che il grande pubblico fosse incline a dare credibilità alle previsioni di un astrologo. E quindi, chi voleva smuovere le acque nella curia pontificia (o in tutte quelle corti in cui la linea di successione non era chiara: ché il fenomeno non riguardò solo i re di Roma, lo ripeto), prese la più semplice (e più sicura) abitudine di pronosticare morti imminenti e conclavi dietro l’angolo basandosi sull’assunto per cui, banalmente, il papa è gravemente ammalato, questa volta lo sanno tutti che non si riprenderà.

Nei corsi e nei ricorsi della Storia, cambiano i modi e i mezzi ma non lo scopo: e chissà se, quando Max Weber parlava di disincantamento del mondo, pensava anche a fenomeni tipo questo.

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Per approfondire:

  • Maria Antonietta Visceglia e Agostino Paravicini Bagliani, Il Conclave (Viella Libreria Editrice, 2019)
  • Maria Antonietta Visceglia, La Roma dei papi. La corte e la politica internazionale (secoli XV-XVII) (Viella Libreria Editrice, 2019)
  • Pierluigi Pizzamiglio, L’astrologia in Italia all’epoca di Galileo Galilei, 1550-1650 (Vita e Pensiero, 2004)
  • Brendan Dooley, Morandi’s Last Prophecy and the End of Renaissance Politics (Princeton University Press, 2021)



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