«Ora lavoriamo insieme per affrontare la crisi demografica»

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Elena Bonetti (Azione) – IMAGOECONOMICA

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Elena Bonetti, deputata di Azione, già ministra per le Pari opportunità e la Famiglia nei governi Conte-2 e Draghi, è stata eletta nei giorni scorsi presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti della transizione demografica costituita lo scorso luglio. Un esito scontato, considerato che Bonetti è stata la prima firmataria della proposta di legge da cui ha preso forma questo percorso parlamentare sostenuto all’unanimità da tutte le forze politiche.

Da cosa nasce, dunque, l’idea di una Commissione d’inchiesta?

L’Italia sta attraversando una crisi demografica senza uguali, la situazione è talmente grave che se non viene affrontata il Paese rischia il default, dal punto di vista economico e dei conti pubblici, ma anche della capacità di affrontare le grandi sfide di questo tempo. L’intenzione è di costruire un percorso parlamentare trasversale, condiviso da tutte le forze politiche, per valutare un’analisi integrata dei molti dati che già ci sono, e sulla base di questo proporre le risposte politiche più efficaci da introdurre.

Come lavorerà la Commissione?

Si partirà dall’ascolto. Nelle audizioni saranno coinvolti esperti e tutti i soggetti che nel paese stanno analizzando il fenomeno demografico e i suoi effetti: il mondo accademico e i grandi istituti di demografia, la sanità, il mondo dell’educazione, delle imprese e delle parti sociali, il Terzo settore, i Comuni. Il mandato temporale è a fine legislatura, sarà quindi un lavoro molto operativo e intenso, per produrre risultati concreti da consegnare al Parlamento.

Un lavoro necessario, ma non pensa che arriviamo un po’ tardi?

No. Certamente siamo giunti ad un punto di urgenza del problema. Ma è un bene il livello elevato di consapevolezza che l’Italia ha raggiunto su questi temi e il fatto che la politica abbia deciso di farsene carico istituendo questa Commissione. Il livello decisionale spetterà ovviamente al Parlamento e al governo, ma per affrontare il problema si è scelto di aprire uno spazio comune di lavoro, non ideologico, non di parte. E questo, in un tempo di politica perlopiù urlata e polarizzata, è positivo quanto raro.

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Quali sono gli aspetti sui quali lavorare?

Certamente la natalità e l’invecchiamento della popolazione, ma gli ambiti coinvolti sono moltissimi: pensi alle politiche sociosanitarie, cioè a come siamo attrezzati alla cura di una popolazione che invecchia, all’inserimento lavorativo, in particolare dei giovani e delle donne, all’aumento della capacità produttiva delle imprese a fronte della diminuzione di popolazione attiva e di lavoratori, alla tenuta del sistema previdenziale, al ruolo della scuola e dell’università. C’è poi il tema delle politiche abitative, dei servizi nelle aree interne, delle politiche migratorie.

Spesso nell’analisi di fenomeni così complessi in Italia è emersa una certa fatica a ragionare, diciamo così, a partire dai dati. Concorda?

In realtà la qualità della ricerca scientifica e dell’analisi dei dati nel nostro paese è molto alta. Forse questo aspetto è mancato alla politica, che non sempre è stata capace di legiferare a partire da una analisi approfondita e integrata che cogliesse tutti gli aspetti del fenomeno. Ad esempio, guardare i dati della natalità senza affiancarli a quelli sul lavoro femminile, sull’autonomia dei giovani o dell’invecchiamento della popolazione non funziona: con analisi parziali si rischiano politiche pubbliche che, focalizzandosi su un solo aspetto, ne penalizzano altri. È per questo che nelle riforme di cui mi sono occupata, penso al Family Act all’Assegno unico universale, abbiamo scelto un approccio integrato.

A proposito, che valutazione dà dell’operato del governo in carica rispetto ai temi di cui si è occupata da ministra?

La Commissione non ha il compito di dare giudizi sull’operato del governo. Personalmente trovo positive le scelte in continuità con le politiche che avevamo avviato: dal buono che è stato fatto bisognerebbe ripartire, e non far ripassare ogni volta il Paese dal “via”. Per questo stesso motivo sono stati un errore la mancata attuazione del Family Act e il ritorno a bonus disorganici. Mi preoccupa anche la riduzione degli obiettivi del Pnrr sugli asili nido e il tempo pieno nelle scuole in tutto il paese. Bene, invece, la continuità sulla legge sulla non autosufficienza, ma per rendere operativa la norma serve un investimento che finora è mancato.

Parlare di politiche demografiche è anche, soprattutto, parlare di risorse. Questo forse è l’aspetto più critico, considerando anche quanta competizione c’è stata, tra ambiti diversi, nel contendersi i sostegni, e le famiglie ne sono spesso uscite penalizzate.

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È vero, le risorse sono limitate. Ma proprio per questo vanno investite sia rispondendo alle necessità di gestione dell’oggi che avviando processi che guardino avanti. Le politiche di solo sostegno economico possono avere anche un effetto immediato ma da sole non risolvono il problema nel lungo periodo, se non si attivano anche processi di sostegno all’abitazione, al lavoro, in particolare delle donne e dei giovani. Ora però c’è l’occasione della revisione della legge di contabilità dello Stato, secondo i nuovi parametri di stabilità europei, e l’Italia potrebbe avanzare una proposta che riguardi gli investimenti in ambito demografico: è un problema europeo, non solo italiano.

In questo senso un’analisi solo italiana della questione demografica non rischia di essere un po’ limitata?

La questione demografica è necessariamente una questione europea. Non è un caso che il piano del presidente Draghi sulla competitività dell’Europa indichi la crisi demografica come un aspetto di fragilità e vi faccia corrispondere proposte di investimento, a partire dalla formazione. L’Italia è il paese che ha il più basso tasso di natalità, il più alto indice di invecchiamento della popolazione e il più basso tasso di occupazione femminile. Presenta cioè in modo amplificato alcuni dei temi cruciali della transizione demografica. Ma, proprio per questo, anche con il lavoro di questa Commissione possiamo fare da apripista e essere il Paese da cui si allarga all’Europa un metodo di lavoro.

Parlando di natalità, e guardando a quanto succede tra i giovani un po’ ovunque nel mondo sviluppato, sembra di essere di fronte a un cambio di paradigma epocale. Che idea si è fatta?

La prima evidenza che da ministra ho colto riguardo ai giovani in Italia, e non solo, è la difficoltà di avere uno sguardo sul futuro, forse a causa di un contesto che ha sottratto loro molte sicurezze. Avere un figlio è una scelta personale irreversibile, anche in termini di responsabilità. Per questo le politiche per la natalità dovrebbero innanzitutto riuscire a restituire una prospettiva alle persone. Servono riforme che puntino alla sicurezza economica e alla stabilità lavorativa e che restituiscano anche la consapevolezza che una famiglia non è un’isola: non può essere abbandonata a sé stessa, deve avere servizi sul territorio. La sola analisi culturale rischia di farci abdicare alla nostra responsabilità: spesso il cambiamento culturale avviene attraverso la scelta di attivare processi positivi e migliorativi nella società.

Cambiando argomento, una popolazione che invecchia pone un tema di cura, ma anche di solitudine. La questione demografica intercetta il tema del fine vita, non crede?

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Lasciare lo spazio di legiferazione alle singole regioni produrrà un quadro frammentato nei diritti delle persone, ed è un rischio che non possiamo permetterci. Una legge sul fine vita oggi è necessaria, e deve essere fatta dal Parlamento: i confini sono già stati definiti dalla Corte costituzionale. Contestualmente, e in modo integrato, va però definito un supporto altrettanto uniforme di cure palliative e percorsi di accompagnamento con sostegni adeguati per le persone malate e le loro famiglie. I due elementi vanno tenuti insieme: nell’abbandono non si esercita davvero una libertà di scelta. Ora la politica deve assumersi tutta la responsabilità di dare una risposta che sia condivisa, frutto di un dialogo serio.





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