nuovo presidente, vecchi problemi. Cosa sta succedendo all’Unione africana

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Lo scorso fine settimana, i capi di Stato e di governo africani – riuniti in un summit ad Addis Abeba – hanno eletto il nuovo presidente della Commissione dell’African Union. Si tratta dell’organizzazione che riunisce i 54 paesi del continente (e la Repubblica araba democratica dei Saharawi, territorio non riconosciuto come indipendente). Per l’importante carica continentale è stato prescelto Mahmoud Ali Youssouf – apprezzato ministro degli Esteri della Repubblica di Gibuti ininterrottamente dal 2005 – che sostituirà il ciadiano Moussa Faki, presidente della Commissione per due mandati consecutivi.

Youssouf, grazie alle sue riconosciute e solide doti diplomatiche, ha avuto la meglio sull’ex primo ministro kenyano Raila Odinga (favorito nei pronostici della vigilia) e sul candidato del Madagascar, Richard Randriamandrato. La sua vittoria è anche un riconoscimento simbolico per il suo paese di provenienza: Gibuti è uno dei più piccoli Stati dell’Africa ma di enorme rilievo strategico, poiché è situato all’imbocco dello stretto di Bab el-Mandeb, sul Mar Rosso, e ospita una quindicina di basi militari straniere, tra cui quelle di Francia, Usa, Cina, Giappone, Italia, Germania e India (è l’unico paese del mondo ad annoverare al contempo una base Usa e una cinese sul suo territorio). La Commissione è il braccio esecutivo e di governo dell’Unione Africana, nata nel 2002 a Durban quale erede dell’Organizzazione per l’Unità Africana, voluta nel 1963 dall’imperatore etiope Hailé Selassié per affermare le esigenze e le ambizioni del continente di fronte al mondo intero. L’U.A. ricalca a grandi linee la struttura e il funzionamento dell’Unione europea, con due notevolissime differenze: i suoi membri sono il doppio di quelli europei, ed è quindi impervio metterli d’accordo su precise linee di azione; non gode di poteri sovranazionali conferiti dai suoi partecipanti, ciò che rende la sua operatività ancora più complessa.

Come riflesso della crescita del continente africano a livello globale, sia l’Unione Africana che la sua Commissione hanno comunque visto aumentare la propria importanza negli ultimi anni. Anche perché la forza d’urto africana negli ambiti multilaterali è potenzialmente di 54 voti, quasi un terzo dei membri delle Nazioni Unite. L’ Italia ha riconosciuto il rilievo della Commissione U.A., sia favorendo l’inclusione del suo presidente nel novero dei membri del G20 (che quindi dallo scorso anno sono 21) sia designando fin dal 2018 un ambasciatore “dedicato” con funzione di osservatore presso la sede U.A. di Addis Abeba (siamo l’unico paese dell’Unione europea ad aver operato tale scelta, che ci fa obiettivamente onore). Tra i dossier prioritari del nuovo presidente della Commissione spiccano la possibile attuazione dell’Accordo di libero scambio continentale, firmato nel 2019 ma ben lontano dall’essere esecutivo; una riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che preveda almeno due seggi permanenti per l’Africa; una revisione del sistema finanziario internazionale, tale da consentire un alleviamento consistente dell’ingente debito continentale; un ruolo più incisivo e determinante della Commissione nei numerosi conflitti regionali che scuotono l’Africa (l’agenda 2063 con i principali obiettivi del continente, lanciata nel 2015, comprende quello di “silenziare i fucili”, che però non sono mai stati così rumorosi dagli anni delle lotte per l’indipendenza).

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Nonostante le grandi ambizioni, l’African Union resta un organismo fortemente frenato dalle sue notevoli disfunzioni politiche e amministrative: profonde tensioni tra i suoi membri, come nel caso di Marocco e Algeria, Somalia ed Etiopia, Ruanda e Repubblica democratica del Congo; insufficienza del personale (solo 3.200 tra dirigenti e impiegati, in luogo dei 32mila della Ue); esiguità del budget operativo (circa 600 milioni di euro, di cui circa la metà proviene in dono dall’Unione europea, partner spesso molto criticato in ambito continentale); eccesso di burocrazia. Permangono poi sul tappeto anche le grandi sfide globali, come quelle del terrorismo, della criminalità organizzata, della transizione energetica, del cambiamento climatico, del “digital divide”, dell’Intelligenza Artificiale, della formazione dei giovani e delle migrazioni, regolari e irregolari. Di fronte a questo scenario, non resta che augurare al nuovo presidente Youssouf un successo migliore del suo predecessore, nei confronti del quale sono piovute non poche critiche sia dal mondo africano che dal più ampio contesto internazionale. L’impatto del continente sul piano globale non potrà che ampliarsi nel prossimo futuro, e toccherà alla Commissione dell’U.A. rappresentare questo ruolo politicamente nei vari consessi multilaterali, in cui può far sentire la sua voce.





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